Nei rapporti tra stati, le “diaspore” hanno un’influenza non secondaria. Steve Morgan riferisce su alcune caratteristiche dei cinesi e degli indiani nel mondo, di come i primi siano fortemente controllati dallo stato, e della vivacità e apertura dei secondi
Cina e India, i due paesi più popolosi del mondo, sono al centro dell’attenzione di politici, media e opinione pubblica. Il “sorpasso” demografico dell’India sulla Cina, nel 2022, è stato un avvenimento commentato alla stregua di un evento sportivo; il rallentamento dell’economia cinese e la brillantezza di quella indiana sono oggetto di commenti quotidiani di politici e accademici, così come il grado d’influenza geopolitica dei due grandi paesi e il loro possibile futuro. Ci sembra utile affrontare brevemente un altro aspetto del confronto Cina-India, non sempre sotto la luce dei riflettori.
Diaspora, migrazione e geopolitica
I grandi paesi hanno una forte influenza sull’assetto geopolitico del mondo: non solo per la potenza economica, militare o culturale, ma anche per l’esistenza, la numerosità e le caratteristiche delle loro “diaspore”, un termine greco entrato nell’uso corrente per definire – genericamente – le collettività che identificano la loro provenienza con un dato paese1. Per quanto riguarda la Cina, si parla di una diaspora di 50 o 60 milioni di persone; per l’India di 30 o 40, ma sono valutazioni molto approssimate. Meno ambiguamente, dovrebbe parlarsi di “popolazione di origine cinese, o indiana”, anziché di diaspora, comprendendo così sia i migranti di prima generazione, sia i loro discendenti, qualsiasi sia la generazione di appartenenza o il luogo della loro nascita. In questa nota si farà riferimento per lo più allo “stock di migranti” – cioè le stime, fatte dalle Nazioni Unite, delle persone nate in Cina, o in India, ma che risiedono in un altro paese e che quindi – almeno una volta nella loro vita – hanno “traversato” un confine di stato. La “popolazione di origine” cinese, o indiana, è ovviamente assai più numerosa del corrispondente “stock”.
Lo stock di migranti, cinesi e indiani, e le rimesse
Nonostante le loro dimensioni, nel 2000 Cina e India erano rispettivamente, al terzo e al quarto posto per numerosità dello stock migratorio (8 e 6 milioni rispettivamente), superati da Russia e Messico (11 e 10 milioni), stati demograficamente 10 o 15 volte più piccoli. Il caso della Russia è poco significativo, perché la frammentazione dell’Unione Sovietica ha fatto sì che milioni di russi residenti nelle repubbliche divenute indipendenti si trovassero da un giorno all’altro in una “patria” diversa. Nel 2020, lo stock migratorio dell’India passa al primo posto, e quello della Cina rimane al quarto, con incrementi del 127% e del 78%, molto maggiori di quello dell’intero stock mondiale (+48%), del Messico (+17%) e della Russia (+1%). La progressione degli stock di Cina e India, dal 1990 al 2020, può leggersi nella Figura 1: nonostante la straordinaria crescita economica e l’apertura al mondo, la Cina non ha tenuto il ritmo della sua “vicina”. La maggior parte dei migranti cinesi si trova in Indonesia, Tailandia, Malesia, Singapore e in altri paesi dell’Asia sud-orientale, ma c’è anche una forte presenza negli Stati Uniti e in Canada. Lo stock di migranti indiani è concentrato prevalentemente in nord America, e nei paesi arabi del Golfo; presenze consistenti si trovano, oltreché in Asia Meridionale, anche in Europa.
Le rimesse degli emigrati costituiscono un altro interessante aspetto dei vincoli intercorrenti tra le diaspore e le madri-patrie. Nelle Figure 2 e 3 è riportato il valore delle rimesse e l’incidenza sul PIL dei due paesi. Gli ultimi dati (2023) valutano in 120 miliardi di dollari le rimesse della diaspora indiana, e in meno di un terzo (38 miliardi) quelle della diaspora cinese. Il divario tra le due diaspore è esploso a partire dalla fine degli anni ’90. Oggi le rimesse della diaspora indiana valgono oltre il 3% del PIL della madre patria, e sono un fattore di sviluppo del paese non trascurabile. Per l’economia cinese, invece, le rimesse, che valgono una frazione di punto percentuale, hanno scarsa rilevanza.
Numerosità dello stock di migranti e i livelli delle rimesse sottintendono una vivacità della diaspora indiana che quella cinese sembra non avere.
La rilevanza politica dell’emigrazione
“We are converting the brain drain to brain gain” ha dichiarato Narendra Modi durante la celebrazione di una festa in onore degli indiani fuori dall’India. Gli fa eco Xi Jinping, affermando che “gli emigrati possono giocare un ruolo insostituibile nel realizzare il Sogno Cinese di Ringiovanimento Nazionale, perché sono dei patrioti e ricchi di capitale, talenti, risorse e contatti economici (business connections).” Nonostante queste somiglianze, i due paesi agiscono nei confronti delle diaspore in modi diversi. “Per la Cina si tratta di riportare capitali e persone in patria per promuovere lo sviluppo economico. Per l’India, l’interesse si concentra sul ruolo della diaspora come fonte di soft power e capacità, anche se le persone rimangono all’estero”2.
Per la Cina è vitale mantenere e rinforzare il controllo politico sugli emigrati, siano capitalisti, ricercatori e scienziati, studenti o lavoratori. Buona parte dei 300mila studenti cinesi negli Stati Uniti che godono di borse governative, sottoscrivono patti di lealtà col governo e si impegnano a rientrare in patria finiti gli studi: su tutti vi sono altre forme di controllo e di pressioni indirette che in varie forme si estendono agli accademici, intellettuali, associazioni, imprenditori o capitalisti. Questo non avviene per i membri della diaspora indiana, anche se il governo Modi cerca di rafforzare i legami tra il mondo di origine indiana e la madre patria. Scrive The Economist, che “imprenditori cinesi hanno fondato Zoom, NetScreen and WebEx, ma che c’è un numero molto maggiore di imprenditori di origine indiana che sono alla testa di conglomerati giganteschi, come Adobe, Alphabet (che controlla Google) e Microsoft, tra gli altri.”
Le caratteristiche molto sommariamente descritte fanno ritenere che il geloso controllo della Cina sui suoi espatriati – che hanno mietuto molti successi, esportato capitali, assunto ruoli rilevanti nel mondo degli affari – precluda una maggiore integrazione nelle società che li ospitano, e quindi attenui la loro possibile influenza internazionale. Considerazioni inverse possono farsi per la diaspora indiana, autonoma, indipendente, culturalmente assai più vivace e più influente nel mondo.
Note
1La Treccani definisce la diaspora “dispersione in varie parti del mondo di un popolo costretto ad abbandonare la sua sede di origine”. Storicamente il termine descrive la dispersione degli Ebrei, dopo le deportazioni in Assiria e in Babilonia, e dopo la distruzione del Tempio. Il termine “costretto” differenzia la diaspora dal generico termine “migrazione”; si aggiunga anche che ai membri di una diaspora si attribuisce un’identità (generalmente etnico-religiosa) e in molti casi l’obiettivo del ritorno al paese di origine. Oggi il termine diaspora è divenuto una sorte di sinonimo di migrazione, e come tale è termine comune anche nelle pubblicazioni accademiche e di organismi internazionali.
2Rachel Brown, What can China and India learn from each other about diaspora policy?, “The Diplomat”, 2-02-2017