Con la conferma di Orbán per un terzo mandato, l’Ungheria rafforza l’ostilità all’immigrazione e sostiene generosamente la famiglia tradizionale. Massimo Livi Bacci commenta la schizofrenia di un paese che vuole crescere in prosperità, con una popolazione in rapido declino, fortemente invecchiata, chiusa ostinatamente verso l’esterno.
Viktor Orbán, leader di Fidesz, partito di ultradestra, è al suo terzo mandato da premier dell’Ungheria. Le sue posizioni in materia di popolazione sono ben note, esposte in interviste, incontri ufficiali, discorsi istituzionali. “Ogni singolo migrante è un rischio per la sicurezza pubblica”; “per noi la migrazione non è una soluzione, ma un problema … non è una medicina, ma un veleno … che non vogliamo ingoiare”, “i rifugiati Musulmani sono degli invasori”. “Noi vogliamo che le nostre politiche siano costruite per le famiglie … dobbiamo porre la famiglia di nuovo al centro delle politiche europee. Le famiglie e i figli sono sicuramente una benedizione, non solo per la nazione, ma per l’intera comunità europea”. Orbán è uomo di azione, e le sue dichiarazioni si sono materializzate nella Costituzione, e sono state tradotte nelle politiche migratorie ed in quelle sociali dell’ultimo decennio. Chiusura all’immigrazione, difesa dei valori cristiani e rigetto del multiculturalismo, sostegno alla famiglia tradizionale sono al centro del credo politico di Orbán, peraltro condiviso dagli altri membri del gruppo di Visegrad (Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia), da Austria e Croazia, da partiti politici in Italia, Germania e Francia.
La debolezza demografica di Visegrad
L’Ungheria e gli altri tre paesi di Visegrad non se la passano però troppo bene sotto il profilo della loro sostenibilità demografica; la loro natalità è sotto la media di quella Europea, e la mortalità su livelli più alti; l’invecchiamento della popolazione procede velocemente; le loro dimensioni demografiche, infine, sono destinate ad arretrare nei prossimi decenni. In Ungheria, la popolazione aveva raggiunto 10,7 milioni nel 1980, ma da allora è in corso una continua diminuzione, fino ai 9,8 milioni del 2018 (figura 1).
Nel caso che la politica di zero-immigrazione perdurasse nel futuro, gli ungheresi scenderebbero dai 9,8 milioni attuali a 8 milioni nel 2050 (-17,5%). Arretramenti minori si verificherebbero in Polonia (da 38,1 a 32,8 milioni, -13,9%), Repubblica Ceca (da 10,6 a 9,5, -10,4%) e Slovacchia (-10,9%)¹. Si tratta di segni negativi che sono la risultante di un tracollo delle fasce di età giovani-adulte e di una forte crescita di quelle anziane². Questa forte involuzione demografica sicuramente preoccupa l’Ungheria, ma non tanto da chiamare in soccorso l’immigrazione. L’ideologia ultra nazionalista di Orbán si fonda sulla difesa della coesione culturale, cementata dai tradizionali valori cristiani, e minacciata dall’immigrazione, che va dunque fermata. Negli ultimi mesi, dopo la rielezione per il terzo mandato, la politica migratoria si è fatta ancora più dura, e non solo nei confronti dei rifugiati e dei richiedenti asilo, sulla cui brutale gestione la UE ha deferito il paese alla Corte Europea. Nel giugno è stata approvata la legge “Stop Soros”³: questa legge crea il nuovo reato di “promozione e favoreggiamento dell’immigrazione reale”, formulato in modo così vago da poter essere interpretata in modo estensivo, così da comprendervi, per esempio, anche azioni di natura caritativa verso gli immigrati. Nel luglio, l’Ungheria è uscita – sulla scia degli Stati Uniti – dal “Global Compact” (promosso dalle Nazioni Unite) “per una migrazione sicura, ordinata e regolare”. In ambito europeo, è stata riaffermata l’assoluta indisponibilità del paese ad ogni condivisione degli oneri nella gestione dei rifugiati.
Orbán: “L’immigrazione è un veleno”
Le politiche anti-migratorie dell’Ungheria e degli altri paesi di Visegrad appaiono poco coerenti con la debolezza demografica dei rispettivi paese. E non sono sicuramente determinate da un’eccessiva presenza straniera: secondo i dati ufficiali, gli stranieri residenti in Ungheria nel 2018 sono appena 162,000 (1,6% della popolazione), dei quali circa due terzi sono Europei, e quindi sicuramente non incoerenti con le “radici cristiane” del paese. Ma anche in Polonia, Repubblica Ceca e Slovacchia i pochi stranieri sono, nella grande maggioranza, cittadini di paesi europei confinanti o vicini. Non è dunque dall’immigrazione che Orbán e i suoi colleghi di Visegrad si attendono un contrasto all’involuzione demografica.
Di fronte alle sfavorevoli tendenze demografiche, l’Ungheria ha messo in piedi generose politiche di sostegno alla famiglia e alla natalità. Occorre dire che questa è una tendenza emergente in altri paesi Europei[4], a cominciare dalla Russia (con l’istituzione del “capitale materno” nel 2007), alla Polonia, alla Germania. Si tratta di politiche recenti, il cui esito occorrerà valutare nel lungo periodo, quando sarà possibile separare l’effetto “congiunturale” degli interventi (un’anticipazione di un matrimonio, o di una nascita, comunque programmati) da quello di lungo periodo, conseguente ad un vero e proprio cambiamento degli orientamenti riproduttivi). Fatto si è che da paese che spendeva molto poco per famiglia e figli, l’Ungheria è passata in testa tra i paesi OCSE erogando l’equivalente del 5% del PIL.
Una generosa politica per le famiglie tradizionali e i loro figli
L’intervento più importante è l’introduzione, nel 2015, del programma CSOK (programma di sostegno per l’abitazione familiare): le coppie sposate che hanno un terzo (o un quarto) figlio hanno diritto a una somma equivalente a circa €31.000 per l’acquisto di una casa più altri €31.000 tra benefici fiscali e abbattimento del costo del mutuo. Benefici assai minori sono disponibili per le coppie con due figli o uno (figura 2). A questa misura se ne affiancano altre, come il bonus nascita, pari a più del doppio della pensione minima; un congedo di maternità estendibile fino a 3 anni; un assegno per la cura del figlio per i primi sei mesi, pari al 70% dello stipendio della madre, o del padre. Nell’insieme si tratta di incentivi molto generosi se rapportati al reddito disponibile delle famiglie.
E’ presto per apprezzare l’impatto di queste misure sulle nascite[5]. La figura 3 riporta l’andamento del numero medio di figli per donna (TFT), dal 1996 ad oggi, diminuito da 1,6 verso la metà degli anni ’90, al minimo di 1,23 nel 2011, con una ripresa successiva fino a 1,48-1,49 nel triennio 2016-2018. Più in particolare, la ripresa ha riguardato sia le donne molto giovani sia le meno giovani; c’è stato un aumento per i primi e i secondogeniti, ma continua una lieve flessione dei terzogeniti. Poiché le misure riguardano le donne sposate, si è verificato un sensibile aumento dei matrimoni. L’indubbio aumento del TFT tra il 2011 e il 2016-18 non è sicuramente dovuto solo al CSOK (del quale fino al settembre scorso avevano beneficiato 91.000 famiglie), attivo dal 2016, ma anche alle precedenti riforme fiscali. Siamo però assai lontani dai 2 figli per donna che Orbán si è proposto di raggiungere. Anche se questo avvenisse, la ripresa comincerebbe ad avere i primi (deboli) effetti sulla consistenza delle generazioni avviabili al lavoro verso il 2040, ma nel frattempo continuerebbe il declino della popolazione in età attiva e il rapido invecchiamento, con conseguenze negative sulla crescita del benessere.
La decrescita c’è, la felicità, chissà
Orbán e i suoi colleghi di Visegrad appaiono convinti che i benefici delle porte chiuse superino i costi di una mancata crescita. Anzi c’è chi opina che l’attuale debolezza demografica possa volgersi in opportunità[6]: la globalizzazione falcidierà i posti di lavoro cosicché i paesi che hanno forze di lavoro (relativamente) meno abbondanti si tireranno fuori dai guai più facilmente, e avranno migliori opportunità per dare ai giovani l’istruzione e la formazione adatta per competere in Europa. Resta la schizofrenia di un paese che vuole crescere in prosperità, con una popolazione in rapido declino, fortemente invecchiata, chiusa ostinatamente verso l’esterno. E, sotto il profilo sociologico, la sorpresa di un paese abbondantemente laicizzato per cultura – decenni di ideologia marxista e atea – che abbraccia di nuovo valori ultra tradizionali che si pensavano sepolti dal tempo.
Note
¹United Nations, World Population Prospects. The 2017 Revision.
²Un solo esempio: per l’Ungheria, la diminuzione della popolazione del 18,2% tra il 2015 e i 2050, si può scomporre in un declino del 27,1% per la popolazione da 0 a 70 anni, ed un aumento del 51,5% per quella di 70 anni e più.
³George Soros, finanziere ebreo di origine ungherese che vive negli Stati Uniti, è accusato da Orbán di voler distruggere la cultura ungherese promovendo l’immigrazione in Europa e in Ungheria.
[4] Samuel Hammond, Born in Hungary
[5] Le considerazioni che seguono sono basate sullo studio di Lyman Stone, Institute for Family Studies.
[6] Krzysztof Iskzkowski, How does the future of the V4 look from a demographer’s perspective?.