L’India è il paese delle diversità etniche, culturali, religiose, economiche, ma la recente evoluzione, osserva Massimo Livi Bacci, sembra suggerire una convergenza dei comportamenti demografici. Restano però molti nodi da sciogliere, non ultimo quello, particolarmente intricato e delicato, dell’intreccio tra politica e demografia.
A chi lo interrogava sul problema della crescita demografica nel suo paese, Nehru, allora primo ministro, rispose che l’India aveva “361 milioni di problemi”, riferendosi al numero di abitanti attestato dal Censimento del 1951, appena pubblicato. La rapida crescita, cioè, riguardava l’intera collettività, compromettendone lo sviluppo. Settanta anni dopo, nel discorso del giorno dell’Indipendenza, Narendra Modi ha affermato che nell’anno del centenario, nel 2047, l’India sarà un paese sviluppato, sospinto da tre forze: “demografia, democrazia e diversità” . Dichiarazioni, quelle di Nehru e di Modi, certo suggerite dall’enfasi retorica dell’occasione, ma che rispecchiavano, e rispecchiano, opinioni diffuse. Quella rivoluzione demografica, che fino agli anni ’90 del secolo scorso sembrava molto lontana, e era fonte di diffuse preoccupazioni, è infine arrivata, con maggior forza di quanto potesse prevedersi. Una rivoluzione che riguarda, in primo luogo, la riproduttività, scesa sotto il livello di rimpiazzo, ma anche la salute e la nutrizione, l’urbanizzazione, i divari regionali. E che nel suo complesso dovrebbe sostenere uno sviluppo non troppo diverso da quello che ha caratterizzato la prima parte di questo secolo; una crescita annuale del prodotto pro-capite intorno al 6 per cento, superiore a quella mediamente realizzata dai maggiori paesi in via di sviluppo nello stesso periodo.
Riproduttività sotto il livello di rimpiazzo
È dagli anni ’50 che l’India ha messo in campo azioni per ridurre la fecondità, che si aggirava attorno ai 6 figli per donna alla metà del secolo scorso. Per decenni i risultati non furono brillanti, per motivi politici e operativi, radicati anche nella complessità del paese. Nel 2000, vista la scarsa efficacia dell’azione pubblica e la sostenuta crescita demografica, è stato lanciato un piano politico (National Population Policy, NPP), con ambiziosi obbiettivi compatibili (secondo gli estensori del Piano) con una crescita economica sostenibile, con lo sviluppo sociale e con la protezione ambientale. Si prevedeva, tra l’altro, il raggiungimento della stazionarietà della popolazione nel 2045. Le ultime proiezioni delle Nazioni Unite (variante media) spostano questa data al 2062, con 1.701 milioni contro 1.464 di oggi. Nei fatti, l’andamento della riproduttività, quale risulta dalle indagini campionarie dell’ultimo ventennio, ha compiuto una notevole frenata, e il numero medio di figli per donna si è ridotto da 3,4 (1990-92) a 2,0 nel 2019-21, sotto il livello di rimpiazzo (2,1) (Figure 1 e 2). Nella tabella 1 sono riportati alcuni indicatori desumibili dalle ultime indagini, che certificano le tendenze in atto: è aumentata l’età al matrimonio sia degli uomini che delle donne, è diminuita la fecondità delle adolescenti, si è estesa la diffusione della contraccezione, è scesa la mortalità infantile anche se i livelli nutritivi dell’infanzia hanno mostrato scarsi progressi (Tabella 1).



Il paese delle diversità verso una demografia più omogenea
L’India è un paese molto eterogeneo: centinaia di etnie, lingue e dialetti; forti disuguaglianze sociali e culturali, divisioni in caste, molteplici credenze e religioni. Eppure la demografia attuale appare singolarmente omogenea, almeno per quanto riguarda la fecondità, che nei maggiori stati presenta valori tra 1,7 e 2,4 figli per donna (escluso il Bihar, con 3, che peraltro conta 135 milioni di abitanti! Figura 3). Nel complesso del paese, la riproduttività urbana (1,6) è sensibilmente più bassa di quella rurale (2,1) che comunque è scesa fino al livello di rimpiazzo. Diversamente dal passato, si sono attenuati i divari riproduttivi tra gruppi religiosi, in particolare quello tra i due maggiori, musulmani e induisti (Tabella 2): ancora nel 1998-99 i primi, con 3,6 figli per donna, superavano i secondi, con 2,8; nel 2019-21 i due gruppi sono scesi a 2,36 e 1,94 rispettivamente. Valori inferiori sono quelli relativi a Cristiani (1,88), Sikh (1,61) e Buddisti (1,3). Perfino le cosiddette “scheduled castes and tribes” (cioè caste e tribù svantaggiate riconosciute), con 300 milioni di componenti, hanno una riproduttività identica a quella media del paese.


Va infine segnalata una tendenza che fa ben sperare sulla possibilità di colmare la profonda distanza che ancora separa uomini e donne. Parliamo, cioè, dall’alterazione del rapporto naturale dei sessi alla nascita (105-106 maschi per 100 femmine) che dopo la legalizzazione dell’aborto (1971) e l’introduzione di tecnologie per la determinazione precoce del feto, era andato rapidamente crescendo superando quota 111 nel 2011. Ebbene, tale rapporto è sceso a 108 nel 2019-21: la preferenza per i figli maschi e l’aborto selettivo sembrano dunque attenuarsi, anche in conseguenza di un’attiva campagna governativa.
Nodi da sciogliere
Le prospettive demografiche dell’India presentano non pochi nodi da sciogliere e difficoltà da affrontare. I divari riproduttivi e di crescita, benché minori che in passato, ancora pesano politicamente e socialmente. Nella Figura 3, si può constatare che il “divide” territoriale, tra nord con fecondità più elevata (soprattutto Andhra Pradesh e Bihar, 370 milioni di abitanti) e più povero, e sud ben sotto il rimpiazzo e migliori livelli di vita, è ancora notevole. Inoltre il partito di Modi spinge per introdurre una riforma che ripartisca i seggi parlamentari tra i vari stati in proporzione alla popolazione del prossimo censimento, anziché lasciarli ancorati ancora ai risultati del censimento del 1971. Ciò significherebbe un forte guadagno di seggi dagli stati del nord, a scapito del sud che nell’ultimo mezzo secolo è fortemente progredito ma che risulterebbe politicamente penalizzato. C’è inoltre la questione religiosa, resa più delicata dall’aumento – per quanto moderato – della componente musulmana, la cui quota sulla popolazione del paese ha raggiunto il 15% rispetto al 10% del 1951, e si sente minacciata dalla politica fortemente induista di Modi. C’è la questione del censimento, previsto per il 2021 e solo adesso in cantiere, rinviato più volte per motivi sanitari (Covid), tecnici e politici, ma che è cruciale per una buona amministrazione, soprattutto per un paese di tali dimensioni.
La danza degli spettri
Continua, in India come in molte altre parti del mondo, la danza degli spettri: dopo quello della sovrapopolazione ora è di scena quello del declino. Uno sguardo ai principali giornali del paese incontra i seguenti recenti titoli: “Is it time to budget for India’s declining population?” (The Economic Times, 2 Febbraio), oppure “India’s declining fertility: is it a cause of concern?” (Times of India, 4 dicembre 2024), o nel maggiore giornale del Kashmir & Jammu, “R&K Fertility crisis: a struggle for identity and survival” (31 gennaio 2025). E le citazioni potrebbero continuare.
Note
2Financial time – In charts: how India has changed under nandra Modi
Per saperne di più
Neodemos 11 maggio 2028 – L’ India dal 2024 sarà il paese più popoloso del mondo, ma la natalità è in declino
Neodemos 11 giugno 2024 – Il valore di un Censimento
Fonte tabella 2 – Rapid Convergence of Fertility across all Socio-Religious Groups in India | The India Forum