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Francia e Italia: fecondità a confronto

Ormai da qualche decennio Italia e Francia si trovano ai due estremi della fecondità europea. La prima, da almeno cinquant’anni, rappresenta infatti a pieno titolo l’Europa della bassa fecondità, mentre la seconda può ben essere presa a modello dei paesi che, con accorte e ben finanziate politiche familiari, sono riusciti a mantenere i livelli riproduttivi a non troppa distanza dalla soglia di sostituzione. I dati recenti segnalano però anche nei nostri vicini d’oltralpe una sensibile diminuzione nel flusso delle nascite e nei tassi di fecondità. La situazione attuale e il confronto tra i due paesi  vengono inquadrati da Corrado Bonifazi nelle dinamiche di lungo periodo del fenomeno.

La dinamica di lungo periodo

Le attuali differenze tra Italia e Francia iniziano a concretizzarsi negli anni settanta del Novecento, segnando una completa inversione del rapporto che sino ad allora aveva caratterizzato i livelli riproduttivi dei due paesi. Storicamente più contenuti in Francia, dove la transizione demografica si è avviata con largo anticipo, più elevati in Italia, dove quel processo arriva a pieno compimento solo dopo la fine del secondo conflitto mondiale. Considerando le dimensioni delle nuove generazioni (Fig. 1), il calo delle nascite caratterizza sia in Italia che in Francia tutto il ventennio che precede il conflitto, anche se il flusso risultava allora molto più sostanzioso nel nostro paese. In Francia il calo delle nascite si interrompe nel 1942 mentre in Italia bisognerà attendere il 1946, quando con la ripresa post-bellica i valori tornano al di sopra del milione di unità. Nel 1946 le nascite in Francia superano le 800 mila unità e si avvia un lungo periodo di sostanziale stabilità attorno a quella cifra che si prolunga sino al 2015, determinando già nel 1977 un volume di nati più alto di quello del nostro paese. Ben diverso l’andamento in Italia, dove il baby boom porta nel 1965 per l’ultima volta il numero di nati al di sopra del milione. Da quel momento si avvia una fase discendente che si ferma solo nel 1986, quando iniziano ad arrivare all’età riproduttiva le generazioni più folte del baby boom. Con la loro uscita dall’età feconda si innesca quella che è stata definita una trappola demografica1, quando l’ulteriore calo dei già bassi livelli riproduttivi va ad accompagnarsi alla progressiva riduzione delle donne tra 15 e 49 anni, innescando un meccanismo che ha portato il numero dei nati al di sotto delle 400 mila unità. 

Comune ai due paesi è la fase discendente degli ultimi anni. Dal 2010 al 2023 le nascite in Francia calano di 163 mila unità arrivando a 640 mila, in Italia nello stesso periodo la perdita è di 182 mila unità con un flusso annuale sceso a 380 mila. Prendendo in esame i tassi di natalità, la tendenza al calo di intensità del fenomeno appare con ancora maggiore evidenza nel caso italiano e, a partire dal 1948, si delinea con chiarezza anche in quello francese. Dall’immediato dopoguerra alla prima metà degli anni settanta i tassi sono sostanzialmente analoghi per i due paesi, mentre a partire da quel momento i valori francesi risultano sistematicamente più elevati di quelli italiani, anche se nel complesso in questo cinquantennio i due paesi presentano un andamento parallelo con un vistoso calo nell’ultimo periodo. 

I tassi di fecondità totale (Tft) (Fig.2), un indicatore che permette di annullare gli effetti delle diverse strutture per età e rappresenta quindi una misura più precisa della reale intensità del fenomeno, mostrano come in realtà già negli anni cinquanta le donne francesi avessero un numero medio di figli più elevato delle italiane. Solo per un breve periodo, nei primi anni settanta, la fecondità delle italiane  è risultata superiore a quella delle francesi. Da quel momento i tassi per contemporanei, pur procedendo in parallelo, mostrano un maggior livello riproduttivo in Francia, con valori che per alcuni anni si sono attestati attorno ai 2 figli per donna e al minimo sono arrivati a 1,66. In Italia, invece, dal 1984 non si supera più la soglia degli 1,5 e si è arrivati nel 1995 a un minimo di 1,19.    

I tassi per generazione2 mostrano in entrambi i paesi la discesa dei valori per le donne nate negli anni trenta, calo che in Francia si arresta con le nate nel dopoguerra, il cui Tft si attesta attorno al livello di sostituzione, mentre in Italia il calo continua sino alle ultime generazioni ad uscire dall’età feconda. Il risultato finale è un Tft di 1,49 figli per le italiane nate nel 1970 contro i 2 delle coetanee francesi.

I cambiamenti hanno ovviamente riguardato anche i profili per età dei livelli riproduttivi (Fig. 3), il cui aspetto più evidente è la tendenza a uno spostamento dei massimi verso le età più avanzate, anche se nel caso italiano la generazione del 1954 presenta un leggero anticipo rispetto a quella del 1940. In entrambi i paesi è invece netto l’innalzamento delle età in cui si registrano i livelli più intensi di fecondità nelle generazioni nate nel 1973 e nel 1981, che registrano anche un aumento della fecondità dopo i trent’anni. È interessante notare che rispetto alla generazione nata nel 1954 il livello massimo rimane della stessa intensità in Francia ma continua a scendere in Italia. 

Effetti e contesto dei diversi livelli riproduttivi

Anche se le tendenze della fecondità in Italia e Francia vanno nel complesso nella stessa direzione, le diverse intensità del fenomeno stanno determinando e ancor più determineranno nei prossimi anni scenari demografici fortemente differenziati. Considerando, ad esempio, le donne tra 20 e 39 anni, che costituiscono il gruppo in cui si concentra la gran parte del processo riproduttivo, fino al 1979 sono state di più in Italia e fino alla fine del secolo sono cresciute di dimensioni in entrambi i paesi, superando in tutti e due i casi gli 8 milioni (Fig. 4). In Francia hanno però continuato a mantenersi su questa dimensione e continueranno soprattutto a farlo fino al 2050, mentre in Italia la persistente bassa fecondità ha determinato una netta diminuzione che già le ha viste scendere a 6,2 milioni e che nel 2050 le porterà al di sotto dei 5 milioni. Un calo che, come si è visto, ha iniziato da qualche anno a determinare dimensioni sempre più scarne nelle nuove generazioni e che è destinato nel prossimo futuro a rendere sempre più acuta la trappola demografica in cui è ormai caduto il paese.

Il futuro demografico di Francia e Italia si presenta quindi per i prossimi decenni del tutto divergente, nonostante entrambi i paesi condividano, come tutti quelli sviluppati3, una tendenziale diminuzione della natalità e della fecondità, in cui lo stesso baby boom appare una parentesi limitata temporalmente4. Nelle società postmoderne si è indubbiamente creata una frattura tra tempi biologici e tempi sociali della riproduzione. Il periodo fecondo è rimasto un intervallo tutto sommato circoscritto, meno di trent’anni in cui prima di avere un figlio andrebbe completato il percorso educativo, trovato un lavoro soddisfacente e raggiunto un reddito adeguato, alla indispensabile condizione di avere accanto un partner in grado di condividere una decisione così impegnativa e importante. Tappe imprescindibili, ma che inevitabilmente riducono la finestra temporale della riproduzione. Più ostacoli vengono frapposti alla transizione allo stato adulto delle giovani e delle giovani coppie più diventa difficile coniugare fecondità desiderata e realizzata.

Da questo punto di vista lo scarto tra Francia e Italia appare notevole. Il nostro non è certo un paese per giovani5 e le differenti condizioni in questa fascia di età aiutano a comprendere molte delle ragioni della distanza che separa la fecondità italiana da quella francese. In primo luogo è stato ben diverso l’investimento che i due paesi hanno fatto sulle politiche familiari e per i figli. Secondo i dati dell’Eurostat nel 2022 l’Italia ha dedicato l’1,55% del proprio pil a questi interventi, mentre in Francia si è arrivati al 2,23. Una distanza che l’introduzione dell’Assegno unico ha ridotto, ma che per decenni è stata molto più ampia. In Francia, infatti, dagli anni novanta al 2014 è stato dedicato a questi interventi attorno al 2,5% del Pil e solo negli anni più recenti si è avuta una lieve flessione. In Italia, invece, fino al 2007 lo stanziamento per le politiche familiari e per i figli è stato inferiore all’un per cento del pil, sino al 2019 lo ha di poco superato e solo negli ultimi tre anni i valori sono saliti, rimanendo per altro distanti da quelli francesi.

L’investimento che è stato fatto nelle politiche familiari negli ultimi decenni è quindi di due ordini di grandezza radicalmente diversi e contribuisce in buona parte anche a spiegare le differenti condizioni dei giovani sui due lati delle Alpi (Tab. 1). La quota di persone tra 15 e 29 anni che nel 2024 non lavoravano, non studiavano e non frequentavano corsi professionali (Neet) è infatti decisamente più alta in Italia, per 1,5 punti percentuali tra i maschi e per quasi 4 tra le donne. Il buon andamento del mercato del lavoro italiano di questi ultimi anni ha contribuito a ridurre la quota di Neet6 e la differenza con la Francia. Nello scorso decennio in Italia si è infatti arrivati anche a superare il 24% tra i maschi e il 28 tra le donne, mentre in Francia si è al massimo arrivati nei due casi al 13,4 e al 14,5%.     

    

Diversa è anche la condizione professionale dei giovani: in Italia gli occupati rappresentavano nel 2023 il 29,3% della popolazione femminile tra 15 e 29 anni e il 39,7 di quella maschile, mentre in Francia arrivavano rispettivamente al 47 e al 50,7%. I valori francesi erano non solo decisamente più elevati di quelli italiani, ma presentavano anche una più contenuta differenza di genere. Una situazione che si presentava anche tra gli inattivi: in Francia si arrivava infatti al 45,9 e al 41%, mentre in Italia il 64,2% delle donne e il 52,9 degli uomini di quella classe di età non era presente nel mercato del lavoro. Differenze ampie si hanno anche nei livelli di istruzione dei giovani, le italiane tra 25 e 39 anni laureate sono il 36,5% contro il 54,9% delle loro coetanee francesi, mentre tra gli uomini quelle percentuali sono rispettivamente del 23,8 e del 46,5%. Uno scarto di 18,4 punti tra le donne e di 22,7 tra gli uomini, che dà una rappresentazione significativa della distanza che separa la condizione materiale dei giovani italiani da quella dei loro coetanei francesi.   

Alla luce di questi dati e del confronto con la Francia, la bassa fecondità italiana e tutti i problemi che ne conseguono appaiono strettamente legati a una condizione giovanile che, a differenza di quanto avvenuto in altri paesi, non è riuscita a tenere il passo delle trasformazioni della società. Anzi, in alcuni momenti, sono stati proprio i giovani a dover sopportare il costo maggiore dei processi in corso, come è avvenuto durante le crisi economiche del 2008 e del 2011. I necessari interventi per cercare di far risalire i livelli di fecondità italiani non possono quindi basarsi esclusivamente su provvedimenti di natura monetaria, ma vanno integrati con misure volte a migliorare la condizione complessiva dei giovani attraverso specifiche politiche del lavoro e dell’istruzione. Con una attenzione particolare alle differenze di genere che continuano a caratterizzare, specie nel Mezzogiorno, la realtà italiana e rappresentano uno degli ostacoli più rilevanti alle scelte riproduttive delle giovani coppie, rendendo complessa e difficile la conciliazione e il bilanciamento tra tempi lavorativi, famigliari e personali.    

Note

1L. Mencarini e D. Vignoli, Genitori cercasi: l’Italia nella trappola demografica, Milano, Egea, 2018.

2C. Bonifazi (2024), “Generazioni e demografia”, La critica sociologica, 4.

3S. Morgan, “Così fan tutte! Epidemiologia della bassa fecondità”, Neodemos, 14 Luglio 2023.

4S. Dattani e L. Rodés-Guirao (2025), “The baby boom in seven charts”, OurWorldinData.org.

5M. Livi Bacci (2008), Avanti giovani alla riscossa, Bologna, il Mulino.

6Lavorofacile.it, “Giovani italiani e il lavoro: la riscossa degli Eet contro il declino dei Neet”, 22 Ottobre 2024.

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