Le recenti dichiarazioni del ministro dell’agricoltura Francesco Lollobrigida sono solo l’ultimo caso di una serie piuttosto nutrita di dichiarazioni in cui si paventa il rischio della sostituzione etnica. Il concetto è ormai noto: “Gli italiani fanno meno figli quindi li sostituiamo con qualcun altro, non è quella la strada” chiosa il ministro Lollobrigida. Cosa c’è che non quadra in questa visione?
La Grande sostituzione
I timori di essere invasi o addirittura sostituiti da popolazioni “altre” non sono certo una novità. Circolano ormai da tempo delle letture di stampo complottista come quella della “Grande sostituzione” che periodicamente viene richiamata dai giornali1. Questa sorta di teoria che sostiene il rischio d’estinzione delle popolazioni bianche, americane e europee a seconda del caso, a seguito dell’invasione di popolazioni provenienti da altre aree del mondo, si fonda sulla paura, soprattutto della classe medio-bassa, di perdere i propri privilegi a favore degli immigrati stranieri.
Tale visione, che nasce negli Stati Uniti nel periodo delle grandi ondate migratorie transoceaniche dall’Europa, viene perpetuata attraverso una serie di saggi e romanzi distopici e trova nuova linfa nel nuovo millennio grazie al contributo del neonazista e negazionista austriaco Gerd Honsik che nel 2005 propone i cosiddetto “Piano Kalergi”, secondo cui l’arrivo in massa di persone da fuori Europa di milioni di potenziali lavoratori a basso costo sarebbe il frutto di un piano segreto architettato dalle élite politiche ed economiche occidentali al fine di tenere bassi i salari e creare un meticciato debole e facilmente controllabile. Si raggiunge poi l’apice con lo scrittore Renaud Camus (da non confondere con il più noto premio nobel Albert Camus) che in suo libro del 2011 rilanciava la teoria del grande complotto ai danni dei bianchi occidentali che rischiano di essere rimpiazzati degli immigrati “colonizzatori” artefici di una sorta di genocidio degli indigeni paragonabile a quello compiuto dai nazisti ai danni degli ebrei.
Sebbene i nostri politici non facciano esplicito riferimento a teorie complottiste (anzi, il ministro Lollobrigida ha esplicitamente dichiarato in una intervista al Corriere della Sera di ignorare il piano Kalergi e la teoria della Grande Sostituzione), resta il fatto che il timore di essere sostituiti da parte di uno straniero si dimostra essere uno dei più potenti meccanismi dialettici in uso. E non solo da scrittori e novellisti.
Demografia da paura
A sostenere questa visione vi è la paura che nasce dalle dinamiche demografiche a livello globale che identificano modelli di crescita molto diversi tra paesi occidentali e quelli di altre aree del mondo. L’Italia, con la sua posizione centrale all’interno del Mar Mediterraneo, si trova a far da ponte tra il continente Europeo, con una crescita nulla o negativa come nel caso italiano, e quello africano, che presenta livelli di fecondità ancora elevati (4,3 figli per donna) e la cui popolazione risulta in netta crescita. Le proiezioni demografiche fornite dalla Nazioni Unite indicano, infatti, che nei prossimi vent’anni metà della crescita demografica del pianeta si concentrerà in Africa. In questo continente oggi vivono meno di 1,5 miliardi di persone ma prima di arrivare alla metà del secolo la popolazione crescerà di un altro miliardo. Al 2050 ben un quarto della popolazione mondiale vivrà nel continente africano. Al contrario, l’Europa perderà peso a livello globale. Nel 2050 la popolazione europea conterà solo per l’8% della popolazione mondiale (era il 20% negli nel 1950) e la popolazione africana sarà circa tre volte quella europea.
Se a questo aggiungiamo i forti differenziali di reddito tra i due continenti (il reddito mediano in Europa è 13 volte superiore a quello africano) e una composizione per età della popolazione africana particolarmente giovane (e quindi maggiormente disposta a spostarsi) a fronte di una Europa che invecchia rapidamente, sembrerebbe proprio che non ci sia scampo alla sostituzione. O no?
Calo delle nascite e sostituzione etnica
L’idea che la decrescita demografica vada combattuta solo favorendo le nascite e non con le migrazioni, al fine di evitare la sostituzione etnica, si basa su tre assunti poco verosimili.
Il primo è che migrazioni internazionali e l’aumento delle nascite siano due strategie in competizione. Non c’è però nessun motivo per pensare che sia così. Se vogliamo incrementare la quota di popolazione giovanile in Italia abbiamo bisogno sia di facilitare le giovani coppie a realizzare i loro desideri di fecondità (ricordiamo che le italiane in media desiderano avere due figli mentre la fecondità realizzata è inferiore a 1,3 figli per donna) sia di accogliere migranti da altri paesi, come ha sottolineato di recente anche la Banca Mondiale2. Non solo perché con l’aumento della fecondità sarebbe comunque necessario aspettare due o tre decenni per poter avere nuova linfa nel mercato del lavoro, ma anche perché per avere aumenti sensibili in termini di nuove nascite sarebbe necessario un fortissimo incremento di fecondità, a causa dell’ormai scarso numero di donne in età feconda.
L’arrivo di giovani migranti, oltre a contribuire all’aumento delle nascite, risulta essere anche il modo più rapido per ribilanciare le carenze di lavoratori che stiamo osservando in questi anni e che si verificheranno in maniera sempre più intensa nei prossimi anni. Le recenti previsioni Istat indicano infatti, che il contingente di persone in età potenzialmente lavorativa (15-64 anni di età) andrà diminuendo in misura sempre maggiore fino a toccare una decrescita annua compresa tra le 350.000 e il mezzo milione di unità negli anni Trenta di questo secolo (Fig. 1). Queste dinamiche si avranno pur in presenza di livelli migratori simili a quelli che osserviamo oggi (senza i quali, ovviamente, sarebbero amplificati).
Quanto è forte il desiderio di venire in Italia?
Il secondo assunto è che vi sia, costantemente, un desiderio insoddisfatto di arrivare in Italia. Le tragiche immagini di migranti africani su barconi pericolosi e sovraccarichi che attraversano il Mediterraneo danno un’impressione fuorviante di migrazione di massa, incontrollata (e difficilmente controllabile). Tuttavia, l’ansia legata a una qualche immaginaria “invasione” dell’Europa da parte degli africani sulle carrette del mare riflette perlopiù una prospettiva eurocentrica circa le dinamiche della migrazione globale. Solo una piccola parte della migrazione internazionale dai paesi africani si traduce in viaggi verso Europa, circa un quarto. Più della metà è invece diretta verso un altro paese africano, e il resto si dirige verso l’Asia (una componente in forte crescita) e il Nord America3.
In Italia, i dati Istat mostrano che i cittadini di origine africani sono poco più di un milione pari a circa un quinto della popolazione straniera e meno del 2% della popolazione totale. Nel 2021, il numero di ingressi dal continente africano è stato pari a 62 mila su 318 mila pari a circa il 19% degli ingressi. Un valore che non risulta in crescita dato che il valore medio di ingressi annui dell’ultimo ventennio è stato di circa 66 mila ed è venuto diminuendo dopo il picco del 2017 (110 mila ingressi).
E per il futuro, cosa possiamo attenderci? Da un lato è vero che le spinte all’emigrazione stanno aumentano in diverse aree del mondo. Dobbiamo però anche tener conto dell’attrattività del nostro paese. Dopo il picco osservato a inizio secolo, il saldo tra ingressi e uscite in Italia si è decisamente ridotto nell’ultimo decennio (fig. 2). Anzi, se teniamo conto anche delle recenti correzioni proposte dall’Istat alle misurazioni sui flussi migratori internazionali, risulterebbe addirittura un saldo negativo nel 2020 pari a -20 unità dopo un quasi cinquant’anni di valori costantemente positivi4.
Spostando lo sguardo ai paesi di partenza, un dato interessante è quello che emerge dall’indagine Arab Barometer5 relativo all’intenzione di migrare nei paesi del Nord Africa e del Medio Oriente. Nel 2022, tra chi dichiara di aver pensato ad emigrare all’estero, ben il 60% non inserisce l’Europa come possibile paese di destinazione e quasi il 90% non contempla neppure l’ipotesi di spostarsi in Italia. Un dato che dovrebbe far riflettere sulla potenziale attrattività del nostro paese, un fattore davvero poco considerato.
L’etnia italiana
Terzo aspetto, è l’idea che la popolazione italiana sia costituita da un unicum antropologico e culturale potenzialmente a rischio di poter essere sostituito da un altro gruppo altrettanto univocamente definito. Val la pena di ricordare che le migrazioni rappresentano un fenomeno “normale” che ha caratterizzato la nostra specie di homo sapiens sin dalla sua comparsa sul pianeta terra e che anzi ha costituito una potente strategia in grado di assicurare successo selettivo. Naturalmente anche la popolazione italiana è il frutto di continui e ripetuti rimescolamenti di genti provenienti da varie parti dell’Europa, dell’Asia e dell’Africa. Inoltre, le ibridazioni culturali procedono nel tempo, la società cambia e le caratterizzazioni etniche tendono a diluirsi se non a sparire al crescere della permanenza in Italia. Infine, non lo dimentichiamo, la presunta etnia italiana avrebbe “invaso” più volte e in maniera importante altri paesi come la Francia, l’Argentina, gli Stati Uniti e molti altri.
Conclusioni
E’ opportuno sottolineare che non vi è alcuna base scientifica relativamente a complotti o a tentativi di sostituzione. Anzi, ormai è ben noto nella letteratura che in numerose situazioni le migrazioni hanno avuto un ruolo fondamentale per lo sviluppo economico sia dei paesi di destinazione, fornendo manodopera nei momenti di maggiore necessità, sia di quelli di partenza, ad esempio allentando la pressione sulle risorse in seguito alla crescita demografica.
E’ anche vero che le migrazioni impongono trasformazioni del tessuto sociale che vanno a coinvolgere tanto la popolazione autoctona quanto quella immigrata in un processo i cui esiti sono però in genere favorevoli. Non si spiegherebbero altrimenti gli sviluppi in termini di democrazia e benessere osservati in paesi caratterizzati da intensi flussi di immigrazione.
Il potenziale migratorio del continente africano, fattore che tende ad alimentare la paura di una sostituzione etnica, è sicuramente elevato e in crescita trattandosi di un paese giovane e con una economia che sta crescendo in molti paesi. Tuttavia, è tutt’altro che scontato che questo potenziale si dirigerà verso l’Europa e in particolare verso l’Italia. Alla luce del veloce invecchiamento del nostro paese, della decisa contrazione numerica delle forze di lavoro nel nostro paese, questa potrebbe non essere affatto una buona notizia.
*Questo articolo viene pubblicato anche su https://www.rivistailmulino.it/
Note
1Si veda anche l’articolo de Il Post del 17.05.2022 – Cos’è la teoria complottista della “grande sostituzione”
2 World Development Report 2023.
3 IOM 2020 Africa migration report. Challenging the narrative.
4 E. Tucci, C. Bonifazi e G. Di Fraia. Una misura delle migrazioni italiane. Neodemos, 21 marzo 2023.