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Così fan tutte! Epidemiologia della bassa fecondità

La bassa, e spesso bassissima, riproduttività si sta estendendo in tutto il mondo, e i tentativi di rianimarla con apposite politiche raccolgono scarsi risultati. Steve Morgan avverte che occorre prepararsi a un lungo ciclo di invecchiamento demografico, operando per riportare nel pieno della vita sociale e produttiva una quota crescente di popolazione che oggi ne è esclusa. Con l’aiuto delle nuove tecnologie digitali.

Nel 2022, sono nati in Cina 9,6 milioni bambini, meno di un terzo dei 30 milioni nati nel 1963, dopo la crisi della Grande Carestia del 1959-61, e poco più della metà dei 18 milioni nati nel 2016. È un dato che assieme alla notizia che la Cina, nel 2022, ha perso un milione di abitanti rispetto all’anno precedente e ha lasciato il primo posto all’India, nella graduatoria dei paesi più popolosi, ha allertato i media e colpito l’opinione pubblica. “Ma come, non c’è più il boom demografico nel mondo, la bomba non è esplosa, e bisogna preoccuparci per il futuro declino della popolazione, l’aumento dei vecchi e il rarefarsi dei bambini? Non era questo, da decenni la specialità dell’Italia?”. Eppure è così, e siccome l’andamento della popolazione è strettamente legato a quello delle nascite, va segnalato che queste, nel mondo, avevano raggiunto il massimo nel 2014, con 144 milioni, ma da allora sono andate diminuendo e nel 2022 i nati sono stati “solamente” 134 milioni.

Bassa natalità: non più prerogativa dell’Occidente!

La bassa natalità1, prerogativa dell’occidente fino alla metà del secolo scorso, sta diffondendosi ovunque, o quasi, nel mondo. Nella Figura 1 è riportato il numero medio di figli per donna per regioni e continenti, dal 1950 a oggi, insieme alle le proiezioni delle Nazioni Unite, fino alla fine del secolo. In America, Asia (con l’esclusione del Medio Oriente), Australia e Europa la fecondità è già oggi prossima, o nettamente inferiore, al livello di rimpiazzo. Fanno eccezione i paesi del Nord Africa e del Medio Oriente e quelli dell’Africa sub-sahariana, questi ultimi ancora a livelli doppi o tripli del resto del Mondo. Il pianeta, nel suo complesso, ha una fecondità oggi stimata in 2,3 figli per donna, contro 4,9 all’inizio degli anni ’50. E poiché è inevitabile che anche nei paesi dove la natalità è alta, questa diminuisca nel futuro, è assai probabile che il livello attuale diminuisca ancora. Lo suggerisce, tra l’altro, la Figura 2, che riporta la stima delle donne in età fertile secondo il ricorso ai metodi di limitazione delle nascite, nel 1990 e nel 2020. Tra le due date, c’è un aumento della proporzione delle donne che utilizzano metodi “moderni”, o sicuri (pillola, diaframma, sterilizzazione) e una diminuzione delle donne che utilizzano metodi “tradizionali” o non ne usano. Tuttavia queste rappresentano ancora il 13% di tutte le donne in età fertile (e il 23% di quelle che possono avere figli), una quota destinata a ridursi, comprimendo ulteriormente la riproduttività nel mondo. Circa i due terzi della popolazione del pianeta vive, oggi, in paesi o regioni con una fecondità inferiore al livello di rimpiazzo (2,1 figli per donna). Se nulla cambiasse, escludendo una ripresa della natalità (e al netto delle migrazioni), la popolazione di questi paesi sarebbe destinata a declinare. 

Discesa troppo rapida, e ripida

Come si dirà più avanti, la diminuzione della natalità è un fenomeno strettamente consequenziale allo sviluppo culturale, sociale ed economico. Nessuna sorpresa che questo avvenga. Ciò che sorprende e preoccupa è l’entità della diminuzione. In molti paesi europei, il numero medio di figli per donna è stabilmente, da decenni, inferiore a 1,5. In Italia, come è noto, oscilla tra 1,2-1,3, e in una regione, la Sardegna, è nettamente sotto 1. La bassissima fecondità tocca anche altre vaste regioni, come l’Asia Orientale, dove vive un quarto circa della popolazione del mondo. La Figura 3, riporta il numero medio di figli per donna di 8 paesi, tutti stabilmente e abbondantemente sotto il livello di rimpiazzo (nel 2022 Corea del Sud, 0,9; Singapore 1, Cina 1,2, Tailandia e Giappone 1,3). In questi paesi a bassissima fecondità si sono moltiplicati interventi per sostenere la natalità, ma con effetti assai limitati. Scrive un esperto “Le politiche sociali hanno indubbiamente fatto molti passi avanti in Corea del Sud, Giappone o Taiwan, come può dedursi dalle misure sui congedi parentali e altri interventi di sostegno per i bambini, ma poco si è fatto per innovare la cultura del lavoro. Sono lenti i cambiamenti delle norme necessarie per combattere gli stereotipi di genere, mentre sono forti le difficoltà per l’istruzione dei figli e per trovare adeguate abitazioni nelle grandi città, dove oramai vive la maggioranza della popolazione. Sono queste le realtà che devono affrontare le coppie che considerano il matrimonio e progettano di avere figli”2.

Una tendenza oramai globale

L’analisi demografica e sociologica della riproduttività suggerisce alcune considerazioni. La prima è che, nei prossimi decenni, la bassa fecondità – quella sotto i livelli di rimpiazzo – si estenderà ad altri paesi e regioni, caratterizzando una quota crescente della popolazione mondiale. La seconda è che le politiche sociali tese a invertire la rotta al ribasso hanno avuto scarsi successi, perché mal disegnate o male applicate, o perché dotate di scarse risorse. La terza riflessione è che dalla “bassa” riproduttività non sembra essere esente nessun gruppo umano. Salvo alcune minoranze assai piccole, fortemente motivate (ad esempio, gli ebrei ortodossi) e solitamente in disparte dalla società mainstream. Hanno bassa fecondità cristiani e agnostici, musulmani (Iran) e indù (nella metà meridionale dell’India), buddisti e confuciani. Hanno bassa fecondità paesi molto ricchi e paesi molto poveri; regimi ultra-capitalisti, liberisti, socialdemocratici e comunisti. Dei 10 paesi più popolosi del mondo, solo due, la Nigeria e il Pakistan, hanno ancora una riproduttività molto superiore al rimpiazzo; uno, l’India lo ha raggiunto; gli altri sette ne sono nettamente sotto. 

Nella demografia, come in tutte le vicende umane, nulla – nemmeno la bassissima riproduttività – è necessariamente per sempre. Vanno perciò attuate e perfezionate le politiche che rendono possibile realizzare la genitorialità desiderata, eliminando le costrizioni più dure e ingiuste. Questo potrà evitare ulteriori regressi, e sostenere qualche limitata ripresa. In ogni caso, occorre prepararsi a un lungo ciclo di invecchiamento demografico, operando per riportare nel pieno della vita sociale e produttiva una quota crescente di popolazione, che ne è esclusa per motivi che un tempo – quando la vita era più corta e vulnerabile – erano pienamente legittimi, ma oggi appaiono ingiustificati. Le innovazioni tecnologiche e digitali potranno rendere meno gravosi gli oneri connessi con l’invecchiamento, e riportare in attività le persone in grado di operare. 

Note

1In questo scritto si farà ricorso ad una misura che elimina l’influenza della struttura età sulle nascite, denominata per semplicità, “numero medio di figli per donna”, o “figli per donna” (TFT). Il TFT relativo a un anno rappresenta il numero di figli che una donna metterebbe al mondo nell’arco della sua vita feconda qualora alle varie età, tra i 15 e i 50 anni, sperimentasse la fecondità effettivamente realizzata, in media, dalle donne in quel determinato anno.

2Gavin W. Jones, Ultra-low fertility in East Asia: policy responses and challenges, “Asian Population Studies”, vol. 15, n.2, 2019

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