Il Piano Mattei si propone di arginare i flussi migratori aiutando i paesi di partenza a casa loro, ma non può raggiungere tale obbiettivo perché non affronta la vera causa del problema: la carenza strutturale di lavoro del nostro paese. Inoltre, anche se l’ipotesi di un’immigrazione dovuta esclusivamente all’eccesso di offerta fosse corretta, il problema dell’eccedenza strutturale di lavoro che caratterizza quasi tutti i paesi dell’Africa è tale da essere fuori misura non solo per l’Italia, ma anche per l’UE nel suo complesso. La tesi di Michele Bruni è che il modo migliore per aiutare l’Africa sia quello di aiutare noi stessi cogestendo con i paesi di partenza flussi migratori coerenti con il nostro fabbisogno, preceduti da opportuni percorsi educativi e formativi.
Flussi migratori internazionali: tesi da domanda e misure per la loro gestione
In precedenti lavori ho sostenuto che per spiegare e quindi prevedere i flussi migratori internazionali occorre adottare un approccio prevalentemente orientato alla domanda di lavoro, capire cioè che la dimensione e la direzione dei flussi migratori sono determinati dalla carenza strutturale di lavoro che caratterizza i paesi più ricchi ed economicamente avanzati della Terra, in presenza di un’offerta di lavoro illimitata nei paesi più poveri1.
Ho poi messo in evidenza che la rivoluzione demografica in atto – che ha la propria origine nel passaggio da un regime demografico naturale ad un regime demografico controllato – sta creando una crescente polarizzazione tra i paesi del primo gruppo, nei quali il saldo naturale della popolazione in età lavorativa (PEL) è già da tempo negativo, e quelli del secondo, nei quali la PEL sta letteralmente esplodendo. Sarebbe quindi nell’interesse di entrambi i gruppi di paesi cogestire, in maniera razionale ed umana, flussi migratori coerenti con il fabbisogno dei paesi di destinazione, facendoli precedere da percorsi formativi tenuti nei paesi di partenza, ma finanziati dai paesi di arrivo2.
Questo approccio, da un lato fornirebbe ai paesi colpiti da un declino dell’offerta di lavoro le risorse umane necessarie per continuare lungo un sentiero di sviluppo; dall’altro propizierebbe l’avvio di un processo di crescita e modernizzazione nei paesi di partenza, accelerando la diminuzione della natalità, riducendo la crescita dell’offerta di lavoro, potenziando il sistema dell’istruzione e della formazione professionale, garantendo un crescente ammontare di risorse attraverso le rimesse.
Il Piano Mattei. Un bluff elettorale?
Il governo Meloni ha deciso di seguire un percorso diverso, enunciato nel cosiddetto Piano Mattei, il cui obbiettivo dichiarato è nientepopodimeno che quello di arginare i flussi migratori irregolari e, allo stesso tempo, garantire al nostro paese le necessarie forniture energetiche. Molto è stato già scritto su come, dietro un nome altisonante e propagandistico, vi sia ben poca sostanza e di come il Piano preveda la creazione di una complessa struttura per assolvere i compiti della già esistente Cooperazione allo sviluppo.
La prima ovvia considerazione è che il Piano non può arginare i flussi migratori perché non individua e non affronta la vera causa dei flussi, vale a dire la carenza strutturale di lavoro dei paesi di destinazione. Si noti che, anche nel caso vi fosse un qualche inespresso “retro-pensiero” che il Piano potrebbe ridurre i flussi migratori abbassando il nostro fabbisogno di lavoro tramite la delocalizzazione di processi produttivi, è evidente che, anche nel più ottimistico degli scenari, il suo impatto sarebbe, ad essere ottimisti, marginale.
Tuttavia, anche prendendo per buona l’idea che la politica giusta per arginare le migrazioni sia quella di aiutarli a casa loro, è evidente che chi ha concepito il Piano ignora (o finge di ignorare) la dimensione del problema.
Tra il 2020 e il 2050 la PEL del Pianeta aumenterà di poco più di un miliardo, ma come saldo tra una diminuzione di oltre 350 milioni nei circa 70 paesi postmoderni e di un aumento di oltre 1,35 miliardi nei paesi classici e neoclassici (Tabella 1)3. Così, in assenza di flussi migratori, la PEL dei paesi postmoderni scenderebbe sotto il valore del 1990 e la sua percentuale sulla PEL del Pianeta diminuirebbe dal 50% del 1990 al 26,4% del 2050.
Un confronto della evoluzione della PEL nella UE e in Africa (Tabella 2) rende evidente che persino l’obbiettivo di creare un numero di posti di lavoro sufficienti a ridurre in maniera significativa l’eccesso di lavoro del continente africano non solo è fuori portata per l’Italia, che nell’ultima trentina di anni è riuscita a creare meno di tre milioni di posti di lavoro, ma anche per la UE, che nello stesso periodo ne ha creati meno di trenta.
È quindi evidente che il Piano Mattei è il risultato o di una drammatica ignoranza o, come sembra più probabile, una sparata elettorale volta a mostrare che se è vero che il governo non è riuscito a fermare gli sbarchi, esso ha però un grande piano per farlo nei prossimi quattro anni, sperando che poi, come per le precedenti promesse elettorali, il bluff venga perdonato. È altresì evidente che la maggior parte dei paesi africani non potrà creare i posti di lavoro necessari per fronteggiare la crescita della loro offerta di lavoro e che questa situazione metterà a repentaglio la pace non solo in Africa, ma nel mondo.
Una proposta alternativa
Se l’Italia e la UE non hanno la dimensione economica per risolvere i problemi del mercato del lavoro dei paesi africani aiutandoli a casa loro, un club dei paesi ricchi potrebbe però farlo limitandosi ad aiutare sé stessi. Va anche ribadito che si tratta di interventi non necessari, ma indispensabili se si vuole preservare la pace del mondo.
Nel prossimo trentennio, a seguito del fabbisogno demografico4 creato dal calo della PEL e del fabbisogno economico creato dall’aumento tendenziale dell’occupazione, i paesi nei quali la PEL diminuirà in maniera pronunciata (e che come dettagliato nella Tabella 3 includono fra gli altri tutti i paesi europei, gli Stati Uniti e il Canada, la grande Cina, il Giappone, la Corea, Singapore e la Tailandia) avranno bisogno di circa 535 milioni di immigrati.
Ciò ridurrebbe il numero di posti di lavoro che i paesi poveri dovrebbero creare per mantenere inalterato il tasso di occupazione da 900 a 552 milioni, 343 dei quali in Africa (Tabella 4). Si tratta ancora di un numero elevato, ma raggiungibile se i paesi di destinazione avessero l’intelligenza di investire in maniera massiccia in istruzione e formazione professionale nei paesi di partenza e le rimesse dei migranti fossero utilizzate prevalentemente per investimenti produttivi.
Si tratta di numeri che paiono irrealistici e improponibili, ma così sarebbe stata giudicata 100 anni fa l’idea che la popolazione mondiale avrebbe superato i 10 miliardi alla fine del XXI secolo. D’altra parte, è anche evidente che le attuali misure anti-immigrazione sono destinate a fallire sotto la pressione di sistemi economici che hanno un ineludibile bisogno di un numero enorme di immigrati e che per garantire non il successo, ma qualche risultato positivo del Piano Mattei, il nostro Presidente dovrebbe essere la Fata Turchina in incognito.
Note
1 Bruni M., I flussi migratori internazionali. Una tesi dal lato della domanda, Neodemos (2023); Bruni M., China, the Belt and Road Initiative, and the Century of Great Migrations, Cambridge Scholars Publishing (2022); Bruni M., Il boom demografico prossimo venturo. Tendenze demografiche, mercato del lavoro ed immigrazione: scenari e politiche, Materiali di Discussione 607, Dipartimento di Economia Marco Biagi, Università di Modena e Reggio Emilia, (2008).
2Bruni M., Promoting a Common Understanding of Migration Trends. Analysis and Policies, International Organization for Migration, Cairo (2017); Bruni M., Egypt Labour market report. Demographic trends, labour market evolution and scenarios for the period 2015-3; International Organization for Migration, Cairo (2018).
3Ricordo che i paesi neoclassici sono quelli nella fase finale del passaggio dal regime naturale al regime del controllo e nei quali quindi la PEL diminuirà, anche in maniera considerevole; i paesi classici sono invece quelli nella prima fase e in essi la PEI esploderà, dando luogo ad una offerta illimitata di lavoro; infine, i paesi neoclassici si trovano nella fase intermedia e in essi il lavoro è un fattore scarso, come ipotizzato dal modello neoclassico. Vedi Bruni M., I flussi migratori internazionali. Una tesi dal lato della domanda, Neodemos, 2023
4Per la modalità di calcolo si veda, Bruni M., Unione Europea: flussi migratori interni e fabbisogno strutturale di lavoro, Neodemos (2024).