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La radice demografica delle migrazioni italiane. 1950-2050

Nel prossimo decennio, è impensabile garantire un ricambio dei lavoratori italiani senza un intenso ricorso alle immigrazioni dall’estero, e senza porre freno alle emigrazioni di giovani dall’Italia. Vanno quindi garantiti ai giovani (italiani e stranieri) condizioni di lavoro più attrattive.

Durante i lunghi mesi dell’epidemia, il tema migratorio è entrato nell’ombra. Ora invece le migrazioni sono tornate al centro del dibattito pubblico, sia a causa degli sbarchi incontrollati, sia per effetto degli evidenti squilibri nel mondo del lavoro, dove ampi gruppi di popolazione sottoccupata e disoccupata si contrappongono a centinaia di migliaia di posti che non trovano candidati, mentre continuano a crescere le emigrazioni di giovani verso l’estero. Al di là dei dibattiti di corto respiro, conviene adottare uno sguardo lungo, per comprendere qual è stato e intravedere quale sarà il posto delle migrazioni nel ricambio della popolazione italiana. Possiamo augurarci che le scelte politiche possano giovarsi di un’analisi rigorosa dei dati.1

Cause demografiche delle migrazioni

Le cause principali delle migrazioni sono di tipo economico, ossia lo squilibrio di ricchezza e di reddito fra zone di partenza e zone di arrivo. Tuttavia, i movimenti migratori possono avere anche una radice demografica, quando si determina un’ampia differenza numerica fra i nuovi lavoratori e quanti lasciano il lavoro.

Nell’Italia della seconda metà del Novecento, i neopensionati (età 60-69) sono stati sempre più numerosi di quanti si affacciavano sul mercato del lavoro (età 20-29) – Figura 1. Poi questa differenza si è invertita, e nella prima metà del 21mo secolo gli aspiranti nuovi lavoratori sono stati e saranno molto meno numerosi dei neopensionati. 

Quindi, se nella seconda metà del Novecento la demografia ha agito come push factor, spingendo gli italiani a emigrare, nella prima metà del nuovo secolo ha agito come pull factor, attraendo immigrati dall’estero. Lo squilibrio – già oggi ampio – lo sarà ancor di più nel prossimo decennio, quando i figli del baby boom (nati nel ventennio 1955-75) progressivamente se ne andranno in pensione. Nel 2030 in Italia, stando alle previsioni delle Nazioni Unite, vivranno 9,1 milioni di 60-69enni contro appena 5,8 milioni di 20-29enni. Poi la forbice dovrebbe restringersi, ma per tutto il prossimo decennio il pool factor migratorio dovrebbe persistere, tanto che le previsioni Eurostat – al contrario di quelle Onu e Istat – prevedono un numero di immigrati maggiore, proprio per colmare questo squilibrio.2

Squilibri generati dalla scolarizzazione superiore

Questo modo di rappresentare la realtà è però semplicistico. La scolarizzazione superiore che ha caratterizzato l’Italia a partire dal secondo dopoguerra fa sì che i nuovi lavoratori siano molto diversi rispetto ai nuovi pensionati. Figura 1 può essere ridisegnata distinguendo gli italiani con basso titolo di studio da quelli con diploma superiore o laurea. L’idea è che i fattori di attrazione o di espulsione siano molto diversi se si realizzano deficit o surplus di lavoratori con diversi livelli di scolarità.

Fra il 1950 e il 1970, i nuovi lavoratori con al massimo la licenza media inferiore (ma molti di loro avevano solo la quinta elementare o nessun titolo) erano in Italia più numerosi rispetto a quelli di 60-69 anni (Figura 2). Dopo un ventennio in equilibrio, a partire dal 1990 la forbice si apre in senso opposto: il boom immigratorio del primo decennio del nuovo secolo, con milioni di nuovi lavoratori a bassa qualifica provenienti dai paesi poveri, non è spiegabile senza tener conto di questo cambiamento.3 Lo squilibrio permane anche oggi: per 4 milioni di pensionati o pensionandi con basso titolo di 60-69 anni, vi sono solo 660 mila giovani di 20-29 anni con pari scolarità. Poiché il numero di mansioni a bassa qualifica non varia di molto nel corso dell’ultimo decennio, e probabilmente resterà tale anche nei prossimi anni, è evidente la forza attrattiva espressa dall’Italia verso lavoratori a bassa qualifica provenienti dall’estero, forza attrattiva che continuerà almeno fino al 2040.

Uno squilibrio del tutto diverso caratterizza il ricambio generazionale per i diplomati e i laureati (Figura 3). L’accelerata scolarizzazione superiore ha fatto sì che nel cinquantennio 1970-2020 i giovani diplomati e laureati di età 20-29 siano stati sempre un numero ampiamente superiore rispetto a pensionati e pensionandi di 60-69 anni (nel 1995 il rapporto era addirittura di cinque a uno).

Gran parte di questi giovani sono stati assorbiti da un mondo del lavoro che – dal secondo dopoguerra a oggi – è stato in grado di creare continuamente posti per qualifiche medio-alte. Tuttavia, la sottoccupazione di ampie fasce di laureati e diplomati non è dovuta solo a qualifiche spesso non in linea con l’offerta di lavoro, ma è legata anche all’ampiezza di questi squilibri demografici.

Oggi e nei prossimi anni la situazione dovrebbe riassettarsi, perché il numero di neo pensionati con diploma/laurea sarà simile a quello dei nuovi diplomati e laureati. Tuttavia, la demografia non spiega tutto: i posti di lavoro lasciati liberi rischiano di non trovare candidati se – fuori dai confini dell’Italia – ai neo laureati e neo diplomati vengono offerte condizioni di lavoro più favorevoli: paghe migliori e prospettive di carriera più allettanti.

Attrarre e trattenere i giovani italiani e stranieri

Cosa ci dicono questi dati per il prossimo decennio? L’attrazione migratoria resterà potente verso le persone disponibili ad occupare i posti a bassa qualifica lasciati scoperti dai neopensionati, posti che difficilmente troveranno candidati fra i giovani italiani. Infatti, i giovani residenti in Italia con basso titolo di studio sono e saranno molto pochi, mentre i nuovi diplomati e laureati saranno appena sufficienti per garantire il turn over dei neo pensionati con pari titolo di studio, in un quadro demografico generale dove i 20-29enni continueranno ad essere molti meno rispetto ai 60-69enni.La sfida è duplice. Da un lato, per non restare a corto di giovani lavoratori poco qualificati, è necessario diventare più attrattivi verso i lavoratori stranieri, che oggi preferiscono la Germania o altri paesi a nord delle Alpi, dove gli stipendi sono più alti e il welfare familiare è più generoso. D’altro canto, per non restare a corto di giovani diplomati e laureati, si dovrebbero indirizzare i giovani verso percorsi di studio che garantiscano le qualifiche effettivamente richieste dal mondo del lavoro, garantendo anche ai nostri giovani stipendi, carriere e stabilità lavorativa competitivi rispetto a quelli offerti fuori dall’Italia.

Note

1 Questo breve contributo riprende ed estende quanto pubblicato in Gianpiero Dalla Zuanna e Chiara Gargiulo: “Occupazione al 2030 e mutamenti demografici. Centro-Nord e Mezzogiorno”, Analisi, Istituto Cattaneo, Bologna, 24 Gennaio 2022.

2 Marcantonio Caltabiano; “Migrazioni internazionali in Italia. Scenari futuri a confronto”. Neodemos, 9 Maggio 2023

3 Asher Colombo e Gianpiero Dalla Zuanna: “Migrazioni, demografia e lavoro in un paese diviso”, Banca d’Italia, Quaderni di Storia Economica, Settembre 2019.

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