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Contare i lavoratori… perché i lavoratori contano!

Nello stimare la popolazione in età di lavoro nel prossimo ventennio per India, Cina, USA, Europa del Sud ed Europa del Nord, Gianpiero Dalla Zuanna riflette sui profondi cambiamenti economici e geopolitici che potranno essere innescati dalle diverse evoluzioni demografiche.

Sono molti i fattori di ordine non demografico che possono agevolare o frenare lo sviluppo economico: produttività, innovazione, istruzione… Tuttavia, la prosperità presente e futura di un paese è legata a doppio filo anche al numero e alla variazione della sua popolazione in età lavorativa (20-64 anni). Come leggiamo tutti i giorni sui giornali, se i lavoratori non si trovano è difficile che le imprese investano, l’economia si indebolisce, e alla lunga il reddito prodotto tenderà a diminuire.

È possibile stimare la popolazione in età lavorativa nel prossimo ventennio in tutti i paesi del mondo in assenza di migrazioni, grazie ai dati sulla popolazione per età all’inizio del 2021 pubblicati dalla Population Division delle Nazioni Unite. Queste stime sono affidabili, non risentendo della fecondità del 2021-40, perché quanti compiranno vent’anni nel prossimo ventennio sono tutti già nati. Contano poco anche le differenze di sopravvivenza, perché in età 0-64 la mortalità – per le aree del mondo che andremo a confrontare – è contenuta (Tabella 1 e Figura 1).

Negli USA e nell’Europa del Nord, fra il 2021 e il 2040, la popolazione in età lavorativa cambierà di poco, perché per tutti il periodo 2021-40 il numero di quanti compiranno vent’anni quasi eguaglierà quello di quanti compiranno 65 anni. Ciò accadrà – in larga misura – perché la fecondità nei primi due decenni del XXI secolo, in queste aree del pianeta, è stata relativamente sostenuta.

Nell’Europa del Sud, invece, senza saldi migratori positivi la popolazione in età lavorativa diminuirà rapidamente e inesorabilmente, perché le affollate coorti protagoniste del baby boom, nate negli anni 1955-74 verranno solo in parte sostituite dalle striminzite coorti di nati nei primi due decenni del nuovo secolo.

Anche in Cina la popolazione in età lavorativa diminuirà, per effetto della politica del figlio unico, che ha ridotto drasticamente le nascite degli ultimi decenni (sono gli attuali e futuri ventenni), a fronte di coorti molto folte di genitori e nonni (sono gli attuali e futuri sessantacinquenni). L’opposto accade in India, dove il numero di persone in età lavorativa continua ad aumentare. Tuttavia, a causa del calo della fecondità degli ultimi anni, l’incremento dei lavoratori, quinquennio dopo quinquennio, anche in India sarà sempre più contenuto.

Alla luce dei futuri processi di sviluppo economico e degli equilibri geopolitici, sono numerose le considerazioni che possono scaturire da questi numeri: vediamone tre.

Innanzitutto, è confermato il drastico cambio di rotta dei due “giganti” asiatici. Lo straordinario sviluppo economico della Cina nei decenni passati è stato trainato anche da una disponibilità quasi inesauribile e sempre crescente di nuovi lavoratori. Ora questa stagione è finita, e dopo decenni di fecondità bassa e calante, la demografia della Cina (come quella di tutto l’Estremo Oriente dell’Asia, in verità) assomiglia sempre di più a quella dell’Europa del Sud. Al contrario l’India nei prossimi anni vedrà continuamente crescere il numero dei potenziali lavoratori, mentre si abbasserà ulteriormente l’indice di dipendenza, ossia il rapporto (P0-19+P65+) / P20-64, perché diminuiranno i bambini mentre gli anziani saranno ancora un numero limitato. Quindi, nei prossimi decenni l’India potrà godere di una “finestra demografica” assai favorevole allo sviluppo, simile a quella di cui ha goduto la Cina nei trent’anni appena trascorsi. Se l’India saprà approfittare di questa demografia favorevole, il suo peso geopolitico è destinato ad aumentare notevolmente e rapidamente.

In secondo luogo, colpisce la contrapposizione fra la demografia del Sud Europa da una parte, e quella del Nord Europa e degli USA dall’altra. Negli Usa e nel Nord Europa la demografia del mercato del lavoro è in equilibrio, e i nuovi migranti verranno – attratti da fattori extra-demograficI, come la carenza di lavoratori in alcuni settori, i differenziali salariali e così via – potranno incrementare ulteriormente la forze di lavoro. La sfida per l’Europa del Sud è invece più radicale. In Italia, Spagna, ma anche nei Balcani, è necessario attrarre in tempi brevi un gran numero di giovani lavoratori, frenando nel contempo le uscite di giovani autoctoni, per evitare un inevitabile declino del reddito complessivo e della forza geopolitica dei paesi coinvolti. Forti saldi migratori positivi potranno anche rimpinguare il numero di persone in età riproduttiva, frenando il calo delle nascite. È una sfida difficile, che esige cambi di paradigma anche e forse soprattutto culturali, ma non ci sono alternative credibili.

Infine, come si vede nelle ultime due colonne di Tabella 1, le cinque aree messe a confronto sono accomunate da un progressivo forte invecchiamento dei potenziali lavoratori, particolarmente accentuato in India (quasi otto anni in più nel giro di soli vent’anni!). I prossimi anni saranno quelli dei lavoratori maturi. Per evitare che questo invecchiamento si trasformi in perdita di efficienza e produttività, saranno necessari grandi programmi di formazione continua.

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