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Zone gialle e zone rosse: il caso del veneto

Nella “prima ondata” della pandemia, secondo Enzo Migliorini, il “Modello Veneto” ha salvato la vita a molte persone. Nella “seconda ondata”, invece, mantenendo la regione in zona gialla, il Veneto è diventato la pecora nera tra le regioni italiane in termini di supermortalità causata dalla pandemia.Quanti Veneti si sarebbero salvati con la zona rossa?

Un confronto territoriale corretto

Nessuno può rispondere a questa domanda con assoluta certezza, ma con alcune elaborazioni nemmeno troppo difficili si può fare una stima abbastanza plausibile.

E’ evidente che i dati dei contagi e dei morti di una regione non sono direttamente confrontabili con gli analoghi dati nazionali o con i dati di altre regioni, date le diverse dimensioni territoriali e demografiche. Traducendo però i valori assoluti in valori pro-capite, i confronti sono fattibili e permettono di costruire grafici che mostrano chiaramente gli effetti delle varie politiche regionali sulla diffusione dei contagi e delle morti che ne conseguono.

Una elaborazione molto semplice si ottiene rapportando all’ammontare della popolazione le medie mobili settimanali (per eliminare le anomalie da weekend) dei contagi e dei morti giornalieri. Si può quindi costruire, ad esempio, un grafico di confronto fra le curve del Veneto e quelle nazionali (Fig. 1 e 2).

La prima riflessione, esaminando tali curve, riguarda le dimensioni della contagiosità nella seconda ondata, molto superiori rispetto a quelle della prima. Sia nel Veneto che in Italia il massimo giornaliero nella prima ondata è stato di circa 10 contagiati per 100.000 abitanti, mentre nella seconda si avvicina a 60 in Italia e supera 80 in Veneto.

Eccedenza di contagiosità e di mortalità rispetto alla media nazionale

Le curve dei morti giornalieri per 100.000 abitanti mostrano invece che nella prima ondata il Veneto è rimasto sotto il livello di 0,8 mentre la media nazionale toccava 1,4; nella seconda ondata l’Italia si è fermata ad 1,2 mentre il Veneto è salito sopra 2, circa il doppio.

Per facilitare il confronto si può calcolare giorno per giorno la differenza fra il valore regionale ed il valore nazionale, ottenendo così i seguenti grafici (Fig.3 e 4)

La contagiosità del Veneto è rimasta molto simile a quella nazionale fino al DPCM 2020.11.03 che lasciava il Veneto in zona gialla, mettendo la maggior parte dell’Italia in zona rossa. Questo ha fatto calare drasticamente la contagiosità nel resto d’Italia facendo salire a dismisura il numero dei contagiati nel Veneto, che per Natale erano mediamente 50 al giorno (sempre per 100.000 abitanti) più dell’Italia. L’eccedenza è poi scesa con la zona rossa natalizia.

Osservando lo scarto nella mortalità giornaliera si notano i valori negativi registrati in Veneto durante la prima ondata, grazie alla strategia del Professor Crisanti (adottata dalla Regione), traducibile in vite salvate dalla morte, e si nota l’impennata di novembre e dicembre, quando contrariamente ai suggerimenti del Professor Crisanti, il Veneto è rimasto in zona gialla moltiplicando non solo i contagi, ma soprattutto i morti.

Dal 4 marzo al 25 aprile la minore mortalità veneta rispetto alla mortalità nazionale si traduce in 17,5 morti in meno ogni 100.000 abitanti, quindi in 858 morti in meno, che devono la vita al modello seguito dalla regione, a cominciare dalla zona rossa di Vo’.

Disatteso il modello in novembre e dicembre, la mortalità per Covid-19 nel Veneto, ostinatamente lasciato in zona gialla, è salita alle stelle, mentre nelle zone rosse calava drasticamente.

Dal 4 novembre al 30 dicembre i morti eccedenti nel Veneto rispetto alla media nazionale sono stati 23,3 per ogni 100.000 abitanti, per un totale di 1.142 persone che probabilmente si sarebbero salvate se il Veneto fosse stato classificato zona rossa. Aggiornando i dati al 7 gennaio l’eccedenza sale a 32,72 per un totale di oltre 1.600 morti in più.

Naturalmente non si può affermare che la morte di questi 1.600 veneti sia certamente da attribuire alla zona gialla, perché sicuramente hanno concorso anche l’abuso dei tamponi rapidi poco affidabili nelle RSA e l’assenza di strutture per l’isolamento dei positivi, come gli alberghi sanitari della Toscana: l’isolamento fiduciario in casa, senza alcuna assistenza medica, è un formidabile strumento per la moltiplicazione dei contagi e dei morti. Se poi è alta la percentuale di positivi che muoiono significa che il sistema sanitario non è in grado di curarli. E forse le terapie intensive non si riempiono perché i malati muoiono prima di arrivarci, o appena arrivati.

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