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Un Requiem per Gaza?

La guerra di Gaza, che infuria dal 7 ottobre scorso, data del barbaro attacco di Hamas, ha già fatto decine di migliaia di vittime. Quante, non si saprà mai con esattezza, ma Steve Morgan discute la fondatezza delle statistiche fornite dal Ministero della Salute, dipendente dall’amministrazione di Hamas, considerandone i limiti, che però non ne inficiano la significatività.

La striscia di Gaza è un territorio arido e pianeggiante, di 365 kmq, abitato da 2,1 milioni di persone, con una densità umana (oltre 6.000 abitanti per kmq) elevatissima, un patrimonio abitativo, infrastrutturale, industriale e commerciale danneggiato o distrutto per oltre due terzi (Banca Mondiale). A partire da ottobre, la stragrande maggioranza della popolazione è stata costretta a lasciare le proprie dimore una o più volte, ma non ci sono “rifugiati” in altri paesi, perché dalla Striscia è impossibile fuggire1. Ci sono, però, 1,9 milioni IDP, o “Internally Displaced Persons”, per usare il linguaggio ufficiale. Dei 36 ospedali della Striscia, 16 sono funzionanti, almeno parzialmente, e 20 non sono operativi2

Secondo i dati resi pubblici dal MoH (Ministry of Health), controllato da Hamas (o da ciò che resta della sua amministrazione) che governa la Striscia da quasi un ventennio3 le vittime palestinesi del conflitto, dallo scorso 7 ottobre al 14 agosto, sono state 39.965. Secondo le fonti israeliane, le vittime israeliane sono state 1.500 (1.200 in conseguenza dell’attacco del 7 ottobre, e circa 300 militari impegnati nel conflitto).

Non è obbiettivo di queste righe esprimere valutazioni e giudizi politici sul tremendo conflitto, ma dar conto delle dimensioni della catastrofe, e del dibattito circa la validità delle stime delle perdite umane.

Ci si può fidare delle statistiche ufficiali?

Quarantamila decessi violenti in 10 mesi valgono il 2 per cento della popolazione della Striscia, una proporzione che non trova riscontro in altri recenti conflitti, ma che costituisce un profondo vulnus per la società, e getta un’ombra inquietante circa le capacità di ritorno alla pur precaria normalità precedente. Ma quanto affidabile è questa stima? Questa statistica si basa sulle rilevazioni del MoH, e c’è il sospetto di manipolazione dei dati per ingrandire le dimensioni della catastrofe per finalità propagandistiche, o per corroborare la necessità di sostegno politico e economico della comunità internazionale. Data la situazione, è impossibile (almeno in questa fase) pensare a verifiche indipendenti. Tuttavia le modalità di produzione dei dati, e la pubblicazione delle liste nominative delle vittime, fanno ritenere – grosso modo – che la rilevazione rappresenti comunque una tragica realtà, anche se non sono da escludersi possibili manipolazioni.   Il sistema di rilevazione del MoH si basava, nelle prime settimane del conflitto, nella registrazione delle vittime arrivate nelle Morgue degli ospedali, con nome, genere, età e numero di identità (Id)4. In seguito, con l’estendersi dell’occupazione e la chiusura di molti ospedali, un consistente numero di vittime, non passando dalle Morgue, non poteva essere registrato. Il MoH ha integrato il sistema tramite formulari che registrano i decessi dei quali si aveva avuto contezza per altra via, essenzialmente reliable media sources (fonti affidabili dei media). Di questa componente della rilevazione non si conosce l’affidabilità né il modo di raccolta, né l’esistenza di eventuali verifiche. Mike Spagat, un economista esperto delle conseguenze distruttive delle guerre, osserva che l’elenco reso pubblico dal MoH il 30 aprile scorso, comprendeva 24.653 vittime (accertate nelle Morgue) fino a quella data, più altre 9.882 (28,6% del totale) provenienti dai reliable media sources, e quindi non verificate, per un totale di 34.535. “Considero – che la cifra di 24.653 sia un affidabile e solido minimum del totale delle vittime al 30 aprile, mentre le circa 10.000 vittime addizionali sono, al più, poco documentate, benché trovi la cifra plausibile”5.  

Fatti e congetture

Stare ai fatti è essenziale; le congetture, che abbondano sui media e che semplificano la realtà, sono pericolose perché spesso orientate a sostenere una determinata tesi. Recentemente, sull’autorevole Lancet, è apparsa un’affermazione, prontamente ripresa dai media, secondo la quale “non è implausibile stimare che 186mila decessi, o anche più, possano essere attribuite all’attuale conflitto di Gaza”6. Gli Autori accettano la cifra ufficiale del MoH, ma la moltiplicano per 4 per tener conto degli effetti indiretti (anche futuri) dovuti a fame, malattie, epidemie, legate al conflitto. Metodo del tutto opinabile, puramente congetturale e poco attendibile.

Rimandiamo alla Figura 1 per il dettaglio di dati sommariamente ricordati all’inizio, e di altre interessanti informazioni derivanti da fonti diverse. Dati tutti da verificare e in continua evoluzione. Tre aspetti vanno sottolineati. Il primo riguarda l’incidenza di donne e bambini tra le vittime, molto alta nelle prime settimane, e successivamente decrescente. Questo andamento rifletterebbe la natura del conflitto, con ampio ricorso ai bombardamenti aerei all’inizio, e una crescente azione di terra successivamente. Nella fase iniziale l’azione militare fu tendenzialmente indiscriminata, diventando in seguito più selettiva, nell’intento di eliminare le forze di Hamas. Inoltre il conflitto fu violentissimo nelle prime settimane, con una media giornaliera di 400 vittime, scese in seguito a una media (pur con forti oscillazioni) di circa 100. Resta poi aperta la questione della distinzione fra vittime civili (sovrastimate secondo le autorità israeliane) e morti militari, o comunque combattenti (“terroristi”)7. La Figura 2 riporta la struttura per età delle vittime (di cui è stata accertata l’identità): il fatto che i bambini con meno di 12 anni (non certo dei guerriglieri) costituiscano il 20% delle vittime accertate (ma sono  il 35% circa nella popolazione reale) conferma l’alto costo del conflitto per la popolazione civile, assai più alto di quello pagato da altre popolazioni vittime di conflitti. 

Un Requiem per Gaza?

A conflitto terminato, si potrà tentare di comporre un bilancio del disastro di Gaza. Un territorio piccolo, esteso come la provincia di Prato, densamente popolato come Singapore o Hong Kong, dove la commistione tra i combattenti attivi, la cerchia dei loro sostenitori, i familiari, i simpatizzanti e il resto della popolazione è strettissima, e la “neutralizzazione” chirurgica dei primi è impossibile senza disastrosi “collateral damages”, per usare il linguaggio militare.

E dopo? La storia insegna che le capacità di recupero delle società profondamente ferite da una guerra è straordinaria. Ma nel caso di Gaza, le ferite sono profonde, inferte a una società da sempre debole, insediata in un territorio ristretto, con poverissime risorse naturali, con un indice di sviluppo umano simile a quello dell’India, economicamente dipendente dall’esterno. Anche qualora si trovasse una soluzione politica, conveniente e duratura, rimarrà il grande problema di infondere capacità di crescita autonoma alla società Gazawi stretta fra povertà economica e fondamentalismo. Un’impresa più difficile di quella di ricostruire materialmente un paese distrutto. Una naturale conseguenza sarà quella di una consistente e continua domanda di emigrazione, che i vicini arabi vedono con grande timore. 

Note

1 Ci sono innumeri passaggi sotterranei che la collegano all’Egitto, ma non certo percorribili dalla gente comune se non al prezzo di pesanti tangenti. L’Egitto da parte sua si oppone ufficialmente a tali passaggi.

2 Questi dati, di varia fonte, sono desunti da UN-OCHA, Reported Impact Snapshot. Gaza Strip, del 14 agosto 2024. Alcuni dati sono stime da verificare, altri derivano da fonti ufficiali, ma anche questi necessitano di accurate verifiche. Si tratta di dati in continua evoluzione, che rivelano tuttavia la gravità del disastro in corso.

3 Dal 2007, quando Hamas, a seguito del conflitto con Fatah, ne prende il controllo

4 Anche queste registrazioni hanno difetti e lacune, quali, ad esempio, la mancanza del numero ID, un numero erroneo, la mancanza dell’età della vittima. Ma questi difetti non inficerebbero la sostanziale fondatezza delle statistiche.

5 Si tratta di un’intervista: Professor Mike Spagat, Chair of Every Casualty Counts, explains how and why the casualty recording system in Gaza has deteriorated, and what we can still learn from the information available, The breakdown of casualty recording in Gaza since October 2023 – Every Casualty Counts. Il MoH aveva reso pubbliche le liste nominative il 7 gennaio, il 31 marzo, il 30 aprile e il 24 luglio. Si veda anche:  Nir Hasson, The Numbers Show: Gaza War Is One of the Bloodiest in the 21st Centuury, Haaretz, Agosto 2024. Abraham Wyner della University of Pennsylvania ha rilevato gravi carenze logiche nella documentazione giornaliera dei decessi secondo il sesso e l’età nei dati nominativi riferiti al breve periodo di 16 giorni (26 ottobre-10 novembre): How the Gaza Ministry of Health Fakes Casualty Numbers, Tablet, March 7, 2024. Opinioni assai diverse sono espresse sulla base di uno studio più recente, sui dati relativi agli stessi giorni: Gaza’s Death Toll Was Largely Accurate in Early Days of War, Study Finds, New York Times, 25 luglio 2024. Ci sarà tempo e modo, in futuro, di condurre ulteriori verifiche.    

6 Rasha Khatib, Martin McKee, Salim Yusuf, Counting the dead in Gaza: difficult but essential, The Lancet, Vol 404, July 20, 2024

7 Rimane irrisolta la questione della possibile dichiarazione multipla del medesimo decesso da parte di fonti diverse, e di chi sia incaricato di verificare la corrispondenza fra la persona fisica e i suoi documenti di identificazione. 

Per saperne di più

Fonte Figura 1: UN – OCHA,  Gaza_Reported_Impact_Snapshot_14_August_2024.pdf

Fonte Figura 2: Haaretz, The Numbers Show: Gaza War Is One of the Bloodiest in the 21st Century – Palestinians – Haaretz.com

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