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Una regione magmatica: i Paesi MENA

Quasi mezzo miliardo di persone vivono nei paesi del Nord Africa e del Medio Oriente. Steve Morgan richiama alcune particolarità di una regione, che pur se eterogenea per reddito, sviluppo, e circostanze politiche, ha molte radici comuni, religiose e culturali, e le cui vicende hanno profondi riflessi sulle società europee.

Gli acronimi, dei quali si fa ampio uso e abuso, sostituiscono i nomi radicati nella storia e spersonalizzano la realtà cui si riferiscono. Così è per l’acronimo MENA nella letteratura geopolitica, che sta per Middle East and North Africa (o Medio Oriente e Africa Settentrionale), e si riferisce a un’area geografica che include, oltre al Marocco, i paesi della sponda sud e est del Mediterraneo, quelli della penisola arabica, Iraq e Iran. L’area MENA comprende una ventina di paesi, ma a seconda dei temi trattati in ambito internazionale, si può allargare a fisarmonica per includere altri paesi a sud e a nord dell’area. Nella Figura 1 sono riportati i 20 paesi che per convenzione fanno parte del consesso MENA come definito in rapporti, ricerche e documenti: si tratta di un insieme assai eterogeneo, di quasi mezzo miliardo di persone, di dimensioni analoghe a quelle del continente europeo. Vi si trovano paesi con reddito pro-capite altissimo (quelli della penisola arabica, produttori di petrolio), insieme a altri con amplissime fasce di povertà; paesi con crescita demografica esuberante (Yemen) e con riproduttività molto bassa (Iran); paesi con lunghe storie di emigrazione (Marocco) e altri nei quali gli immigrati sono una maggioranza. Massima eterogeneità, dunque, ma anche una pluralità di fattori comuni, culturali, religiosi, linguistici e storici, che costituiscono la cornice entro la quale si muovono i singoli stati. Inoltre le intricate vicende politiche che agitano questa regione si ripercuotono sul continente europeo: una ragione in più perché Neodemos si interessi ad alcuni aspetti di natura socio-demografica.

Popolazioni in un mare in tempesta

Quasi tutti i paesi della regione sono, o sono stati recentemente, coinvolti in guerre sanguinose, conflitti e rivoluzioni interne, violente turbolenze politiche e militari. O ne hanno subito l’onda d’urto, sotto forma di migrazioni forzate, deportazioni, flussi di rifugiati. Questi episodi poi sono andati crescendo fortemente dall’inizio di questo secolo. Secondo un centro di ricerca specializzato, “fin dall’inizio del secolo, sia la frequenza che la  gravità dei conflitti armati sono state molto più alte che non negli anni ’90. Più precisamente, il numero medio degli episodi conflittuali nei paesi MENA è più che raddoppiato, da 20 nella prima decade del secolo a 52 dal 2010 al 2022 oggi (2023). Gli effetti sulla sopravvivenza sono stati tremendi. Negli anni tra il 2010 e il 2022 le perdite di vite dovute ai conflitti hanno rappresentato il 38% delle perdite per conflitti nel mondo, sei volte in più rispetto agli anni ’90”1. E la situazione è ancora peggiorata negli ultimi tre anni, basti pensare alle decine di migliaia di morti della guerra di Gaza, ancora in corso.

Si è accennato alla eterogeneità, anche demografica, della regione, la cui popolazione, tra il 2000 e il 2025, è aumentata di circa due terzi (2,03% all’anno); un incremento che dovrebbe dimezzarsi a un terzo tra il 2025 e il 2050 (1,13% annuo), per una riproduttività prevista in diminuzione, ma non tanto da contrastare l’effetto dinamico di una struttura per età ancora oggi assai giovane. Tra oggi e la metà del secolo, la popolazione tra i 15 e i 40 anni – la fascia di età che costituisce il ”motore” di una società, nella riproduzione, nel lavoro, nell’innovazione e nella mobilità – crescerà ancora di 100 milioni di persone. Più urbanizzate e istruite delle generazioni precedenti e cruciali per la velocità dello sviluppo e gli equilibri sociali della regione.

Le Figure 2 e 3, riportano l’andamento secolare della fecondità e della mortalità infantile (strettamente correlata alla speranza di vita, ma più significativo indicatore dello sviluppo), in Nord Africa e Medio Oriente (area che include il Sudan, generalmente non incluso tra i MENA). La fecondità, pur prevista in lenta discesa, rimarrebbe superiore alla media mondiale; la mortalità infantile, storicamente assai più elevata di tale media, ne è scesa nettamente sotto a partire dagli anni ‘80 del secolo scorso. Nell’insieme, nel processo di transizione demografica in corso nei paesi del sud del mondo, la regione appare in “anticipo” per quanto riguarda la mortalità, ma in ”ritardo” per quel che attiene alla riproduttività.

Il peso delle migrazioni forzate

Le migrazioni hanno una lunga storia nella regione; Marocco, Tunisia e Egitto oggi, come in passato, sono all’origine di consistenti flussi verso l’Europa. I conflitti dell’ultimo ventennio hanno determinato crescenti flussi di rifugiati, di richiedenti asilo e di IDP (persone forzosamente dislocate all’interno del proprio paese) che hanno sconvolto i lineamenti del tradizionale sistema migratorio della regione. Questa ospita (2025) l’11% dei rifugiati e ben il 54% degli IDP del mondo. La guerra civile in Siria ha provocato l’esodo di oltre 6 milioni di persone, il 24% della popolazione, che solo negli ultimi mesi hanno iniziato a rifluire nel proprio paese. Dalla caduta del governo di Assad allo scorso mese di maggio, l’UNHCR stima in mezzo milione i rifugiati rientrati in Siria.

Il desiderio di emigrazione

Nei paesi MENA, non produttori di petrolio, la propensione a emigrare è molto elevata, soprattutto tra i giovani. Fatto che non sorprende, sia per il debole sviluppo, incapace di creare lavoro per le masse di giovani, sia per la situazione di instabilità e conflittualità creatrice di nuove povertà e soprattutto di insicurezza. Significativi sono i dati dell’ottavo Barometro Arabo, un’indagine di opinione (2023-24) in sette paesi della regione (Giordania, Kuwait, Libano, Mauritania, Marocco, Palestina e Tunisia). I risultati dell’indagine, confermano le aspettative, ma con alcune sorprese. Anzitutto nella media dei paesi, la propensione a migrare è notevolmente cresciuta nel tempo: nelle quattro indagini tra il 2006 e il 2016 riguardava tra il 22 e il 34%, nelle ultime due indagini è salita a 42-47%. Come dalle attese, è significativamente più alta tra i giovani con meno di 30 anni (Figura 5), nonché tra i giovani più istruiti rispetto a quelli con minor grado di istruzione. Tra i paesi considerati, i tunisini hanno la maggior propensione a emigrare, i kuwaitiani la minore. Sorprende la moderata inclinazione a migrare dei palestinesi, nonostante le drammatiche condizioni di vita. Per quanto riguarda la destinazione di una eventuale migrazione, l’America del nord prevale sull’Europa. 

Nella realtà, la regione MENA è caratterizzata da due sistemi migratori. Quello imperniato sui paesi produttori di petrolio, che attrae migranti dall’Asia (subcontinente indiano, Filippine), e quello sud-nord dell’area mediterranea. Quest’ultimo è composto da migranti con relativamente alto grado d’istruzione, in prevalenza provenienti da aree urbane, sospinti dalla disoccupazione e mancanza di prospettive.

Note

1Roberta Gatti et alii, Growth in the Middle East and North Africa. MENA Economic Update, Ottobre 2024, World Bank, Washington

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