Potrà la Russia spartirsi la leadership del mondo con Cina e Stati Uniti? Massimo Livi Bacci ritorna sul tema della debolezza demografica del paese, nonostante il cospicuo sostegno alla natalità e la martellante propaganda pro-natalista, accompagnata da una preoccupante erosione dei diritti delle donne e delle coppie nel campo della sessualità e della riproduttività.
Si diffonde l’opinione che il primo quarto di secolo stia inaugurando una fase storica dominata da tre grandi protagonisti: Cina, Russia e Stati Uniti, ciascuno con le proprie aree di influenza politica, economica e, purtroppo, militare. Tutti e tre muniti di arsenale nucleare, di gigantesche basi territoriali, di ricche risorse naturali. Tutti e tre con un ricco capitale di conoscenze scientifiche e tecnologiche. Ma tra i tre giganti, la Russia è molto debole per quanto riguarda le risorse umane: una popolazione che è un decimo di quella della Cina e assai meno della metà di quella Americana, su un territorio doppio o triplo di quello degli altri due protagonisti. Alla demografia russa Neodemos dedica molta attenzione, e queste righe aggiornano quanto già scritto in altri articoli1.
Le insidie dell’ideologia e della propaganda.
Non c’è occasione ufficiale nella quale Putin – o altre personalità di rilievo – non ribadisca che “Una grande famiglia dovrebbe diventare la norma, la filosofia di vita della società, l’obbiettivo dell’intera strategia dello stato”, e che la Russia, nel 2030, deve tornare ad avere una natalità che consenta una crescita sostenibile. Prospettiva irraggiungibile, come sanno bene i demografi russi, visto che il numero delle nascite è ulteriormente diminuito nel 2024 e la riproduttività dagli attuali 1,45 figli per donna dovrebbe fare un balzo a più di 2 (e stabilizzarsi su questo livello) nel giro di cinque-sei anni. Nel 1999, nel bel mezzo del grave periodo di crisi post-sovietica, le nascite del paese toccarono il minimo storico di 1,25 milioni, risalito poi grazie anche ai cospicui incentivi introdotti nel 2007, a 1,94 milioni nel 2014, per ridiscendere a 1,22 (-37%) nel 2024.
La retorica pro-natalista è comune, oramai, a quasi tutti i paesi del mondo nei quali la riproduttività è bassissima, anche se l’esperienza insegna che ci vuole ben altro per far cambiare propensioni e convinzioni nelle menti dei popoli. Lo scorso dicembre Putin ha creato il “Consiglio per la Demografia e la Famiglia” con la missione di formulare, implementare e monitorare le politiche progettate o messe in campo. Nel contempo il Ministero di Giustizia e la Duma stanno preparando un provvedimento che mette al bando l’ideologia “childfree”, con pesanti multe per le persone e le associazioni che ne facciano propaganda. Ancora più insidiose sono le misure, mediche e regolamentari, dirette a rendere più difficile il ricorso all’aborto, fino al divieto (per ora solo minacciato) di proibire le interruzioni di gravidanza nelle cliniche private nelle quali avviene, oggi, il 20% del totale delle interruzioni. C’è dunque una pericolosa tendenza alla graduale erosione del diritto delle donne, e delle coppie, a regolare la loro riproduttività. Una tendenza pericolosa, in un paese la cui Corte Suprema, nel novembre del 2023 ha bandito il movimento LGBT, etichettandolo come movimento “estremista”. È stato osservato che “l’insistenza sull’aumento della natalità, la vaga invocazione ai valori tradizionali e l’immagine della donna come macchina per far figli, sono tutti segnali del crescente controllo dello stato sulla società. Durante i primi due mandati della presidenza di Putin, le libertà politiche sono state erose in modo crescente, ma la vita privata era rimasta indenne. Ma questo sta cambiando. L’influenza ideologica dello stato sta penetrando nella regione profonda della vita personale”2.
Estensione del “Capitale Materno”
Dell’introduzione del cosiddetto “capitale materno” nel 2007, un costoso tentativo di sostenere la natalità mediante la corresponsione di una cospicua somma alla nascita di un figlio, si è già detto in un altro articolo3. Il Governo ha annunciato l’estensione del provvedimento fino a tutto il 2030, con contributi indicizzati al costo della vita. L’ammontare del sostegno (non reiterabile), dallo scorso febbraio vale 676mila rubli per il primo figlio e 893mila per gli ordini di nascita superiori, cifre corrispondenti rispettivamente a $ 8.100 e 10.700 (al cambio del mese di marzo 2025). Si tratta di somme cospicue, se rapportate al reddito pro-capite russo che, secondo la Banca Mondiale, ammontava a $13.800 nel 2023. Ma l’impatto sulle nascite, dopo la forte ripresa negli anni successivi all’introduzione del beneficio, sembra pressoché nullo. Va anche detto che l’estensione al 2022 del capitale materno ai primogeniti è considerato un errore dalla maggioranza degli esperti, dato che un’alta proporzione delle coppie vuole per lo meno un figlio, indipendentemente dall’incoraggiamento monetario.
Il paradosso delle migrazioni
La debolezza demografica della Russia è in contrasto con il ruolo di grande potenza che Putin sogna per il paese. La popolazione è in discesa; secondo le prudenti proiezioni delle Nazioni Unite, dovrebbe alleggerirsi di una decina di milioni, in poco più di trent’anni, col corollario del forte invecchiamento comune a tutti i paesi con debolissima natalità. Un paese vastissimo che ha grandi risorse naturali delle quali non può avvantaggiarsi per la scarsità di risorse umane. Nello stesso tempo la sua politica migratoria si è fatta sempre più cauta e restrittiva: gli immigrati provengono soprattutto dalle repubbliche dell’Asia centrale, Uzbekistan, Tajikistan e Kirghisistan ai primi posti. Le rimesse dei loro cittadini emigrati in Russia rappresentano una quota molto elevata del prodotto dei paesi di provenienza. Questi immigrati, pur essenziali per molte attività richiedenti manodopera generica, sono assai malvisti dalle popolazioni locali. Si teme il formarsi di comunità per lo più musulmane estranee alla cultura e alla religione della grande madre russa, che Putin vorrebbe grande anche demograficamente. Di fronte alle restrizioni e ai crescenti vincoli cui sono sottoposti gli immigrati asiatici, sta la pressione emigratoria dalla parte occidentale della Russia, per sfuggire alla coscrizione e alla guerra. A proposito di questa: le ultime stime assai ben fondate di Meduza-Mediazone valutano le perdite (morti) di guerra russe in 160-165mila, fino a tutto il 2024. Sono perdite che colpiscono soprattutto settori poveri ed esclusi (anche carcerati sotto contratto), diluite in un immenso territorio, poco percepite dall’opinione pubblica poco informata sulle vicende della guerra. Ma un sinistro drenaggio della compagine demografica, che Putin vorrebbe fiorente e in crescita.
1Rimandiamo i lettori agli articoli pubblicati su Neodemos da chi scrive: Putin, la demografia e la guerra, Neodemos, 16 Aprile 2024; La Russia, troppo grande troppo vuota?, 11 Settembre 2018; I bambini di Putin, 27 Luglio 2021; La Russia e la demografia di guerra, 12 Aprile 2022.
2Markus Ackeret, Russian shrinking population sparks radical proposals, Neue Züurcher Zeitung, 21 ottobre 2024.
3Cfr. Livi Bacci, Putin, la demografia e la guerra, cit.