La guerra in Ucraina sta avendo effetti diretti sull’area mediterranea modificando molti degli equilibri preesistenti. Le conseguenze del conflitto stanno già interessando le dinamiche migratorie della regione e ancor di più lo faranno in futuro, disegnando uno scenario che Corrado Bonifazi cerca di delineare in questo articolo.
La guerra e la globalizzazione
L’invasione russa dell’Ucraina ha rappresentato un evento traumatico per l’economia mondiale e per l’intero quadro politico internazionale. Un vero e proprio shock i cui effetti, come è stato notato1, vanno a sommarsi nel breve intervallo di quattro anni a quelli della pandemia di Covid-19 e al processo inflazionistico in corso. Tre eventi che hanno colpito duramente l’economia mondiale e che, per altro, avvengono a non poca distanza dalle crisi del 2008 e del 2011, le cui conseguenze più rilevanti si sono registrate proprio nei paesi mediterranei dell’Unione Europea.
Un effetto comune della pandemia e della guerra è stato quello di mettere in discussione alcuni principi fondativi della globalizzazione, almeno come è stata conosciuta dal 1989 in poi. Uno degli assunti principali di quel processo era infatti che le connessioni sviluppatesi all’interno dell’economia globale sarebbero state un antidoto sufficiente a eliminare, o almeno ridurre, i conflitti bellici del passato. Per dirla con le parole di Parag Khanna, autore di diversi lavori sull’argomento e in particolare del fortunato Connectography. Le mappe del futuro ordine mondiale, «come ha mostrato Dale Copeland, politologo della University of Virginia, l’interdipendenza previene il conflitto se i leader si attendono che i suoi benefici proseguano – ossia, se imparano a trarre vantaggio dal tiro alla fune invece che combattersi» (pp. 167-168).
In tutta evidenza non è stata questa la valutazione della leadership russa che ha sicuramente sottovalutato sia le capacità di resistenza ucraina, sia la reazione occidentale, in particolare dell’Unione Europea. Nonostante la forte dipendenza di alcuni paesi dell’UE dal gas e dal petrolio russo la scelta di sostenere l’Ucraina è stata infatti netta sin dall’inizio dell’aggressione. Tutto questo ha però dimostrato come fosse del tutto irrealistica l’idea che i processi economici determinati dalla globalizzazione fossero di per sé un deterrente sufficiente a impedire conflitti su larga scala. Una conseguenza diretta è la messa in discussione delle attuali modalità di funzionamento di quelle catene globali del valore, sviluppatesi su scala intercontinentale in questi ultimi decenni e che rappresentano ormai una quota importante dell’intero commercio mondiale. Flussi di merci che si muovono da un continente all’altro, rimanendo spesso nell’ambito di una stessa società multinazionale. Tali meccanismi, per altro, erano già stati messi in discussione dalla pandemia di Covid-19, che aveva evidenziato tutta la fragilità di processi produttivi organizzati su una scala così vasta e inevitabilmente esposti all’alea di eventi catastrofici rari ma non impossibili. Una situazione su cui incombono ora anche le crescenti tensioni tra Stati Uniti e Cina per Taiwan.
Tutto ciò avrà sicuramente effetto sulle scelte delle imprese e sull’organizzazione produttiva complessiva dell’economia mondiale, con conseguenze anche sulla dinamica migratoria. Nell’area mediterranea, il riorientamento delle catene globali del valore potrebbe favorire le regioni (Balcani, Nord Africa e Medio Oriente) più vicine all’Europa, accelerandone la trasformazione da realtà d’emigrazione a realtà d’immigrazione; oppure potrebbe determinare lo spostamento di segmenti produttivi direttamente nei paesi dell’Unione, stimolando ulteriormente la domanda di lavoro straniero specie nei paesi, come l’Italia, più esposti sul versante demografico.
La guerra e l’ordine politico internazionale
La guerra russo-ucraina ha evidenziato anche la crescente frammentazione della situazione politica mondiale e la crescente instabilità degli assetti attuali. Del resto, che la volontà di modificare l’attuale ordine mondiale fosse uno degli obiettivi dell’iniziativa militare la dirigenza russa lo ha esplicitato in più occasioni, confermando per altro un processo in corso da tempo. In quest’ultimo periodo sono infatti aumentati i conflitti che, secondo i dati dell’Upssala Conflict Data Program (UCDP)2 (Fig. 1), hanno raggiunto il livello più elevato dalla fine del secondo conflitto mondiale superando anche il picco registrato all’inizio degli anni novanta.
Di conseguenza sono cresciute di numero anche le persone sotto protezione internazionale (Fig.2) che, secondo le stime effettuate dall’UNHCR con le informazioni disponibili a inizio del giugno dello scorso anno, avevano superato i 101 milioni di unità con un aumento di quasi 12 milioni rispetto alla fine del 2021, per effetto soprattutto della guerra in Ucraina. In realtà, l’aumento è stato anche maggiore, visto che sempre l’UNHCR ha portato questa cifra a 103 milioni a metà anno utilizzando i dati disponibili a ottobre 20223. Una cifra purtroppo aumentata ancora in questi ultimi mesi, visti gli sviluppi in Sudan e la continuazione del conflitto ucraino, e che conferma la crescente instabilità di diverse regioni mondiali, specie nel momento in cui si confronta con i 34 milioni di persone assistite nel 2010 prima quindi delle Primavere arabe.
La crescente instabilità mondiale ha come conseguenza diretta l’incapacità da parte della comunità internazionale di trovare soluzioni definitive a conflitti che si trascinano da anni, come avviene in Afghanistan, Iraq, Siria, Libia e Sudan, solo per citarne alcuni. Da questo punto di vista è più che probabile che la pressione sull’area mediterranea sia destinata a crescere. La recente crisi in Sudan, che secondo le valutazioni disponibili ha già costretto più di un milione di persone a lasciare le proprie abitazioni4, ne è una tragica conferma. Del resto, il bacino del Mediterraneo è uno dei principali crocevia mondiali delle migrazioni forzate, svolgendo insieme il ruolo di area d’esodo, di transito e di accoglienza. Ai rifugiati palestinesi, le cui prime ondate risalgono addirittura al primo conflitto arabo-israeliano del 1948, si sono aggiunti i profughi provenienti da alcuni stati costieri e dalle diverse aree di crisi poste attorno a un mare che rappresenta un passaggio quasi obbligato per raggiungere il suolo sicuro dell’Unione Europea. Il risultato è una pressione fortissima specie sui paesi della sponda orientale, la Turchia con 4 milioni di rifugiati è il paese al mondo che ne ospita di più, ma altrettanto consistenti sono le cifre del Libano (844.000) e della Giordania (760.000)5.
Una pressione crescente
Ai fattori di spinta legati alla riorganizzazione delle catene globali del valore e alla instabilità del quadro politico internazionale si aggiungono quelli determinati dalla attuale congiuntura economica mondiale. La dinamica inflattiva in atto, figlia della ripresa post-pandemica e della crisi ucraina, ha raggiunto livelli che non si registravano da quasi tre decenni e ha determinato un aumento dei prezzi dei beni alimentari e di consumo con effetti devastanti sulle economie di molti paesi di partenza che, molto spesso, si trovano anche a dover fronteggiare le conseguenze più pesanti dei cambiamenti climatici in atto.
Il risultato complessivo di questi processi si sta mostrando in questi mesi proprio in Italia, con un aumento degli sbarchi sulle nostre coste che non era sicuramente nei piani dell’attuale esecutivo. La persistente instabilità libica e la profonda crisi tunisina funzionano infatti da moltiplicatori e catalizzatori delle dinamiche in atto. Anche perché l’uso della pressione migratoria come strumento di scambio e di pressione nella politica internazionale si è ormai consolidato e viene apertamente utilizzato sia dal governo tunisino che dalle fazioni in azione in Libia. Il risultato è una crescita di quattro volte degli sbarchi rispetto allo stesso periodo dello scorso anno e al Governo Draghi, secondo l’Agenzia Frontex si è infatti passati dalle 10.762 intercettazioni del primo quadrimestre del 2022 alle 42.165 di quello del 20236. Difficile da credersi, ma il Ministro Piantedosi sta ottenendo risultati nettamente peggiori di quelli ottenuti dalla Ministra Lamorgese, oggetto degli strali dei partiti di destra per il suo presunto lassismo per tutta la durata del precedente esecutivo. Un risultato che va in direzione opposta rispetto alle promesse elettorali del Centro-Destra, secondo cui uno dei principali obbiettivi dell’azione di governo doveva essere la «difesa dei confini nazionali ed europei come richiesto dall’UE con il nuovo Patto per la migrazione e l’asilo, con controllo delle frontiere e blocco degli sbarchi»7. In realtà, una politica di contenimento e controllo su frontiere marittime, come proposta dal Centro-Destra, appariva già inadeguata prima degli attuali sviluppi, ma la contraddizione tra propaganda e realtà è diventata ancora più stridente di fronte al sostanziale aumento della spinta ad emigrare che i processi in atto stanno determinando e che richiederebbe un deciso cambio di rotta nelle politiche nazionali e dell’Unione.
Note
1S. Capasso e V. Filoso, “The economic consequences of the Ukrainian war in the Mediterranean”, versione provvisoria del saggio preparato per il rapporto CNR- ISMed Mediterranean economies 2023, a cura di S. Capasso e G. Canitano.
2 UCDP Charts, Graphs and Maps
3 www.unhcr.org – refugee-statistics
4 UNHCR appeals for safety of civilians and aid as 1 million displaced by Sudan crisis
6 Frontex-Monitoring and risk analysisMonitoring and risk analysis
7Per l’Italia. Accordo quadro di programma per un Governo di centrodestra, p. 7. Si veda anche C. Bonifazi e S. Strozza, “L’immigrazione nei programmi elettorali”, Neodemos, 16 Settembre 2022,