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Il Nuovo Patto su Migrazione e Asilo: solidarietà a ostacoli

Da tempo l’Italia chiede maggiore solidarietà nella gestione dell’asilo. E, nella proposta su migrazione e asilo presentata il 23 settembre 2020 dalla Commissione Europea1, le nuove forme di solidarietà tra gli Stati Membri sono forse il tassello più nuovo. Proviamo quindi a capire di che cosa si tratta e, soprattutto, quali difficoltà potrebbe incontrare nella sua implementazione.

Le nuove forme di solidarietà tra Stati Membri

La prima (non-)novità è che la tanto attesa riforma del Regolamento di Dublino non c’è nel Nuovo Patto: vengono solamente proposti alcuni correttivi che, per quanto riguarda l’Italia, coinvolgeranno un numero ridotto di casi. Il Patto prevede che un richiedente asilo possa essere trasferito in un altro stato della Unione Europea se, in precedenza, abbia studiato in quello stesso stato, o se lì si trovino suoi parenti stretti, estendendo questa definizione a fratelli e sorelle (ma con limitazioni).

La proposta della Commissione prevede invece tre forme di solidarietà (detta per questo “flessibile”), tra cui i paesi chiamati a fornire un sostegno concreto agli stati di primo arrivo potranno scegliere.

  • Il ricollocamento dei richiedenti asilo, già sperimentato con poco successo dal 20152;
  • La sponsorizzazionedell’espulsione, che prevede di trasferire la responsabilità dell’allontanamento, forzato o volontario, a un altro Stato Membro, il quale inizialmente agirà a distanza ma, trascorsi invano 8 mesi (4 in situazione di “crisi”), dovrà accogliere il migrante da espellere sul proprio territorio e proseguire la procedura da lì.
  • Il sostegno operativo, assistenza e capacity building.

La solidarietà, inoltre, non sarebbe occasionale come è stata finora, ma sistematica e scatterebbe in tre diverse situazioni. La prima riguarda lo sbarco di persone dopo il salvataggio in mare. Sarà elaborata dalla Commissione una proiezione annuale dei bisogni, a cui gli stati membri risponderanno con il ricollocamento su base volontaria. Se la solidarietà offerta non sarà sufficiente, la Commissione tenterà prima una negoziazione nell’ambito di  un Solidarity Forum che dovrebbe comprendere tutti gli stati membri, per poi passare a una solidarietà obbligatoria, la cui entità potrà essere variata se gli arrivi saranno maggiori del previsto e che, accanto al ricollocamento, prevede la sponsorizzazione dell’espulsione. Gli Stati possono combinare i due tipi di risposta.

La seconda situazione nella quale scatta la solidarietà sorge quando si verifica, o si profila una eccessiva pressione (o un rischio di pressione) migratoria, accertata dalla Commissione, eventualmente su richiesta da uno stato membro, in base a parametri da definire. Anche in questo caso, la solidarietà è inizialmente su base volontaria ma, a differenza di quanto accade in caso di sbarchi, può assumere tutte e tre le forme indicate sopra; quando non dovesse risultare sufficiente, si avvia una procedura simile a quella prevista per gli sbarchi per la negoziazione nel Solidarity Forum e il passaggio alla solidarietà obbligatoria.

Il terzo caso è quello del verificarsi di una situazioni di crisi, della quale manca una definizione ma che il vice presidente della Commissione, Margaritis Schinas (che ha la delega sulle migrazioni), vagamente indica come “una situazione simile a quella del 2015”. In questo caso non ci sarà flessibilità: le quote di ricollocamenti ed espulsioni sponsorizzate attribuite a ciascuno Stato saranno calcolate con una formula (distribution key) basata su popolazione e prodotto interno lordo, come per i ricollocamenti decisi del 2015.

Tra le forme di solidarietà previste dal Nuovo Patto, la vera novità è costituita dalla sponsorizzazione delle espulsioni. Proviamo a immaginare come potrebbe funzionare in generale e nel caso specifico dell’Italia.

La sponsorizzazione delle espulsioni alla prova dei fatti

La grande difficoltà di espellere i migranti irregolari è un incontestabile dato di fatto: il tasso di espulsioni medio dell’UE nel 2019 è stato del 32% (e del 24% in Italia) (Eurostat)3. La ragione non risiede solo nei costi dei voli, quanto nel fatto che per espellere qualcuno bisogna avere l’assenso del paese verso cui la persona deve essere rimandata. La riammissione degli espulsi è difficile da ottenere poiché gli stati e le società di origine vedono nell’emigrazione un modo per alleviare la pressione sul mercato del lavoro e per ricevere rimesse utili allo sviluppo, come era per l’Italia un tempo. Pertanto, le riammissioni devono essere in genere negoziate all’interno di accordi che prevedono scambi di varia natura per compensare il danno economico, sociale e politico generato dal ritorno forzoso dei propri emigranti.

Ciascuno stato membro tende a stipulare accordi bilaterali con i paesi di origine dei migranti appartenenti alle principali nazionalità che arrivano sul suo territorio e si organizza per rimpatriare soprattutto quelle. Gli stati membri dell’est Europa, per esempio, non hanno accordi con stati africani. Per superare questo possibile ostacolo, il Nuovo Patto prevede che lo stato sponsor scelga la nazionalità delle persone da avviare all’espulsione. Tuttavia, i desiderata dei diversi paesi debbono fare i conti con i dati sulle principali nazionalità presenti nei paesi di primo arrivo come l’Italia.

Accanto agli accordi bilaterali dei singoli stati membri, vi sono poi gli accordi di riammissione europei. Tuttavia, come recita un allegato del Patto4, laddove gli accordi di riammissione con i paesi dei Balcani occidentali  e dell’est Europa sono utilizzati dagli stati membri al loro massimo potenziale, gli accordi con gli altri paesi terzi, tutti asiatici e africani (Afghanistan, Bangladesh, Guinea, Etiopia, Gambia e Costa d’Avorio), non danno i risultati sperati. Pertanto, difficilmente questi accordi UE riusciranno a compensare l’eventuale mancanza di accordi nazionali con paesi di origine non europei5.

Il caso dell’Italia

Proviamo ora a immaginare come funzionerebbe il meccanismo proposto nel caso dell’Italia. Nella tabella 1 sono elencate le prime dieci nazionalità di coloro che hanno ricevuto nel 2019 una decisione di prima istanza sulla loro richiesta di asilo (ossia una decisone delle Commissioni Territoriali e che può quindi essere appellata in Tribunale) e i relativi tassi di diniego di una qualche forma di protezione. Come si vede, i tassi di diniego sono tutti superiori all’80% (con l’eccezione di El Salvador), per cui la maggior parte dei richiedenti asilo di queste nazionalità sarebbe destinata all’espulsione. A questi numeri sono affiancati, nell’ultima colonna, quelli delle espulsioni effettuate da tutti i 27 stati membri, che rappresentano la potenza di fuoco complessiva dell’UE su questo fronte.

Domande prima istanza (va) e percentuali di dinieghi (%) e rimpatri effettuati dai 27 Stati Membri per nazionalità (2019).

Paese di origine del richiedente asiloNumero decisioni sulle domande di asilo in Italia (va)Dinieghi (%)Rimpatri effettuati dai 27 Stati Membri (va)
Nigeria16.59483%2.685
Pakistan11.95486%5.795
Bangladesh8.15594%1.835
Senegal5.66595%790
Gambia4.40492%660
Mali4.19280%420
Ucraina4.06888%28.030
Costa d’Avorio3.76488%395
El Salvador3.18350%295
Guinea3.07091%445
Fonte: elaborazione su dati della Commissione Nazionale per il Diritto di asilo; Eurostat.

Emerge chiaramente quanto riconosciuto dalla stessa Commissione: le espulsioni effettuate da tutti i 27 stati membri verso paesi europei come l’Ucraina risultano piuttosto consistenti, mentre le espulsioni per le restanti non basterebbero a esaurire i soli candidati provenienti dall’Italia. Ma il nostro paese non sarà il solo a chiedere solidarietà. E gli arrivi del 2019 sono stati molto contenuti rispetto a quelli del 2015-2016.

I meccanismi descritti lascerebbero irrisolti, in misura cospicua, i problemi dell’Italia. Inoltre la sponsorizzazione delle espulsioni, ideata per ottenere il sostegno degli stati più avversi alla solidarietà, potrebbe tradursi in un ricollocamento di migranti difficilmente espellibili dopo gli 8 mesi previsti dal Patto. La prospettiva di accogliere decine di migliaia di migranti africani non regolarizzabili e difficilmente espellibili è sicuramente già stata avvertita dai capi di stato dell’Europa dell’est e potrebbe spiegare, anche se solo in parte, il loro pronto e deciso rigetto del Nuovo Patto.

Infine, è difficile immaginare che le persone rimangano reperibili in attesa del trasferimento al paese sponsor dell’espulsione. Tuttavia, pensare a detenzioni di massa non è né auspicabile, né possibile: nella proposta della Commissione le scelte in merito sono lasciate ai singoli paesi, ma la detenzione non potrà essere automatica, bensì dovrà richiede decisioni personalizzate soggette ad appello, in coerenza con la sentenza della Corte di Giustizia Europea sulla zone di transito istituite all’Ungheria.

In conclusione, la solidarietà tra stati e, più in generale, il successo del Nuovo Patto dipendono in larga parte dal funzionamento delle espulsioni. Tuttavia, si tratta dell’area di intervento in cui l’azione della UE e degli Stati Membri è meno autonoma, in quanto dipendente dalla cooperazione di stati terzi, mantenuta solo in cambio di continue e sostanziose contropartite, che comunque sono sovente insufficienti a garantire risultati soddisfacenti ed espongono a frequenti ricatti, come accade con la Turchia. Viene dunque il sospetto che il complesso gioco (al ribasso), che equipara sempre più i richiedenti asilo a migranti irregolari e che investe ingenti risorse economiche e organizzative in elaborati strumenti repressivi ed espulsivi, sia un vicolo cieco, costoso economicamente e ancor più politicamente qualora dovessimo ammetterne, ancora una volta, il fallimento.


Note

1 ec.europa.eu

2A oggi sono state ricollocate 34.000 persone sulle 160.000 previste

3 Per un’elaborazione dei dati sulle espulsioni dei singoli paesi si veda il Commission Staff Working Document –  eur-lex.europa.eu p. 44.

4 Commission Staff Working  Document, eur-lex.europa.eu p. 45),

5 Tuttavia, il Nuovo Patto propone di rafforzare l’azione dell’UE sul fronte delle espulsioni estendendo le funzioni dell’agenzia europea FRONTEX e istituendo la figura del “coordinatore delle espulsioni”, coadiuvato da una nuova rete ad alto livello per le espulsioni (Un nuovo patto sull’immigrazione e l’asilo)

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