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Famiglia e fecondità in Italia: tutto cambia perché nulla cambi? (*)

A metà settembre l’Istat ha pubblicato gli ultimi dati su famiglie e natalità in Italia. Passati un po’ sotto silenzio in un momento nel quale la crisi economica e politica del nostro paese sembra attrarre tutta l’attenzione dell’opinione pubblica, essi rivelano un quadro demografico in mutamento, ma anche di rinnovata sofferenza.
 
Un nuovo calo delle nascite
La sorpresa è che la “ripresina” della fecondità italiana non c’è più. Anzi, i dati del 2009 e del 2010 mostrano un calo delle nascite, che passano da poco meno di 577mila nel 2008, a 569mila del 2009, a neanche 562mila del 2010. Il trend di aumento continuo che si registrava ormai dall’anno di minimo storico (il 1995, con 526mila nati) sembra essersi interrotto. Mentre i nati da almeno un genitore straniero continuano ad aumentare, e sono ormai oltre 100mila all’anno (quindi quasi un quinto del totale delle nascite – si veda figura 1), diminuiscono i nati da entrambi i genitori italiani (25mila in meno in due anni).
L’analisi più approfondita degli indicatori di fecondità, e non del semplice numero assoluto dei nati[1], riserva ulteriori sorprese: il tasso di fecondità totale di tutte le donne residenti in Italia appare sostanzialmente stabile. È passato da 1,42 figli per donna nel 2008 a 1,40 nel 2010. Livelli ben più alti del nadir toccato nel 1995 con 1,19, tuttavia sempre ben lontani dalla soglia di rimpiazzo delle generazioni (pari a poco più di 2). Tuttavia, se distinguiamo tra donne italiane e donne straniere, vediamo che la fecondità media di quest’ultime è in netto calo: da 2,31 figli per donna del 2008 a 2,13 del 2010. Il dato non stupisce se guardato congiuntamente con quello dell’età al parto che vede crescere l’età media anche per le donne straniere (29 anni contro gli oltre 31 delle italiane).
Negli ultimi due anni anche lo scenario regionale è cambiato: il calo delle nascite (a parte i casi della provincia autonoma di Trento e della regione Sardegna) investe tutte le regioni, anche quelle del Centro-Nord che erano state protagoniste delle variazioni positive degli ultimi 15 anni. Insomma, come sottolinea anche l’Istat, l’incremento del recente passato nel Centro-Nord Italia nella fecondità era probabilmente dovuto ad un recupero delle nascite precedentemente rimandate e a una maggiore presenza straniera, fattori che sembrano non bastare più per consentire ulteriori aumenti del numero medio di figli per donna.
 
Le nuove famiglie
In altri paesi europei il diffondersi di comportamenti meno tradizionali nella formazione delle coppie e nella nascita dei figli sono stati il preludio di un aumento della fecondità. Nell’Italia della famiglia “forte” i nuovi comportamenti familiari si sono diffusi molto lentamente e molto più al Centro-Nord che al Sud. Gli ultimi dati ci parlano di una tendenza che comunque sembra inarrestabile: dopo il calo rilevante dei matrimoni (si veda De Santis, “Una famiglia che cambia sotto i nostri occhi ”),  si registra nel 2009 un ulteriore aumento delle unioni libere (comunque ancora sotto la quota delle 900mila e sotto il 6% delle coppie), mentre l’8% dei matrimoni celebrati nel 2009 è stato preceduto da un convivenza prematrimoniale. Proporzioni ancora basse e, soprattutto, confinate geograficamente (al Centro-Nord) e tra le coppie dove entrambi i partner lavorano e sono istruiti. Forse non sufficienti, quindi, a trascinare l’aumento della fecondità.
Eppure la sorpresa più grande viene proprio dai comportamenti poco tradizionali in termini di nascite: nel 2010 i nati da genitori non coniugati sono stati oltre 134mila, quasi un quarto delle nascite totali. La progressione è rapidissima, passando da poco più del 19% del 2008, al 20% del 2009 al 24% del 2010. A incrementare questa tendenza (come di vede dai dati della tabella 1, riferiti però al 2009) non sono tanto i figli di entrambi genitori stranieri (con una quota di nascite fuori dal matrimonio molto sotto la media) ma piuttosto i figli delle coppie miste che, in oltre un caso su tre, hanno un figlio pur in assenza del vincolo matrimoniale.

Tab. 1 – Nati da genitori coniugati e non coniugati per tipologia di coppia, anno 2009 (valori percentuali)

TIPOLOGIA DI COPPIE Nati da genitori coniugati Nati da genitori non coniugati
Padre e madre entrambi italiani 79,6 20,4
Padre straniero e madre italiana 66,0 34,0
Padre italiano e madre straniera 64,4 35,6
Padre e madre entrambi stranieri 84,9 15,1
Totale coppie 79,6 20,4

 
La trappola della bassa fecondità
Insomma, se le modalità di fare famiglia e di avere figli sembrano in forte mutamento e delineano un regime demografico nuovo e una società più complessa e variegata, il risultato di fondo non sembra cambiare, con il nostro paese inchiodato nella bassa fecondità e afflitto, di conseguenza, da un progressivo invecchiamento della sua popolazione.
L’Istat spiega le ultime tendenze di “lieve diminuzione della fecondità” con “il quadro di congiuntura economica sfavorevole che può avere agito, in parte, verso una procrastinazione delle nascite sia per le donne italiane che per le donne straniere”. La sensibile caduta del reddito e della ricchezza avrebbero ulteriormente depresso il comportamento fecondo. Forse è presto per dirlo, ma ciò che è chiaro da tempo, ormai da 20 anni,è la stabilità della bassa fecondità italiana, semmai solo un po’ rafforzata dall’attuale congiuntura economica negativa. Nel nostro paese sembra essersi determinato un vero e proprio equilibrio verso il basso, fra bassa fecondità, basso coinvolgimento delle donne nel lavoro per il mercato, scarso coinvolgimento dell’uomo nel lavoro per la famiglia e scarsità di sevizi di cura per l’infanzia.
Del resto, come è stato sottolineato in una recente tavola rotonda proprio all’ISTAT[2], con una insolita convergenza e consonanza di opinioni tra tutti i presenti, indipendentemente dall’orientamento politico e dalla funzione istituzionale svolta, in Italia il tema della famiglia, degli ostacoli alla fecondità e della conciliazione tra genitorialità e lavoro non sono al centro del dibattito politico. Le spese per le politiche di conciliazione sono viste come un costo e non come un investimento.
Purtroppo sono anche stati tutti d’accordo nel dire che, perché le misure di conciliazione siano efficaci nel rimuovere gli ostacoli che impediscono alle coppie di realizzare i propri desideri di fecondità, lo spostamento di risorse dovrebbe essere ingente, e quindi non molto verosimile in questo momento. Anche perché la spesa sociale per questi fini è stata praticamente azzerata e le risorse recuperate, ad esempio, dall’aumento dell’età pensionabile delle donne non sono state investite in politiche di conciliazione – come detto in primo momento – ma sono andate nel calderone del risanamento del debito.
Le premesse per uscire dalla trappola della bassa fecondità non sono quindi le migliori, per lo meno nel futuro più prossimo.


[1] Il numero assoluto di nascite può dipendere anche dalla numerosità delle coorti di genitori che fanno figli, quindi a parità di fecondità (cioè di numero medio di figli per donna) il numero di nati può variare notevolmente. Tra l’altro è destinato a diminuire proprio per la minore numerosità  delle generazioni  degli anni ’80 e poi ’90 che saranno genitori nei prossimi decenni, a meno che gli immigrati non ne integrino sensibilmente il numero.
[2] ISTAT, Quali politiche per le famiglie, quali informazioni per le politiche?, tavola rotonda con Cecilia Carmassi (Segreteria Nazionale PD – Politiche Famiglia, Associazionismo e Terzo settore), Isabella Rauti (Consiglio Regione Lazio, PDL), Roberto Marino (Dipartimento per le Politiche della Famiglia – Presidenza del Consiglio dei Ministri), Linda Laura Sabbadini (Istat), moderata da Antonio Golini, al workshop “Generazioni che si formano e si incrociano: scelte di vita nel difficile contesto italiano”, 15-16 settembre 2011, ISTAT, Roma, via Balbo 16, http://www.istat.it/it/archivio/36449

Per approfondimenti
ISTAT, Natalità e fecondità della popolazione residente, 14/9/2011, http://www.istat.it/it/archivio/38402
ISTAT, Come cambiano le forme familiari, 15/9/2011, http://www.istat.it/it/archivio/38613

 
(*) Articolo presente anche su www.ingenere.it

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