Da molti anni ormai il concetto tradizionale di cittadinanza democratica è stato messo in crisi dai mutamenti sociali in atto. Le migrazioni del presente, ma anche del passato, hanno notevolmente contribuito a questo cambiamento. Come ci spiega Cinzia Conti, a seguito delle trasformazioni in atto in molti Paesi, tra i quali anche l’Italia, si stanno discutendo da diversi anni possibili modifiche della normativa e anche a livello europeo sono stati necessari interventi della Commissione.
Dalla cittadinanza alle cittadinanze: le conseguenze dell’integrazione
La domanda “quante cittadinanze hai?” sarebbe potuta suonare strana in passato, ma non oggi. In Italia i nuovi cittadini per acquisizione della cittadinanza al 1° gennaio 2021 sono, secondo il Censimento della popolazione, circa un milione e 400 mila. Nella maggior parte dei casi si tratta di persone con doppia cittadinanza, non in tutti però. Non è così per esempio per le persone originarie di Cina o Ucraina. Questi due stati infatti non riconoscono la possibilità di avere un doppio passaporto, con la conseguenza che poche persone, originarie di questi Paesi, prendono la cittadinanza di un altro stato. Si deve però sottolineare che negli ultimi decenni il riconoscimento della doppia cittadinanza si è ampiamente diffuso. Moltissimi Stati – soprattutto dell’Est Europa, ma anche dell’Asia – hanno trasformato la normativa, adeguandola alla possibilità di cittadinanze plurime. La stessa Ucraina aveva iniziato un processo di transizione che è poi stato arrestato dallo scoppio della guerra.
La doppia cittadinanza non è solo una questione o una condizione giuridica, ma ad essa spesso si riconduce un senso di identità e appartenenza molteplice che si differenzia molto da quel sentimento identitario che ritroviamo negli scritti da Federico Chabod. La recente indagine Istat “Bambini e ragazzi: comportamenti, atteggiamenti e progetti futuri” mette bene in evidenza che nella fascia di età tra gli 11 e i 19 anni il 6% dei ragazzi ha una doppia cittadinanza e nella maggior parte dei casi (83,3%) si sente non solo italiano, ma anche dell’altra cittadinanza.
Alla nuova complessità della cittadinanza contribuiscono però anche da coloro che non hanno (formalmente) la cittadinanza italiana, ma si sentono anche italiani nella sostanza: L’80,3% dei giovanissimi stranieri residenti in Italia si sente anche italiano, sebbene non sia riconosciuto formalmente come cittadino. La percentuale è ancora più alta tra coloro che sono nati in Italia da genitori stranieri: 85,2%
A complicare il quadro si deve aggiungere un altro elemento. L’elevato valore riportato di chi, pur straniero, si sente italiano è quello medio del collettivo degli stranieri, ma si rilevano notevoli differenze per le diverse collettività: per i cinesi la quota di chi si sente anche italiano supera di poco il 47%, ma si sale all’85,8% tra i marocchini e all’89,5% tra i romeni (fig.1). Le differenti cittadinanze fanno scelte diverse rispetto alla naturalizzazione, anche in rispondenza delle norme vigenti nel Paese di origine, ed evidenziano inoltre atteggiamenti diversi rispetto all’identità e all’appartenenza.
Cittadinanza ed emigrazione
La questione dell’acquisizione di cittadinanza è arrivata però ultimamente alla ribalta non solo con riferimento alle questioni poste dell’immigrazione, ma anche per quelle poste dalla passata emigrazione. Sono infatti moltissimi i discendenti di emigrati italiani in Paesi del Sud America (soprattutto nati in Argentina e Brasile) che rivendicano oggi la cittadinanza italiana per discendenza. Talmente tanti che i consolati non riescono a sbrigare le pratiche e che molti comuni italiani, specie quelli che in passato sono stati terra di emigrazione, segnalano gravi difficoltà nella gestione delle pratiche ed emergono, nella confusione, casi di procedimenti non corretti ed episodi di vere e proprie truffe con tanto di intervento delle autorità.
È evidente che, se per alcuni la richiesta della cittadinanza italiana corrisponde a un intento di stabilizzazione e integrazione nel nostro Paese, in molti casi non c’è un vero interesse ad accedere alla cittadinanza per vivere in Italia. Se si considerano le acquisizioni di cittadinanza iure sanguinis dei residenti in Italia – si tratta di una piccola quota rispetto al numero molto più ampio che riguarda i residenti all’estero –risulta infatti che tra coloro che sono diventati italiani tra il 2012 e il 2020 oltre il 13% è poi rapidamente emigrato all’estero; la quota di chi si trasferisce sfiora il 50% per gli originari del Brasile.
Questi casi sembrano mettere in crisi, per altri versi, l’idea di cittadinanza come identità e appartenenza e anche quella di diaspora. Si tenga ad esempio conto che il censimento evidenza che solo il 31,6% degli italiani residenti all’estero è nato in Italia
Cittadinanza come passaporto
Al di là del risvegliarsi di tendenze nazionalistiche in molti stati occidentali – e non solo – nella prassi sembra evidente che ci astiamo allontanando sempre di più da Federico Chabod e dall’idea di nazione che affondava le sue radici nel romanticismo e che esaltava il senso di individualità storica e enfatizzava, contro le tendenze generalizzatrici ed universalizzanti, il principio del particolare. La scossa la concetto tradizionale arriva da più parti. Da un lato ci sono le nuove generazioni con appartenenze “multiple”, identità “transazionali” etc. che sfidano l’idea di singolarità e faticano a vedere riconosciuti i propri diritti tra i mille cavilli – “lacci e lacciuoli” – delle pratiche burocratiche amministrative italiane. Dall’altro è evidente che la “cittadinanza” in un mondo sempre più interconnesso si associa frequentemente non solo all’idea di radicamento e legame con un territorio, ma anche con quella di libertà di movimento. La cittadinanza è anche un passaporto che consente di spostarsi liberamento nel mondo e in questo senso la cittadinanza italiana – che è anche una cittadinanza europea – è particolarmente potente. Lo è per i discendenti di emigrati, ma lo è anche per i giovanissimi di seconda generazione che spesso emigrano da adulti verso Paesi diversi. Cambia così anche l’idea di diaspora italiana nel mondo che negli anni, non solo è diventata più istruita e qualificata, ma anche sempre più multiculturale andando ben oltre i confini delle “little Italy” di hollywoodiana memoria. Questa ipotesi di cittadinanza come passaporto, che Chabod non poteva contemplare, è talmente forte che porta con sé anche distorsioni preoccupanti tanto che sono state necessarie in Europa pronunce della Commissione per evitare la compra-vendita della cittadinanza volta a favorire gli investimenti in alcuni Paesi (come Malta e Bulgaria). Anche questi casi, seppure estremi, evidenziano un distacco profondo dalla forma sembra abbastanza lontana da sostanza.
Prospettive fluide
Anche la cittadinanza diviene quindi fluida. Se fino a qualche tempo fa la statistica si poteva permettere di ignorare questi cambiamenti perché riguardavano una parte minoritaria della popolazione, oggi non è più così e sempre meno lo sarà in futuro. La doppia, ma sempre più spesso la multipla cittadinanza dovrà essere considerata nelle rilevazioni se si vorrà dare conto davvero della complessità di un mondo sempre più interconnesso e mobile. Un segnale in questo senso è stato dato dal Censimento della Popolazione dell’Istat che ha diffuso a dicembre dettagliati dati sui “nuovi cittadini”, cioè sulla popolazione italiana per acquisizione della cittadinanza, ma anche, allo stesso tempo, dati sul Paese di nascita degli italiani residenti all’estero. Nel nostro Paese non sono solo gli stranieri che diventano italiani ad avere una doppia cittadinanza, ma ci sono anche tanti italiani alla nascita che hanno da subito o che acquisiscono/acquisiranno una doppia cittadinanza (ma anche tripla). In questa fase di cambiamento appare particolarmente rilevante seguire da vicino le trasformazioni anche per fornire dati di supporto a una riflessione su possibili cambiamenti normativi e per provare a tracciare la fluidità.
* Le opinioni espresse in questo articolo sono quelle degli autori, e non riflettono necessariamente quelle dell’istituzione di appartenenza