Popolazione mondiale:

Popolazione italiana:

Giovani (0-19 anni):

Anziani (64+ anni)

Pensions at a glance – again (Uno sguardo alle pensioni. Di nuovo)

L’uscita del rapporto OCSE 2023 sui sistemi previdenziali nei paesi sviluppati può essere uno spunto di riflessione sul caso Italia, che è tra quelli messi peggio, se non il peggiore in assoluto, per il forte invecchiamento, i bassi tassi di occupazione, l’elevata aliquota contributiva (peraltro insufficiente a finanziare le prestazioni), e via dicendo. Lo sguardo al problema che ci propone Gustavo De Santis è preoccupato, ma non (ancora) disperato. 

E’ uscita poco prima di Natale l’edizione 2023 della biennale pubblicazione OCSE Pensions at a glance. Si tratta di un rapporto corposo, di 234 pagine fitte, che, comprensibilmente, pochi leggono per intero – e chi vi scrive non è tra questi. Ma all’OCSE lo sanno, e, siccome sono furbi, preparano anche estratti sintetici per singoli paese. All’Italia ne sono dedicati addirittura due: uno di due pagine, nella sezione Country specific findings, e l’altro, di sei pagine, nella sezione Country profiles of pension systems.

Poiché ho motivo di credere che siate ancor più pigri di me, e non abbiate voglia di leggere neppure questi due estratti, eccovi allora una sintesi delle sintesi, che mi dà anche agio di ripetere cose che dico da tempo, e che in realtà tutti sanno, ma non vogliono sentirsi dire. Il succo, se non avete voglia di leggere il resto, è che l’Italia è messa male già oggi (anche dal punto di vista previdenziale, intendo), e che il rapido invecchiamento del paese renderà le cose ancora peggiori nei prossimi 20 o 30 anni.

Il pozzo di San Patrizio delle pensioni

Il pozzo di San Patrizio (Orvieto, Terni) fu costruito tra il 1527 e il 1537 per garantire acqua alla città, in caso di assedio. Ma, come dice Wikipedia, è anche un’espressione utilizzata per riferirsi ad una riserva misteriosa e sconfinata di ricchezze, come nel nostro paese per molti anni è stato concepito il sistema previdenziale, il che in parte spiega perché siamo oggi  (e saremo domani) a pagarne le conseguenze. Secondo altri, continua Wikipedia, con l’espressione “è come il pozzo di San Patrizio” si intende qualcosa in cui si buttano risorse ed energie, ma inutilmente, perché non si riempie mai e non si riesce a trovarne la fine – e questo ricorda la seconda parte della storia previdenziale in Italia: i tentativi di riforma, iniziati nel 1995, e non ancora giunti a conclusione.

D’accordo, il rapporto OCSE non cita il pozzo di San Patrizio. Ma cita molti numeri, alcuni dei quali riassunti nella tabella 1. Nel contesto OCSE siamo i primi, o siamo molto vicini a esserlo, ad esempio in termini di invecchiamento (con 41 anziani ogni 100 adulti, contro un valore del 31% per l’OCSE, intendendo per anziani coloro che hanno 65 anni o più, e per adulti coloro che ne hanno tra 20 e 64), di aliquota contributiva (33% contro il 18% in media) e di peso delle pensioni pubbliche sul PIL (16% contro meno dell’8%, in media). I nostri anziani, se andassero in pensione a 65 anni, resterebbero a carico della collettività per oltre 21 anni, contro meno di 20 nella media OCSE. In realtà, però, le cose vanno peggio, perché, nonostante leggi formalmente draconiane, che imporrebbero l’accesso alla pensione a 67 anni e passa, l’età effettiva al pensionamento è di appena 62 anni e mezzo, un anno più bassa della media OCSE. Questo avviene per le mille eccezioni che siano stati capaci di introdurre, prima (nel 1995) salvaguardando i “diritti acquisiti” di chiunque purché non fosse giovane, poi introducendo quote a tutto spiano (100, 102, 103), poi creando categorie speciali di lavori (usuranti e, dal 2018, gravosi), per cui una vasta e (parole OCSE) ingiustificata platea di lavoratori è ha diritto a una pensione anticipata, e poi, non contenti, creando anche l’APE (anticipo pensionistico), l’APE sociale e l’opzione donna. Non a caso, nelle età mature da noi si lavora poco: nella fascia di età 60-64 anni, ad esempio, il nostro tasso di occupazione è del 41%, contro il 54% della media OCSE.

Tutto questo mentre il paese si è progressivamente impoverito, in termini relativi (siamo oggi di un 14% al di sotto della media OCSE in termini di retribuzione orarie), e la distribuzione dei redditi si è clamorosamente spostata a favore degli anziani (oggi più ricchi della media della popolazione, mentre nei paesi OCSE il loro reddito medio è invece inferiore).

Il debito pubblico è abnorme, 140% del PIL (contro 80% nei paesi dell’Unione Europea e avendo ancora il 60% come valore massimo accettabile per far parte dell’area Euro), e una buona fetta di questo è attribuibile al fatto che i contributi, nonostante l’altissima aliquota (33%), non bastano a coprire la spesa previdenziale, che grava sulle finanze pubbliche per un 4-5% del Pil. Ogni anno, da molti anni, e ancora per molti anni a venire.

Siamo alla frutta?

Non siamo ancora alla canna del gas, anche se evidente mi pare la sproporzione tra l’enormità del problema previdenziale e la sua irrilevanza nel dibattito pubblico – a cominciare dalla scarsa attenzione dedicata, dalla politica e dai media, al rapporto OCSE (di questa, come, a dire il vero, delle precedenti edizioni).

Non ho qui lo spazio per affrontare il tema dei possibili rimedi, che certamente, però, dovrebbero essere tempestivi e ad ampio spettro. Tra i principali si potrebbero citare:

1) Una più seria attuazione della legge Dini/Fornero (in teoria in vigore, ma in pratica continuamente aggirata da eccezioni, leggi ad hoc, salvaguardia dei diritti acquisiti e compagnia cantante), se non addirittura una sua evoluzione nel sistema IPAYGO (Improved Pay-As-You-Go o “Ripartizione Evoluta”), di cui nessuno parla (ma quando sarò morto mi rimpiangerete: De Santis 2022),
2) un aumento della partecipazione al mercato del lavoro ufficiale: dei giovani, dei lavoratori maturi, delle donne,
3) un aumento dell’immigrazione, per la quale creare rapidi e sicuri percorsi di integrazione e inserimento lavorativo e, con effetti nel più lungo periodo,
4) un ritorno della fecondità verso valori non troppo inferiori ai due figli per donna (contro i circa 1,2 attuali).

Si potrebbe anche citare una migliore politica dei redditi: in Italia esiste un serio problema di sperequazione, che è ancora più accentuato alle età anziane, e con minori differenze tra chi ha tanto e chi ha poco si potrebbero anche più facilmente abbassare gli importi medi delle pensioni, ma non spingiamoci troppo in là, nel libro dei sogni…

Precisazione

Articolo prodotto nell’ambito della ricerca Next Generation EU (PNRR), Investimento PE8 – Progetto Age-It: “Ageing Well in an Ageing Society”. Finanziamento Next Generation EU [DM 1557 11.10.2022].

Per saperne di più

De Santis G. (2022) “Pensioni e demografia in Italia: alcune considerazioni e una proposta”, Rivista del Diritto della Sicurezza Sociale, 3, 389-422, doi: 10.3241/105237 (ISSN 1720-562X)

OECD (2023) Pensions at a Glance 2023: OECD and G20 Indicators, OECD Publishing, Paris, https://doi.org/10.1787/678055dd-en.

PDFSTAMPA

Condividi questo articolo

Sostieni Neodemos


Cara Lettrice e caro Lettore, fare buona e seria divulgazione è il mestiere che esercitiamo da 15 anni con impegno e entusiasmo e, ci dicono, con autorevolezza. Dacci una mano a fare il nostro lavoro e rafforza la nostra indipendenza con un contributo, anche piccolo. Ci aiuterà a sostenere i costi di Neodemos, e ci incoraggerà a far meglio.

Grazie!

Iscriviti alla nostra newsletter


Due volta la settimana, riceverai una email che ti segnalerà i nostri aggiornamenti


Leggi l'informativa completa per sapere come trattiamo i tuoi dati. Puoi cambiare idea quando vuoi: ogni newsletter che riceverai avrà al suo interno il link per disiscriverti.

Potrebbero interessarti anche