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L’Italia nascosta: sorprese demografiche oltre gli stereotipi

Dietro i numeri nazionali del declino demografico si nasconde un’Italia diversa: comuni dinamici e attrattivi, aree dove la fecondità resiste, comunità longeve che sfidano gli stereotipi, comunità straniere con geografie insediative molto articolate. Annalisa Busetta, Federico Benassi e Roberto Impicciatore ci mostrano che le dinamiche locali raccontano un Paese plurale, che chiede politiche su misura.

Oltre i luoghi comuni

L’immagine che spesso accompagna il racconto dell’Italia è quella di un paese in declino demografico: popolazione che invecchia rapidamente, nascite ai minimi storici, numeri complessivi in calo. La verità, però, è più complessa. Analizzando i dati locali, emerge un mosaico di situazioni diverse: province che attraggono giovani, comuni dove la fecondità resta sorprendentemente alta, comunità longeve che sfidano gli stereotipi.

Non esiste un’Italia unica, ma tante Italie. Alcune aree interne si spopolano, altre mantengono la popolazione attiva grazie all’attrattività di lavoro, università o servizi locali. Guardare oltre le medie nazionali diventa quindi essenziale, non solo per capire meglio i fenomeni, ma anche per orientare politiche territorialmente mirate ed efficaci.

Le Dinamiche Inattese 

L’Italia, dunque, non è un blocco demografico omogeneo. Al suo interno emergono geografie demografiche ricche di sfumature, dove segnali di preoccupazione si alternano a elementi di ottimismo. Le “sorprese demografiche” svelate dall’analisi geo-demografica dell’Italia hanno profonde implicazioni per le politiche pubbliche. Trascurare l’eterogeneità locale porta a conoscenze imprecise e a politiche inadeguate ed inefficaci. 

Un esempio di eterogeneità territoriale è quello del dinamismo demografico di alcune aree del Paese. A fronte di aree interne che perdono popolazione, o che non la perdono più perché ormai totalmente spopolate, ve ne sono altre capaci di attrarre popolazione giovane, sia dall’estero che da altre regioni italiane (Figura 1a). È il caso di molti comuni dell’Emilia-Romagna, della Toscana, delle zone costiere del Lazio e della Campania dove l’afflusso migratorio, spesso composto da studenti universitari e lavoratori, contribuisce a delineare un dinamismo della popolazione superiore alla media nazionale e a mitigare l’invecchiamento in un circolo virtuoso che mantiene la popolazione attiva e vivace. Ma è anche il caso della Puglia, dei comuni costieri vicino a Olbia, Cagliari e Sassari, e delle zone costiere della Sicilia sud-occidentale e sud-orientale, tutte aree che raccontano di un Mezzogiorno dinamico e attrattivo nel panorama italiano.

Sul fronte della quota di popolazione che arriva ad età superiore agli 80 anni (Figura 1b), la cartografia comunale rivela “sorprese positive” soprattutto nel Mezzogiorno. Se la Sardegna è universalmente riconosciuta per le sue “Blue Zones” – aree dove la speranza di vita è notevolmente più alta della media mondiale, grazie anche a fattori genetici e stili di vita particolari – l’analisi comunale mostra come anche la Sicilia nasconda al suo interno gruppi di comuni con percentuale di popolazione over 80 non trascurabile, in particolare nelle aree interne e montane come le Madonie e i Nebrodi. Anche altre aree interne sembrano emergere dalla cartografia comunale con varie comunità locali che sfidano la narrazione di una costante emigrazione e scarsa immigrazione internazionale che hanno caratterizzato il Sud, portando una nuova luce su queste aree. 

Aspetti meno noti emergono anche la distribuzione territoriale della popolazione straniera (Figura 1c). Se è vero che oltre la metà dei cittadini stranieri residenti in Italia si concentra al Nord, attratti da maggiori opportunità di lavoro e da un tessuto urbano più sviluppato nonché da reti migratorie più dense e radicate, è altrettanto vero che questa narrazione generale nasconde delle dinamiche inattese. Ad esempio, la presenza straniera nel Sud e nelle Isole, sebbene meno numerosa, è comunque meno sbilanciata verso le grandi città rispetto al Nord, con modelli insediativi che variano notevolmente a seconda dei paesi di provenienza e delle economie locali. 

In tema di bassa fecondità (Figura 1d), nel 2023, la provincia autonoma di Bolzano ha registrato 1,56 figli per donna, Trento 1,42, mentre Palermo, Ragusa e Catania hanno oscillato tra 1,36 e 1,39. Le province autonome di Bolzano e Trento sono un caso ben conosciuto, spiegato dalle specificità culturali e da politiche che favoriscono lavoro e famiglia. Meno studiata è invece la situazione delle province siciliane, dove la fecondità è rimasta sopra la media nazionale negli ultimi 20 anni nonostante condizioni economiche sfavorevoli. Istruzione, servizi sociali e coesione locale sembrano giocare un ruolo importante, così come anche la presenza straniera. Nei comuni ragusani dove la quota di stranieri è elevata, ad esempio, alcune comunità straniere (tunisini, rumeni, albanesi) contribuiscono con tassi di fecondità particolarmente elevati. Tuttavia, anche nelle grandi città come Palermo e Catania, dove la quota di stranieri è relativamente bassa, la fecondità resta sopra la media nazionale. Questo indica che non solo la composizione della popolazione, ma anche fattori culturali e familiari locali influenzano i numeri.

Costruire il futuro: politiche locali per una nazione coesa

Queste sorprese demografiche hanno implicazioni concrete per le politiche pubbliche. Non è più sufficiente ragionare a livello nazionale o macroregionale: le strategie devono tener conto delle specificità locali. È chiaro che i modelli di sviluppo territoriale basati sulla competizione, che prevedevano uno “sgocciolamento” positivo dai più virtuosi ai meno virtuosi, hanno fallito. Serve un cambio di rotta verso modelli redistributivi, che privilegino la crescita armoniosa di tutti i contesti locali. La condizione fondamentale per il successo di questi modelli è una buona e diffusa accessibilità dei territori, capace di stimolare la ridistribuzione della popolazione lungo tutto l’arco della vita.

L’Italia è ancora lontana da un territorio realmente connesso e coeso. Non si tratta di uniformare, ma di riconoscere le identità locali nella loro diversità, in linea con lo slogan già centrale nella Conferenza Europea della Popolazione del 1999: “Unity in Diversity”. Investire nei territori significa investire sull’intero Paese, stimolando dinamismo e resilienza in tutte le aree. Si tratta di “pensare globale ma agire locale”, un principio fondante dell’Unione Europea stessa. Solo così, uniti nelle nostre singole diversità, potremo affrontare le sfide demografiche del futuro.

Per saperne di più

Benassi, F., Busetta, A., Gallo, G. e Stranges, M. (2021). Diseguaglianze tra territori. In F.C. Billari e C. Tomassini (a cura di), Rapporto sulla popolazione. L’Italia e le sfide della demografia, pp. 135-162. Bologna: Il Mulino.

Busetta, A., Benassi, F., Battaglini, M., Capacci, G., & Impicciatore, R. (2025). Le sorprese positive dai territori. In D. Vignoli e A. Paterno (a cura di), Rapporto sulla Popolazione. Verso una demografia positiva, pp. 167-203. Bologna: Il Mulino.

Verrascina, M., Cameli, E., Di Felice, G., Benassi, F. e Lallo, C. (2024). La prospettiva geo-demografica. La domanda potenziale di cura per piccole aree. In C. Tomassini, M. Albertini e C. Lallo (a cura di), Avanzare insieme nella società anziana. Considerazioni multidisciplinari sulla domanda di assistenza agli anziani in Italia, pp. 85-110. Bologna: Il Mulino.

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