La nuova revisione delle previsioni demografiche delle Nazioni Unite prefigurano un aumento della popolazione mondiale più lento e, soprattutto, si vede per la prima volta una possibile discesa della numerosità degli abitanti. Come ci spiega Stefano Mazzuco, più che dalla pandemia (considerata come una parentesi) questo dipende dal recente calo della fecondità che ha suggerito qualche correzione al ribasso del suo andamento a lungo termine.
Le previsioni della popolazione mondiale sono sempre al centro del dibattito scientifico e politico. Due anni fa le nuove previsioni elaborate dall’Insitute for Health Metrics and Evaluation avevano suscitato scalpore e critiche in quanto molto al ribasso rispetto a quelle prodotte dalle Nazioni Unite nel 2019 (La guerra delle previsioni – Neodemos 2020). Recentemente, l’ISTAT ha aggiornato al ribasso (Le nuove previsione della popolazione italiana, un adeguamento al ribasso – Neodemos 2021) le precedenti previsioni del 2018. Ora anche le Nazioni Unite hanno pubblicato la revisione delle proprie previsioni (un anno dopo rispetto a quanto pianificato) con un adeguamento al ribasso delle precedenti
Un adeguamento che continua
In realtà anche la revisione del 2019 aveva provveduto ad aggiornare le precedenti previsioni che presagivano il superamento degli 11 miliardi di abitanti prima del 2100, riportandosi su valori molto vicini al 2012, quando per la prima volta è stata adottata la metodologia corrente. La tabella 1 ci mostra tutte le previsioni al 2050 e al 2100 nelle varie revisioni, testimoniando come, invece, per l’Italia si continui a prevedere un calo sempre maggiore della popolazione: nell’ultima revisione si prospetta di calare fino a 52 milioni di abitanti nel 2050 e meno di 37 milioni nel 2100. Si noti come, invece, le previsioni per Africa e Asia siano abbastanza stabili relativamente all’orizzonte temporale del 2050 mentre la revisione del 2022 prevede dei valori sensibilmente più bassi per la popolazione del continente africano al 2100.
Il raggiungimento del “picco”
In realtà, se si guarda la figura 1, si può notare un’altra sensibile differenza tra le due revisioni: se nel 2019 si arrivava al 2100 con una popolazione ancora in crescita, nella nuova revisione troviamo che la popolazione mondiale avrà il suo “picco” poco prima della fine del secolo per poi cominciare a diminuire. Dalla figura si può capire quali siano i continenti che hanno maggiormente contribuito a questo adeguamento delle previsioni: Africa, Europa, America, mentre per l’Asia cambia poco da una revisione all’altra.
Parte della “responsabilità” di questo calo anticipato della futura popolazione mondiale è attribuibile ad un aggiornamento delle previsioni della fecondità. Come si vede dalla tabella 2, il numero medio di figli per donna previsto per i prossimi anni è inferiore e anche nel continente Africano si ipotizza per il 2100 un livello inferiore alla soglia di rimpiazzo, 2.1, al di sotto del quale la popolazione comincia a diminuire. Si noti che per Italia ed Europa si prevede comunque una crescita della fecondità anche se assai lenta. Va chiarito che al momento non esistono segnali di questa ripresa della fecondità né nel nostro paese né nel nostro continente, dove anche i paesi del nord Europa, storicamente ad alta fecondità, stanno sperimentando un calo delle nascite le cui cause sono tutt’ora oggetto di studio.
La previsione di un aumento di fecondità è, in realtà, il risultato di come è disegnato il modello di previsione, il quale assume una più o meno veloce convergenza di tutti i paesi verso valori vicini alla già citata soglia di rimpiazzo, ma non è detto che la realtà “obbedisca” a quanto stabilisce il modello.
La parentesi Covid
L’anno di ritardo con cui le Nazioni Unite hanno presentato la nuova revisione, dipende dalla pandemia, la quale ha sconvolto tutte le componenti demografiche ma in particolar modo quella della mortalità. La domanda che ci si può porre è se sia più ragionevole immaginare che il calo della longevità dovuto alla pandemia sia una parentesi o che ci possano essere degli effetti di lungo periodo e che quindi il ritorno ai livelli di mortalità pre-pandemici non sia immediato. La scelta delle Nazioni Unite si intuisce dalla figura 2 dove si mostra l’andamento della speranza di vita nel passato e quello previsto nel futuro. Nelle previsioni di mortalità, si assume che il ritorno al trend precedente sia praticamente immediato per i paesi con un alto tasso di vaccinazione e leggermente più lento (3 anni) per i paesi con una più bassa copertura vaccinale.
E la prossima revisione?
Verrebbe da chiedersi a cosa serve fare queste previsioni, se poi cambiano continuamente? Le previsioni sono utili non tanto per dirci dove saremo tra qualche anno ma piuttosto per mostrarci che direzione stiamo prendendo, direzione che può cambiare anche per eventi imprevedibili, come lo è stata la pandemia. Questa revisione ci mostra che la popolazione sta crescendo sempre più lentamente, ma questo non toglie che l’inerzia della crescita vertiginosa che c’è stata negli ultimi decenni continui a far crescere la popolazione con la prospettiva di portarci fino ai 10 miliardi di abitanti, una prospettiva che però può ancora cambiare.