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Giorgia, Viktor e la demografia

A margine della visita di Viktor Orbán a Giorgia Meloni il 24 giugno scorso Massimo Livi Bacci rileva il contrasto (non esplicito) tra i due leader in materia migratoria, e l’impossibilità per il nostro paese di mettere in campo risorse pro-nataliste analoghe a quelle ungheresi, che peraltro, fino ad oggi, si sono dimostrate inefficaci.

Nella scorsa settimana, Viktor Orbán ha iniziato a Roma un giro tra le capitali europee, nell’imminenza dell’inizio (1 luglio) della presidenza semestrale ungherese del Consiglio Europeo. Lo slogan di sapore trumpiano scelto è “Make Europe Great Again” (cioè, MEGA). Nulla da eccepire, se non “speriamo bene!”. La demografia, come è noto, è un argomento centrale nell’azione politica del governo ungherese, e un argomento sul quale Orbán stesso si esprime spesso e volentieri. In Ungheria si è tenuto il quinto Budapest Demographic Summit nel settembre dello scorso anno, con un discorso keynote di Giorgia Meloni, e accesi interventi di leader sovranisti, di politici, intellettuali e opinionisti conservatori, di personalità di estrema destra. Discutere della questione demografica è senza dubbio opportuno, il pericolo sorge quando questa viene sventolata a fini ideologici e di parte, come spesso viene fatto da politici sovranisti ed esponenti di culture reazionarie.

Adelante con Viktor… con juicio

L’amico Viktor è un compagno di viaggio scomodo, per la Presidente del Consiglio, che sostiene – sia pure indirettamente – la nuova leadership europea, e si appresta a incassare una Vice Presidenza di peso nell’Unione.  Giorgia Meloni ha lodato la Presidenza ungherese per la “decisione non scontata di inserire tra le priorità una sfida che anche io mi sono permessa molte volte di citare – anche per la competenza dell’Unione europea – che è la sfida demografica. È, dal mio punto di vista, una delle precondizioni che servono a costruire un’Europa forte, un’Europa che sappia tornare a essere protagonista nel mondo. La denatalità è un problema che colpisce tutto il continente. Oggi nessuna Nazione europea raggiunge il cosiddetto tasso di sostituzione, cioè il numero di figli per donna minimo che garantisce la continuità della popolazione. Se noi non affrontiamo insieme questa sfida e non riusciamo a invertire questa tendenza nel medio e nel lungo periodo i nostri sistemi economici, i nostri sistemi sociali, i nostri sistemi di welfare, diventeranno insostenibili…Sono molto contenta che la Presidenza di turno ungherese abbia deciso di porre questa questione tra le sue priorità.”

Un intervento che possiamo definire cauto – anche se è dubbio che la “sfida demografica” sia davvero una “precondizione…per un’Europa che sappia tornare a essere protagonista nel mondo”. Assai più accesi sono stati i toni di Orbán sulla questione demografica, fin dal suo arrivo al potere nel 2010, ispiratore delle politiche sociali e migratorie nell’ultimo quindicennio1

“Ogni migrante è un rischio per la sicurezza pubblica”; “la migrazione non è una medicina…ma un veleno”

Queste dichiarazioni – ripetute da Orbán in mille occasioni e in tutte le salse – hanno ispirato la politica anti-migratoria e di chiusura del paese. Dal 2018, dopo la rielezione al terzo mandato, la politica migratoria è diventata ancor più dura, e non solo nei confronti dei rifugiati e dei richiedenti asilo, sulla cui brutale gestione la UE ha deferito il paese alla Corte Europea. L’Ungheria ha approvato la legge soprannominata “Stop Soros”, formulata in modo così vago da rendere illecite anche eventuali azioni caritative verso gli immigrati. L’Ungheria, inoltre, non ha firmato il “Global Compact” per una “migrazione ordinata”, proposto dalla Nazioni Unite. L’Ungheria è da sempre fermamente contraria ad ogni progetto di condivisione degli oneri nella gestione dei rifugiati in Europa. 

Prudenti, anche in questo caso, sono state le dichiarazioni della Presidente del Consiglio: “Siamo d’accordo sul fatto che vada consolidato il nuovo approccio europeo…che si basa su alcuni pilastri, cioè la difesa dei confini esterni dell’Unione europea, il contrasto all’immigrazione illegale di massa, la lotta ai trafficanti, l’impegno a costruire con le Nazioni di origine e di transito un nuovo modello di cooperazione e partenariato che sia vantaggioso per tutti, anche chiaramente per andare alla base delle cause della migrazione; ma siamo anche d’accordo sul fatto che sia importante sperimentare nuove forme e nuove soluzioni innovative proprio in materia di immigrazione”. Non si è fatta mancare, Giorgia Meloni, l’occasione di un spot pubblicitario sull’accordo con l’Albania per la gestione dei migranti. Ma ha dimenticato anche di dire “caro Viktor, al contrario dei governi precedenti, il mio non ha nascosto l’assoluta necessità dell’immigrazione, approvando un decreto che prevede l’arrivo di quasi mezzo milioni di migranti in un triennio. E non basteranno”.

“Non di numeri abbiamo bisogno, vogliamo bambini Ungheresi” 

È interessante ricordare che fu nella regione di Ormánság, nel sud dell’Ungheria, che si sarebbe diffuso assai precocemente – alla fine del Settecento – il controllo volontario delle nascite, la cui diffusione si è generalizzata nel secolo scorso. All’inizio degli anni ’60, il numero medio di figli per donna era sceso sotto 2, oscillando poi attorno a questo livello fino agli anni ’80, quando scende a 1,8. Il declino raggiunge il minimo (1,25) nel 2010-11, con una ripresa fino a 1,6 nel 2021, ma negli ultimi tre anni ha avuto una flessione (1,49 stimato nel 2024, Figura 1). Ma, come ricordato nel titolo del paragrafo, Orbán vuole più bambini “Ungheresi” non bambini qualsiasi. Dal 2015 una serie di provvedimenti hanno profuso risorse nelle politiche familiari che attualmente assorbono il 5% del PIL. Il programma CSOK (acronimo per Programma di Sostegno per le Abitazioni delle Famiglie) ha assicurato generosissimi crediti per l’acquisto di un’abitazione da parte delle famiglie con figli (fino a 250.000 euro per una famiglia con tre figli), in parte sotto forma di prestiti e in parte a fondo perduto. Le donne con quattro figli sono esenti dall’imposta sul reddito; ci sono prestiti cospicui per coppie che hanno un figlio, con rimborsi azzerati man mano che hanno figli di ordine più alto. Alla natura, evoluzione, generosità delle politiche familiari andrebbe dedicato una specifica analisi che qui non trova posto.  

Vi sono almeno tre considerazioni da farsi a margine della politica familiare ungherese. La prima riguarda l’entità delle risorse profuse che è notevolissima, un multiplo – fatte le debite proporzioni – di quanto mette in campo il nostro paese. La seconda riguarda gli effetti demografici, relativamente modesti, se si tiene conto che nel 2024 (stima) il livello sarebbe solo di poco superiore a quello del 2015 anno di lancio della nuova politica (1,49 rispetto a 1,44, passando per il picco di 1,59 del 2021, cfr. Figura 1). Inoltre, la politica intendeva soprattutto stimolare le nascite di ordine più alto (terzo e oltre), il cui peso, sul totale delle nascite, è rimasto invariato nell’ultimo decennio, attorno al 21% del totale. Infine il caso ungherese consolida i dubbi di chi – come l’autore di queste righe – ritiene che lo spazio delle politiche sociali a favore della natalità sia ristretto (il che naturalmente, non è una buona ragione per non riempirlo!) e con risultati relativamente modesti.  

Note

1Massimo Livi Bacci, Una decrescita felice all’ungherese, “Neodemos”, 14 dicembre 2018.

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