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Covid-19 e mortalità nelle province italiane

L’epidemia di coronavirus, non ancora conclusa, avrà un rilevante effetto sul bilancio demografico del Paese. Per il 2020, Gian Carlo Blangiardo stima possibile un surplus di decessi compreso tra il 7 e il 14% rispetto al normale, concentrato nelle province del nord-ovest. In una ventina di province, quasi tutte nel nord, si annullerebbero i progressi della speranza di vita avvenuti negli ultimi 10-20 anni. Irrilevanti saranno invece gli effetti nel resto dell’Italia.

Premessa

In un precedente contributo, pubblicato a fine aprile, è stata fornita una prima valutazione del possibile impatto di Covid-19 sulla mortalità in Italia attraverso un modello che, ipotizzando diversi scenari di incremento nella probabilità di morte della componente più esposta ai rischi della pandemia (gli ultra 60enni), ha consentito di stimarne gli ipotetici effetti quantitativi, sia sul fronte della frequenza di decessi, sia rispetto alle variazioni dell’aspettativa di vita alla nascita e a 65 anni d’età, nonché riguardo alla variazione numerica della popolazione anziana. Partendo da questi risultati, e tenuto conto delle caratteristiche differenziali di aumento della mortalità nelle diverse aree del Paese, si è ora ritenuto utile estendere il modello utilizzato per le stime nazionali anche a livello provinciale, con l’obiettivo di fornire un quadro più preciso dell’eterogeneità che caratterizza le manifestazioni del fenomeno in oggetto.

A tale scopo sono stati introdotti per ogni provincia tre diversi scenari, ottenuti rimodulando le probabilità di morte delle corrispondenti tavole Istat 2018 (senza distinzione di genere) sulla base della variazione percentuale dei decessi nel bimestre marzo-aprile 2020 (rispetto allo stesso periodo 2015-2019) complessivamente rilevati per gli ultra65enni in ogni ambito provinciale (nel seguito V).

Nel primo scenario, definito “ottimistico”, si ipotizza che per tutte le età da 65 anni in poi il rischio di morte risulti accresciuto nel bimestre marzo-aprile 2020 in misura pari al 100% di V e che ciò valga ancora nella misura del 25% per il successivo mese di maggio; salvo poi tornare ai livelli pre-Covid- a partire dal mese di giugno 2020. Nel secondo scenario, etichettato come “moderato”, si prospetta la medesima variazione del primo scenario per i mesi di marzo, aprile e maggio, ma con un riacuirsi della mortalità da Covid-19 pari al 12,5% di V nel mese di ottobre e pari al 50% nel successivo bimestre novembre-dicembre. Infine, il terzo scenario (“pessimistico”) ripropone i medesimi intervalli temporali del precedente ma con un’intensità che, dopo averne confermato i valori per il primo trimestre, segna una risalita nella misura del 25% di V per il mese di ottobre e nuovamente del 100% per tutto il bimestre novembre-dicembre 2020.

Quanti morti in più, e dove

Rispetto all’ipotetico bilancio annuo della frequenza di decessi nel 2020, mentre su base nazionale i tre scenari proposti segnalano un incremento complessivo compreso tra 46.782 e 93.564 casi, il panorama provinciale appare decisamente diversificato. Alla crescita contribuiscono per circa il 45 per cento del totale unicamente cinque province: Bergamo, Milano, Brescia, Cremona e Torino; di contro è la Provincia di Roma a far segnare il maggior decremento dei morti su base annuale (in valore assoluto).

In termini di variazione dei tassi di mortalità, in testa alle province in cui si registrano i maggiori incrementi troviamo Cremona e Bergamo. Due realtà in cui la simulazione (secondo lo scenario intermedio) evidenzia, rispetto al caso di assenza di un effetto Covid, una frequenza di 8,21 e 7,95 morti in più per ogni mille abitanti; seguono le province di Piacenza, Lodi e Brescia, con variazioni comprese fra +5,11 e +5,77.

Non mancano tuttavia anche casi in cui si ipotizzano variazioni al ribasso dei tassi di mortalità: ad esempio per Latina, Rieti, Roma e Campobasso si prospettano quasi 0,15 morti in meno per ogni mille abitanti, mentre per Agrigento si arriva a 0,25 in meno.

Gli effetti sulla speranza di vita

Considerando le conseguenze degli scenari proposti sotto il profilo della speranza di vita alla nascita, ciò che si rileva subito è un ridimensionamento dell’aspettativa di vita particolarmente marcato nelle province del Nord. Si tratta di quelle maggiormente colpite dal Covid-19, localizzate soprattutto nel Nord-ovest e lungo la dorsale appenninica, dove si passerebbe da una vita attesa alla nascita di quasi 84 anni a una di circa 82.

L’intensità nel cambiamento della speranza di vita alla nascita appare invece decisamente minore, e nella maggior parte dei casi trascurabile, in corrispondenza di buona parte delle province centro-meridionali. Per alcune di esse, ad esempio in Sicilia, si ha persino modo di registrare un miglioramento dell’aspettativa di vita.

Le criticità appaiono ancor più nette ed evidenti allorché si restringe l’attenzione alle stime sulla speranza di vita degli over 65enni. In particolare, in tutte le province del Nord e in parte di quelle del Centro un individuo al 65° compleanno poteva aspettarsi di vivere, in epoca pre-covid, mediamente per altri 21 anni, mentre con gli effetti della pandemia tale durata – stando allo scenario intermedio “moderato” – sembra destinata a scendere a circa 19. Anche in questo caso, le province meridionali non sembrano registrare variazioni (perdite) di rilievo.

Il rilievo delle variazioni osservate, può essere colto con più immediatezza collocando i livelli della speranza di vita alla nascita così attesi per il 2020 nel trend seguito da tale indicatore nel corso degli anni. Si ha pertanto modo di vedere come, per alcune province, si torni indietro di circa un ventennio: è il caso di Bergamo, dove la speranza di vita qui prospettata equivale a quella del lontano anno 2000, o di Cremona (dove si torna al 2003). Analogamente in molte altre province, quasi tutte al Nord, si osserva un ritorno al passato che, seppur più contenuto, è comunque nell’ordine di una decina d’anni.

Un freno all’invecchiamento demografico

La marcata incidenza della mortalità in corrispondenza della popolazione in età più avanzata porta con sé, là dove è presente, anche un significativo allentamento della crescita del peso della componente anziana; fenomeno visto sino ad ora come qualcosa di ineluttabile. Non a caso, in assenza di Covid-19 la quota di ultra65enni sul totale dei residenti era destinata ad aumentare di altri 0,3 punti percentuali a livello nazionale, con un incremento in pressoché tutte le province (unica eccezione: quella di Genova).

Viceversa, se si passa all’esame degli scenari che contemplano un effetto Covid-19 emerge un deciso aumento del numero di province che registrano valori negativi nella variazione della quota di over-65. Una tendenza, quest’ultima, che è tanto più diffusa quanto più si passa dallo scenario ottimistico a quello pessimistico. Limitandoci alla variante “moderata”, si rileva come, mentre la crescita del peso della popolazione anziana in presenza di Covid-19 su base nazionale sembra destinata a ridursi a 0,2 punti percentuali, localmente ben diciannove province presentano una variazione negative di tale percentuale, con la punta massima per quella di Cremona (-0,6 punti).

La contabilità degli “anni persi”

Gli effetti complessivi dell’epidemia possono essere misurati, su base provinciale, anche attraverso il conteggio dell’eventuale “perdita di futuro” che la popolazione, nel suo complesso, va a subire a seguito dell’accresciuta mortalità dovuta alla pandemia. Si tratta, in altri termini, di misurare quale sia l’effetto atteso da Covid-19 nel modificare la consistenza di ciò che rappresenta il “patrimonio demografico” di ogni provincia, inteso come il totale di anni-vita che competono ai suoi residenti, in base alla loro struttura sesso-età e alle aspettative di vita, in un dato periodo.

In tal senso, se si tiene conto dei cambiamenti nella composizione per età e nelle corrispondenti speranze di vita nei diversi scenari si ha modo di cogliere come, ad esempio nello scenario moderato, alle condizioni di mortalità ipotizzate vi siano province in cui si registra nel 2020 una riduzione del patrimonio demografico anche nell’ordine del 5-10%. Ciò è quanto accade per Bergamo, Cremona, Lodi, Piacenza, Brescia, Lecco, Parma e Pavia, mentre nel centro-sud, ad eccezione di Puglia, Calabria e Sardegna, si registrano variazioni del patrimonio demografico sostanzialmente nulle e in molti casi persino positive.

In termini assoluti, le maggiori perdite di anni-vita si dovrebbero registrare nelle province di Milano, Bergamo e Brescia; in particolare, la popolazione residente nell’area milanese perderebbe, per effetto di Covid-19 e secondo le risultanze dello scenario moderato, più di 5 milioni di anni-vita del proprio patrimonio demografico.

Note

[1] Sintesi di un testo più ampio, disponibile all’indirizzo www.istat.it_archivio, cui hanno contribuito Roberto Fantozzi, Anita Guelfi, Valentina Talucci e Marco De Angelis.

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