Nel 2024 l’ India toglierà alla Cina il primo posto nella graduatoria dei paesi più popolosi del mondo. Ma le indagini più recenti, informa Massimo Livi Bacci, confermano che la fecondità è decisamente in declino nella media del paese, mantenendo però un’alta variabilità territoriale.
Tra qualche anno – nel 2024 secondo valutazioni attendibili – l’ India diventerà il paese più popoloso del mondo, spodestando la Cina dal podio nella classifica dei giganti. A metà di quell’anno, infatti, conterà 1,439 miliardi di persone contro 1,437 della Cina. Per la verità, a stare alle notizie storiche, si tratterebbe di un ritorno al passato, ai fasti dell’Impero Moghul, qualche secolo fa. Ma se ci limitiamo all’epoca contemporanea, illuminata da statistiche ben fondate, il “sorpasso” dell’ India sulla Cina non sorprende, perché è la conseguenza di modelli di sviluppo e di politiche assai distanti, innestate su società molto diverse, estremamente eterogenea e frammentata la prima, omogenea e compatta la seconda.
Fino dal 1947 la crescita demografica è una questione politica
La politica del “figlio unico”, adottata dalla Cina quarant’anni fa, e solo recentemente dismessa, ha dato una forte spinta alla discesa della natalità, compagna di strada dello sviluppo socioeconomico; attorno al 1950 i due paesi avevano un numero di figli per donna pari a circa 6; ma all’inizio del millennio era sceso a 1,5 in Cina e a 3,1 in India. Conseguente a questo andamento divergente è l’assottigliarsi della crescita della popolazione cinese e il suo declino a partire dal 2030. La popolazione dell’ India cresce ancora al ritmo di 15 milioni di abitanti all’anno (1,1%), e la sua stabilizzazione è rinviata di svariati decenni. Tuttavia l’ India non si sottrae alla logica dello sviluppo; il livello di fecondità stimato è oggi di 2,2 figli per donna (come l’Italia del 1970), poco superiore al livello di “rimpiazzo” necessario perché la popolazione si avvii alla stabilizzazione.
Fin dall’Indipendenza nel 1947, i governi del paese hanno dato un posto centrale alla questione demografica. A partire dal primo piano quinquennale (1952-56) sono state promosse disposizioni di sostegno alla pianificazione familiare, con successi limitati sia per lo scarso ammontare delle risorse disponibili, sia per l’incerta politica seguita. Con i successivi piani, è andato allargandosi il raggio d’intervento pubblico, all’inizio limitato alla questione del controllo delle nascite, esteso poi alla salute materna e del bambino, alla protezione dell’infanzia, alla questione femminile (con particolare riguardo alla lotta al matrimonio infantile e precoce). I piani quinquennali del 1997-2002 e 2002-2007 hanno mobilitato maggiori risorse (il 3% delle risorse totali del piano contro poco più dell’1% nei piani precedenti).
Nel 2000, vista la scarsa efficacia dell’azione pubblica e il sostenuto incremento demografico, è stato formulata un piano politico (National Population Policy, NPP), con ambiziosi obbiettivi su tre piani. Un Obbiettivo Immediato, volto a colmare le lacune riguardanti la domanda non soddisfatta di contraccezione, l’inadeguatezza delle strutture e del personale sanitario e gli insufficienti servizi essenziali per la salute riproduttiva e del bambino. L’Obbiettivo di Medio Termine consistente nella riduzione del TFT (tasso di fecondità totale, o numero medio di figli per donna) al livello di rimpiazzo (2,1) entro il 2010, per mezzo di una vigorosa mobilitazione delle risorse disponibili. Un Obbiettivo di Lungo Periodo volto al raggiungimento della stazionarietà della popolazione nel 2045, compatibile con una crescita economica sostenibile, con lo sviluppo sociale e con la protezione ambientale.
L’indagine sulla fecondità del 2015-16
Per quanto riguarda la fecondità, l’obbiettivo non è stato raggiunto, ma si è considerevolmente avvicinato, poiché l’ultima grande indagine sulla fecondità del 2015-16, stima il numero medio di figli per donna in 2,2 (2,1 nel 2010 secondo l’obbiettivo del NPP). Questa “sfasatura” è sufficiente per permettere alla popolazione indiana di crescere fino al 2060 (anziché fino al 2045 come previsto dal NPP), raggiungendo in quell’anno 1,689 miliardi di abitanti (contro 1,288 miliardi, in quello stesso anno, della Cina)¹.
L’indagine del 2015-16 (NFHS-4), è stata condotta su un campione di circa 700.000 donne in età feconda, con un questionario molto articolato relativo alle condizioni della famiglia e dell’abitazione, alle caratteristiche socioeconomiche, all’ uso della contraccezione, all’assistenza sanitaria e alla salute della madre e del bambino, all’allattamento e alla nutrizione². Rispetto alle indagini precedenti³, e limitandoci alla fecondità, è in corso una diminuzione continua: il numero medio di figli per donna è sceso da 3,4 secondo l’indagine del 1992-93, a 2,9 (1998-99), 2,7 (2005-06) e 2,2 (2015-16)[4]. Insomma la tendenza è sicuramente al ribasso (Figura 1), sia per le donne residenti nelle aree urbane, sia per quelle che vivono nelle campagne. Queste ultime hanno una fecondità più alta delle prime, ma il divario si è ridotto tra la prima e l’ultima indagine. Inoltre le donne nelle aree urbane, secondo l’indagine più recente, hanno una fecondità sensibilmente inferiore al livello di rimpiazzo (TFT pari a 1,8).
Come in tutte le popolazioni in fase di forte transizione, c’è una fortissima variabilità territoriale della fecondità (Figura 2): grandi stati del Nord, come Uttar Pradesh e Bihar, hanno circa 3 figli per donna, mentre gli Stati del Sud, come Tamil Nadu e Kerala, hanno meno di 1,7 figli per donna, e sono su livelli europei. Sotto il livello di rimpiazzo sono anche altri stati del centro geografico: Karnakata, Andhra Pradesh, Maharastra, Odisha.
Al gradiente territoriale si accompagna anche un forte gradiente di natura sociale e religiosa. Nella Tabella 1 vengono riportati i livelli di fecondità delle donne appartenenti ai vari gruppi religiosi, e la loro variazione tra il 2005-06 e il 2015-16. Tutti i gruppi manifestano un forte declino, ma più ampio per i Musulmani che riducono così il divario con gli Indù da 0,8 a 0,5, pur rimanendo ancora sensibilmente sopra il rimpiazzo; gli altri gruppi religiosi ( h rappresentano però piccole quote della popolazione) sono tutti sotto il rimpiazzo, con un minimo per i Jain (1,2) seguiti dai Sikh (1,6) dai Buddisti (1,7) e dai Cristiani (2). Differenze analoghe si riscontrano classificando le donne secondo il livello di istruzione, con le analfabete in testa con un TFT di 3,1, e le istruite con 12 anni di istruzione o più, con 1,7. Simile il quadro quando le donne vengono clssificate secondo un indice di benessere familiare (wealth index) con un TFT pari a 3.2 per le donne nell’ultimo quintile e 1,5 per quelle del primo.
Politiche demografiche e diritti umani
Un’ultima considerazione per chiudere. Tra il 1950 e l’anno nel quale si stima che la popolazione smetterà di crescere (il 2024 per la Cina, il 2060 per l’ India), la popolazione della Cina si moltiplica per 2,6 volte (da 551 a 1432 milioni) e quella dell’India per 4,5 volte (da 372 milioni a 1689; Figura 3). La Cina ha pagato il prezzo della rapida frenata della crescita con una politica oppressiva del fondamentale diritto umano di decidere quando e quanti figli mettere al mondo. Comincia anche a pagare il caro prezzo di un rapidissimo invecchiamento demografico. Sull’India hanno gravato, e graveranno, i costi sociali e ambientali di una crescita demografica prolungata con il relativo effetto frenante sullo sviluppo economico. Ma l’India ha salvaguardato un fondamentale pilastro della libertà individuale che la Cina ha gravemente indebolito.
Note
¹Dati tratti dalla “variante media” delle proiezioni delle Nazioni Unite. Cfr. United Nations, World Population Prospects. The 2017 Revision . Secondo questa variante la fecondità scenderebbe al livello di rimpiazzo nel 2025-30.
² IIPS, International Institute for Population Sciences, National Health Family Survey – H4, 2015-16, India Fact Sheet, Mumbai, 2018.
³NHFS-1 del 1992-93, NFHS-2 e NFHS-3 del 2005-6
[4] I valori si riferiscono alla media del triennio antecedente l’inchiesta.
Fonte figura 2 – wikipedia