La riforma dell’immigrazione è tornata, nelle intenzioni di Obama, tra le priorità dell’agenda politica per il 2014. Purtroppo lo slancio che aveva portato il Senato ad approvare, a metà dello scorso anno, una corposa riforma con un sostegno bipartisan, si è afflosciato con il passaggio alla Camera. Ragioni contingenti, quali la questione siriana, l’aspro confronto sulla legge di bilancio, il tardivo compromesso sull’innalzamento del tetto del deficit (col blocco di 16 giorni delle spese federali), hanno distratto il dibattito dalla questione migratoria e reso incerto il cammino futuro della riforma. Nel frattempo lo stock degli irregolari ha ripreso a crescere, e le ultime stime lo pongono, nel 2012, a 11,7 milioni. Serpeggiano dubbi che la riforma possa nascere nel 2014, anno delle elezioni di mezzo termine, e si riaccende il dibattito.
Una riforma a metà del guado
“Infine, se vogliamo seriamente occuparci di crescita economica, è tempo di raccogliere l’appello dei leader delle imprese, dei sindacati, delle congregazioni religiose, delle forze dell’ordine – per riparare il nostro danneggiato sistema migratorio. I Repubblicani e i Democratici del Senato hanno agito, ed io conosco membri di ambedue i partiti nella Camera dei Rappresentanti che vogliono fare lo stesso. Economisti indipendenti affermano che la riforma dell’immigrazione farà crescere la nostra economia e ridurrà il nostro deficit di quasi mille miliardi di dollari nei due decenni prossimi. E per ragioni evidenti: i migranti che arrivano per realizzare i loro sogni – per studiare, innovare, contribuire alla nostra cultura – rendono il nostro un paese più attrattivo per creare nuove imprese e generare lavoro per tutti. E allora, quest’anno, facciamo la riforma dell’immigrazione. Impegniamoci a farlo. E’ oramai tempo.”
Sono queste le parole, pronunciato nel messaggio sullo Stato dell’Unione del 28 gennaio scorso, con le quali Obama ha posto di nuovo la riforma dell’immigrazione nelle priorità dell’agenda politica per il 2014. In un precedente articolo1, al quale rimandiamo per i dettagli, erano state tratteggiate le linee del pacchetto di riforme approvato dal Senato il 26 Giugno del 2013 (Legge S. 744, denominata “Border Security, Economic Opportunity and Immigration Modernization Act”). L’aspetto più rilevante della riforma è quello inerente alla regolarizzazione. Agli irregolari (undocumented) – salvo coloro che sono esclusi per motivi giudiziari – viene concesso lo status di RPI (Registered Provisional Immigrant, col pagamento di una multa di $ 1000), col quale all’immigrato è concesso di lavorare e viaggiare regolarmente. Lo status vale 6 anni ed è rinnovabile; nella maggior parte dei casi saranno necessari 10 anni per l’accesso allo status di LPR (Legal Permanent Resident) e la concessione della Green Card (condizionata ad un test di conoscenza dell’inglese e dei rudimenti della cultura del Paese). Il percorso è dunque assai lungo, anche se tutti possono imboccarlo, potendo così scrollarsi di dosso (entro un anno dall’approvazione della legge) il loro status vulnerabile di irregolare.
La legge agevola la riunificazione delle famiglie, restringendone però il perimetro ai membri di primo grado; incentiva l’immigrazione di qualità, eliminando alcuni tetti numerici, rendendo possibile l’ammissione di persone con alta specializzazione senza richiesta di un datore di lavoro; introduce meccanismi a punti per la valutazione delle domande. Essa si pone l’obbiettivo di accelerare l’esame dei dossier accumulati degli aspiranti migranti, valutati in diversi milioni di casi, e di comprimere i lunghissimi tempi di attesa per le riunificazioni familiari. Infine la legge prevede l’aumento del flusso annuale di nuove Green Cards (escludendo i lavoratori stagionali, le regolarizzazioni e l’esaurimento degli arretrati) da poco più di un milione nel 2012 a una cifra compresa tra 1,55 e 1,75 milioni nel 2018.
Un cammino in salita
Il 2014 sarà un anno decisivo: se la legge non sarà approvata dalla Camera, “l’orologio della riforma sarà azzerato” all’inizio del 2015, quando entrerà in funzione una Camera rinnovata per metà dalle elezioni di medio termine2. Nelle prime settimane dell’anno si sono accentuate le incertezze circa la possibilità di trovare sufficienti sostegni alla riforma in campo repubblicano. Se è vero che i repubblicani vogliono recuperare spazio nell’elettorato latino, che ha massicciamente votato per Obama nel 2012, è anche vero che i loro candidati temono che l’elettorato più conservatore possa punire il loro sostegno alla riforma alle prossime elezioni. Temono che il cammino per la legalizzazione (con successiva possibilità di accesso alla cittadinanza) sia troppo facile, e non sia adeguatamente bilanciato da sufficienti garanzie, e che non si faccia abbastanza per rafforzare i controlli, alle frontiere ed altrove. Da qui la tentazione di operare interventi parziali “spacchettando” l’insieme della riforma. E nel 2015, con un Congresso rinnovato, ed in vista delle presidenziali dell’anno successivo, una nuova navigazione appare ancor di più irta di incognite. D’altro canto c’è una crescente consapevolezza nel paese della necessità di una riforma, sostenuta fortemente, come ha ricordato lo stesso Obama, da imprenditori, sindacati, gruppi religiosi, forze dell’ordine, e una fioritura di gruppi di attivisti.
Un paese nel paese
Le ultime accurate stime sulla popolazione in posizione irregolare negli Stati Uniti – basate su una combinazione di varie statistiche e indagini campionarie ufficiali – ne fanno ammontare la consistenza, nel 2012, a 11,7 milioni3. Una cifra vicina al 4% della popolazione, che può confrontarsi con lo 0,6-0,7% stimato per l’irregolarità nel nostro paese. Dopo la regolarizzazione di circa 3 milioni di persone nel 1986, lo stock degli irregolari si è riformato a ritmo sostenuto, con un aumento medio annuo attorno al mezzo milione: nel 1990 erano 3,5 milioni, nel 2000 superavano gli 8 milioni, raggiungendo un massimo di 12,2 milioni nel 2007. Negli anni successivi si è avuto una contrazione di quasi 1 milione (11,3 milioni nel 2009 e nel 2010) e poi una lieve ripresa fino agli 11,7 del 2012. L’inversione di tendenza dopo il 2007 si fa risalire alla crisi economica interna, più che ai rafforzati controlli alla frontiera col Messico. Secondo gli esperti, due terzi degli irregolari vivono negli Stati Uniti da più di dieci anni; inoltre ci sono tra 4,5 e 5 milioni di minori che sono figli di irregolari ma essendo nati negli Stati Uniti sono cittadini americani. Essi sarebbero tuttavia colpiti duramente – seppure indirettamente – nel caso dell’eventuale deportazione dei loro genitori. Deportazioni che avvengono al ritmo di mezzo milione all’anno, e rappresentano un concreto rischio per gli irregolari.
L’eventuale ulteriore insabbiamento della riforma del sistema migratorio americano costituirebbe un grave scacco per l’amministrazione Obama. Non solo perché rimarrebbe irrisolto il problema del “paese nel paese”, ma anche perché l’intero sistema è gravato da lentezze, inefficienze, ingessature che rallentano il buon funzionamento dell’economia. La peggiore delle situazioni: uno scacco sul fronte dei diritti, un freno alla crescita.
Note
1 – Steve S. Morgan, La riforma dell’immigrazione negli Stati Uniti: è giunta l’ora?, Neodemos, 19 Giugno 2013
2 – Muzaffar Chishti and Faye Hipsman, US Immigration Reform Didn’t Happen in 2013; Will 2014 Be the Year?, Migration Policy Institute, 9 Gennaio 2014,
3 – Jeffrey S. Passel, D’Vera Cohn, Ann Gonzales Barrera, Population Decline of Unauthorized Immigrants Stalls, May Have Reversed, Pew Research Center, Settembre 2013,