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Globalizzazione in crisi?

Negli ultimi tempi si è diffusa l’opinione che i processi di globalizzazione siano in crisi. Ma per molti aspetti, i vincoli tra paesi appaiono più forti che mai, come mostra Massimo Livi Bacci, con riferimento all’aumento delle rimesse dei migranti nel mondo, nel 2021, 2022 e nei primi mesi del 2023.  

Non tutte le notizie provenienti dal mondo dell’economia sono sconfortanti. A metà anno, per esempio, l’IMF (International Monetary Fund) ha comunicato che le rimesse degli emigrati verso i paesi di origine sono fortemente aumentate nel 2021 e nel 2022, e sono ancora in ascesa nei primi mesi del 2023. Vale la pena ricordare che nel 2020 l’esplosione della pandemia, la frenata dei flussi migratori, il rallentamento delle economie e l’accresciuta disoccupazione tra gli immigrati, avevano spinto gli esperti, i centri di ricerca e le organizzazioni internazionali – Banca Mondiale in testa – a formulare la previsione molto pessimista di un crollo a due cifre delle rimesse, poi non confermata dai fatti. L’orizzonte, allora (appena tre anni fa) appariva negativo, anche in funzione di un previsto processo di de-globalizzazione dell’economia mondiale, che l’aggressione della Russia all’Ucraina ha aggravato.

Globalizzazione e slowbalization 

La Figura 1, consegna una efficace sintesi del processo di globalizzazione nell’ultimo secolo e mezzo1. Si tratta del rapporto tra la somma del valore delle importazioni e delle esportazioni di ciascun paese, e il prodotto dei paesi stessi. Cinque periodi caratterizzano questo lungo periodo. Il primo (1860-1913), fino alla prima Guerra Mondiale, caratterizzato dalla crescita del commercio internazionale, dalla complementarietà di Europa e America, dal crollo del costo degli scambi. Il secondo, che comprende le due Guerre Mondiali (1914-1945), di profonda crisi e regresso per i conflitti, le chiusure e il dilagare del protezionismo. Il terzo (1945-71), di ripresa, caratterizzato da cambi fissi. Il quarto, di liberalizzazione degli scambi e di forte e continua crescita (1972-2007). Il quinto, dalla grande crisi finanziaria a oggi (2008-2023), di stagnazione della globalizzazione (slowbalization), per l’aumento delle tensioni internazionale, le minori riforme, un minore consenso politico all’integrazione tra economie. Molti esperti, da diversi anni, predicono la fine, o addirittura una inversione, del processo di globalizzazione, prospettiva resa più viva dalla guerra di Ucraina. Tuttavia il flusso dei beni, cuore del processo di globalizzazione, negli ultimi anni si sta stabilizzando, dopo un ventennio di crescita doppia di quella del PNL (prodotto nazionale lordo). Di conseguenza, il rapporto tra valore degli scambi e PNL è perfino un po’ cresciuto, sorprendentemente, negli ultimi due anni, segno di un rafforzamento dei vincoli tra paesi. “Inoltre gli indicatori dei flussi di conoscenze e knowhow (i dati, la proprietà intellettuale o IP), i flussi dei servizi, i movimenti degli studenti internazionali, hanno accelerato il passo e crescono adesso più velocemente del PNL. I flussi di dati sono aumentati del 40% all’anno negli ultimi dieci anni”2. A questo dovremmo aggiungere l’intensificazione delle reti sociali: il numero degli utenti dei social media è cresciuto da 2,7 miliardi del 2017 a 4,9 nel 2023 (+81%), quasi i due terzi della popolazione mondiale. Potremmo dire, con facile sintesi, che c’è una globalizzazione tangibile, fatta di beni materiali (e anche finanziari) e una sociale intangibile, o quasi, fatta di conoscenze, e che la seconda è molto più dinamica della prima, che però non sembra orientata al declino. 

Vincoli tra paesi che si rafforzano: le rimesse dei migranti

Più significativo di altri legami è quello costituito dalle cosiddette “rimesse” degli emigrati, cioè le somme di denaro – parte quindi del loro reddito, per lo più da lavoro –  inviate nel paese di origine. L’invio di denaro implica l’esistenza di un legame, tra persone che risiedono in paesi diversi, di natura economica, di affetto, di parentela, di amicizia, di solidarietà. Risorse monetarie impiegate da chi lo riceve, in genere, per migliorare l’alimentazione, adeguare l’abitazione, proteggere la salute, mandare i figli a scuola, comprare attrezzi da lavoro, fare piccoli investimenti. Le rimesse ricevute dai paesi di basso o medio reddito costituiscono una somma cospicua, vicina al due per cento del prodotto lordo dei paesi che la percepiscono. Ma vi sono canali informali – sia legali che illegali – di trasmissione delle rimesse che le statistiche e le stime ufficiali non colgono, cosicché è plausibile pensare che l’apporto dei migranti alle economie dei paesi di origine sia sensibilmente superiore al due per cento3. L’evoluzione recente delle rimesse (Figura 2) ha visto una lieve diminuzione dai 548 milioni di dollari nel 2019 ai 542 nel 2020 (-1,1%), e una forte ripresa nel 2021 e nel 2022 (599 e 647 milioni di dollari, +10,5 e +8%). I primi segnali del 2023 sono ancora positivi, ma prudenzialmente, e in ragione di un rallentamento della crescita mondiale e dei conflitti in corso, si prevede un aumento di uno-due punti percentuali rispetto al 20224.

Nel 2009, anno della gravissima crisi finanziaria globale, la contrazione delle rimesse era stata molto più forte (-5%) di quella avvenuta nel primo anno del Covid. Dal 2017 le rimesse degli emigrati hanno superato (e la forbice si sta allargando) gli Investimenti Diretti Esteri (IDE, o FDI, Foreign Direct Investment) e negli ultimi anni sono all’incirca uguali al valore della somma degli Ide con quanto erogato dall’Aiuto Pubblico allo Sviluppo (APS, o ODA, Official Development Assistance). In alcuni paesi – nelle repubbliche ex-sovietiche dell’Asia centrale, in Nepal, in Libano, in centro America e nei Caraibi, le rimesse valgono più di un quinto del PIL, e sono ossigeno vitale per il loro equilibrio economico e sociale (Figura 3). 

Crisi e solidarietà

Le ragioni della sorprendente resistenza delle rimesse alla crisi Covid erano state attribuite agli stimoli fiscali che avevano sorretto l’economia dei paesi ricchi oltre le aspettative, alla sostituzione dei canali formali a quelli informali, e alle fluttuazioni cicliche nei prezzi del petrolio e nei cambi monetari5. Queste spiegazioni trascuravano un fattore essenziale, che è quello della solidarietà dei migranti con le famiglie rimaste in patria, con la cerchia delle amicizie, con le comunità di origine. I migranti, benché risentano delle crisi assai più dei residenti, soffrono assai meno di coloro che rimangono in patria in gravi condizioni di povertà, e mantengono il loro sostegno, e in tempi avversi anche lo aumentano. Il senso di solidarietà dei migranti è un sollievo per chi rimane in patria, e ha una funzione anticiclica per le economie dei loro paesi di origine. 

Note

1Shekhar Ayar e Anna Ilyina , Charting Globalization’s Turn to Slowbalization after Global Financial Crisis,  8 febbraio 2023, IMF.Charting Globalization’s Turn to Slowbalization After Global Financial Crisis (imf.org)

2Globalization is here to stay, colloquio tra Lucia Rahilly e Olivia White, febbraio 2023, The future of globalization: What to expect next | McKinsey

3 Massimo Livi Bacci, Le rimesse degli emigrati: solidarietà e pandemia, Neodemos, 1 Ottobre 2021

4The World Bank, Remittances Remain Resilient but Are Slowing, Migration and Development Brief  n. 38, June 2023

5 World Bank, Defying predictions, Remittance flows remain strong during Covid-19 crisis – Global Diaspora News

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