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Sviluppo e bassa natalità. L’eccezione di Israele [Parte II]

Un’interpretazione.
Le recenti tendenze della fecondità ebraica in Israele confermano che le risorse economiche disponibili influenzano sia gli atteggiamenti verso le dimensioni finali della famiglia sia le performances reali delle nascite. Le risorse possono provenire da fonti proprie o familiari, inclusive non solamente dei redditi e delle proprietà personali, dei genitori e di altri parenti, ma anche altri fattori quali il tempo ottenibile dalle nonne per la cura dei nipotini nella prima infanzia, e nella misura in cui esistono incentivi determinati dalle politiche sociali. Israele peraltro non eccelle nelle politiche familiari e segue a notevole distanza i paesi scandinavi e la Francia che sono i più attivi in questo senso, mentre offre condizioni più favorevoli rispetto a molti altri paesi europei e agli Stati Uniti.

Altrettanto significativa è l’influenza delle percezioni personali e familiari fondate sulla soddisfazione nei confronti della vita e sull’ottimismo verso il futuro. Nelle condizioni prevalenti nella società israeliana, l’appartenenza a una maggioranza etno-religiosa ebraica rappresenta in un certo senso la manifestazione simmetrica e complementare dell’ipotesi dell’effetto dello stato di minoranza che è stato suggerito tra le principali determinanti della bassa fertilità della diaspora ebraica e di altre simili minoranze attraverso la mediazione di un permanente senso di insicurezza e di remore generate da pregiudizi e a volte discriminazione.

Risorse e ottimismo

Il rapporto emergente tra i due principali fattori esplicativi – risorse e ottimismo – e la variabile dipendente – il numero di figli – può essere visualizzato in sintesi come un triangolo in cui ogni apice rappresenta una variabile – le due causali e la dipendente – fra le quali intercorre un rapporto non solo gerarchico ma anche di reciprocità.

Nel Grafico 1, relativo a Israele nel periodo dal 2002 al 2011, esemplifichiamo le relazioni esistenti fra le due principali variabili esplicative e il TFT nella popolazione ebraica, oltre che il rapporto che esiste tra le due variabili esplicative. Riguardo alle risorse economiche personali, una proxy usata qui sono i salari dei lavoratori dipendenti israeliani in moneta locale indicizzata (il Nuovo Shekel = NIS). La proxy usata circa la soddisfazione è derivata dai dati dichiarati nel sondaggio di opinione realizzato annualmente dal Central Bureau of Statistics israeliano. Durante il periodo qui esaminato, la serie annuale dei dati di ciascuna delle tre variabili – salari, soddisfazione e TFT – rivela un primo breve periodo iniziale di declino dopo la crisi economica del 2002 legata alla temporanea contrazione del settore tecnologico, seguito da un più lungo periodo di aumento quasi costante. È interessante notare che né la guerra in Libano del 2006, e neppure la crisi finanziaria globale del 2008-2009 hanno causato conseguenze negative visibili negli indicatori di fecondità e di ottimismo. I dati presentati nel grafico sono annuali, in cui ogni punto rappresenta un diverso anno di calendario. In ciascuna delle tre analisi bivariate, emerge una relazione lineare quasi perfetta, con coefficienti di determinazione (R2) superiori al 90%.

Alcune di queste relazioni sono alquanto prevedibili e sono facilmente dimostrabili empiricamente. Esiste una relazione diretta fra risorse economiche e sia ottimismo sia fecondità. A sua volta, il livello di ottimismo aiuta a prevedere il numero di figli. Notiamo anche che l’ottimismo risulta altamente e positivamente correlato con il livello di religiosità che è una variabile importante nel determinare livelli di fecondità più elevati. Ma le relazioni simmetriche, se dimostrabili, potrebbero aiutare a rafforzare questo modello parsimonioso. Se è vero che un maggiore ottimismo conduce a più figli, è anche vero che più figli possono determinare maggiore ottimismo. Se maggiori risorse aiutano nella crescita della famiglia, l’ipotesi che più figli costituiscano una maggiore risorsa economica era sicuramente vera in passato tra le società agrarie nei paesi meno sviluppati, e forse è oggi ancora difendibile considerando l’influenza macro-economica della crescita della famiglia come stimolo a maggiori consumi cha, a loro volta, possono migliorare l’occupazione e i redditi. Infine, se maggiori risorse economiche creano più ottimismo, l’ottimismo potrebbe generare maggiori risorse mediante una maggiore disponibilità nei confronti del rischio e dell’imprenditorialità. Mentre queste ultime considerazioni sono di carattere altamente congetturale, l’unicità dei modelli di fecondità ebraica in Israele – elevati e stabili o in aumento – non può eludere una spiegazione. L’ipotesi principale avanzata qui, e probabilmente verificabile anche in altri paesi, si basa su questo rapporto triangolare in cui ogni lato rafforza a vicenda gli altri due.

Fecondità e trasformazioni culturali

La riconosciuta vulnerabilità di questa interpretazione è che essa è significativamente condizionata da circostanze economiche e motivazionali che possono sempre cambiare a seconda della continuità o della discontinuità dei contesti storico-sociali e culturali dei processi demografici. La discontinuità, qundo si verifica, può risultare reversibile nei tempi relativamente brevi, o invece radicarsi come nuova diffusa norma sociale e divenire quindi praticamente irreversibile. Per esempio, pochi nel 1976 avrebbero pensato che la fecondità in Italia, scesa per la prima volta sotto un TFT di 2,1, non si sarebbe mai più risollevata nei successivi 40 anni, o che scesa nel 1984 sotto 1,5, non sarebbe più tornata allo stesso modesto livello nei successivi 30. Quella che è avvenuta in Italia è stata dunque una profonda trasformazione culturale, che va ben al di là delle congiunture economiche del paese. Alla stessa stregua in Israele, se per qualche motivo si rompesse l’attuale e prolungato mutuo sostegno fra crescita economica, soddisfazione personale e ottimismo circa il futuro, le tendenze della fecondità potrebbero cambiare se non in tutti i settori della società, per lo meno entro ampie fasce del pubblico.

Piuttosto che rivolgersi a spiegazioni meccaniche, deterministiche e pre-costituite, il discorso e le politiche sulla famiglia e la fecondità dovrebbero dunque considerare – tra gli altri obiettivi – se e come sia possibile conservare e rafforzare non tanto la variabile dipendente, bensí i pilastri fondamentali che sostengono gli stessi processi demografici.

Leggi : Sviluppo e bassa natalità. L’eccezione di Israele [Parte I]

Ulteriori approfondimenti dello stesso autore:

Israele e Palestina: La forza dei numeri – Il conflitto mediorientale fra demografia e politica. Bologna: Il Mulino, 2007, 252 p.

Jewish Demographic Policies: Population Trends and Options in Israel and in the Diaspora. Jerusalem: The Jewish People Policy Institute, 2011, 324 p.

“Actual, Intended, and Appropriate Family Size Among Jews in Israel”. Contemporary Jewry, 29, 2, 2009, 127-152.

“Fertility Prospects in Israel: Ever Below Replacement Level?” New York: United Nations Secretariat, Department of Economic and Social Affairs, Population Division, Expert Paper No. 2011/9, 2011, 1-36.

“View from a Different Planet: Fertility Attitudes, Performances and Policies among Jewish Israelis”, in S. Barack Fishman (ed.) Love, Marriage and Jewish Families: Paradoxes of a Social Revolution. Waltham: Brandeis University Press, 2015, 123-150.

Il repertorio completo dei dati demografici e sociali pubblicati dall’Israel Central Bureau of Statistics è consultabile online

 

 

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