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Gli Ebrei: una popolazione in Israele, una comunità nel Mondo

La diaspora ebraica conta nel mondo oltre 15 milioni di persone per i nove decimi, e in parti uguali, in Israele e nel Nord America. Massimo Livi Bacci ne esamina la distribuzione geografica e la crescita, affidata al dinamismo della componente israeliana, e delinea la questione demografica Arabo-Israeliana, e quella derivante dalla forte crescita degli Ebrei ultraortodossi. 

Gli Ebrei nel mondo, secondo i più recenti e accurati rilievi, superano di poco i 15 milioni, una minuscola frazione della popolazione globale (meno di due ebrei ogni mille abitanti del pianeta), ma la cui importanza e influenza nella cultura, nell’economia, e nella politica è assai maggiore del suo esiguo numero. Questo numero si riferisce alle persone che si “autodefiniscono” ebree, anche se non sono religiose, o sono identificate come ebree da un familiare che risponde all’indagine, e che non professano un’altra religione monoteista. I 15 milioni costituiscono quella che è stata definita con un criterio ristretto  “core Jewish population”, che potremmo tradurre “Popolazione Ebraica nucleo”1. Vi sono altre definizioni con criteri più inclusivi – ad esempio quella “allargata”, che include anche le persone di ascendenza ebraica, ma che non si considerano ebree (circa 6 milioni): ma in questa nota ci riferiremo al criterio ristretto.

La diaspora ebraica nel 2022

Gli ultimi rilievi – relativi al 2022 – mostrano che i nove decimi della diaspora ebraica vivono, in parti approssimativamente uguali, in Israele (7 milioni) e in Nord America (6,4 milioni); i residui 2 milioni scarsi sono concentrati, per i quattro quinti, in Francia, Gran Bretagna, Germania e Argentina (Figura 1).  Ma la distribuzione geografica attuale, sconvolta dalla Shoah e parzialmente riaggregata con la nascita dello Stato d’Israele nel 1948, è assai lontana da quella dell’inizio del secolo scorso. Nel 1900, gli Ebrei nel mondo erano 10.4 milioni, e nei quattro decenni seguenti la loro crescita demografica fu vigorosa, arrivando a 16,5 milioni nel 1940, all’inizio della Seconda Guerra Mondiale. Dieci milioni vivevano in Europa, un milione in Asia (la metà in Palestina), mezzo milione in Africa del Nord, e i restanti cinque milioni in America. In Europa, la grande maggioranza risiedeva nella parte orientale, che fin dal tardo Medioevo fu l’area d’insediamento più rigogliosa della diaspora. Nella parte finale dell’Ottocento, iniziò un intenso flusso migratorio oltreoceano, sospinto dai pogrom antiebraici e dalle restrizioni legislative di cui gli ebrei furono vittime nell’Impero Russo, e attratto dalle opportunità del Nuovo Mondo. Nel 1940, le comunità ebraiche del Canada e degli Stati Uniti, dell’Argentina e del Brasile, formavano collettività prospere, dinamiche, sicure e ben radicate.  La Shoah, o Olocausto, ha sconvolto la geografia insediativa degli ebrei, distruggendo quasi completamente le comunità dell’Europa orientale e delle regioni dell’Unione Sovietica occupate dai nazisti. Un orrendo massacro che le stime più serie pongono tra i 5,5 e i 6 milioni (non contando lo sterminio di un alto numero di persone appartenenti a comunità e gruppi invisi al nazismo). Dopo la guerra, la popolazione ebraica del mondo aveva perso circa un terzo della sua consistenza pre-guerra, le comunità dell’Europa centro-orientale erano state pressoché distrutte; quanti rimanevano nei territori della ex-Urss emigrarono verso Israele e il Nord America, un esodo accelerato dalla fine dell’impero sovietico nel 1989. Le comunità in Asia e Africa vennero dissolte. Tra il 1950 e il 2022, gli Ebrei sono globalmente cresciuti del 35%, una crescita dovuta quasi esclusivamente agli Ebrei d’Israele, che da una comunità di 800mila persone nel 1948, sfiora adesso i sette milioni. Nel Nord America, la comunità ebraica è rimasta pressoché stazionaria nel corso degli ultimi tre quarti di secolo (Figura 2). 

Gli Ebrei dentro e fuori Israele 

Prescindendo dal numero e dalla dinamica delle varie comunità, occorre dire che sotto il profilo bio-demografico solo gli Ebrei di Israele sono una vera e propria popolazione, con un proprio territorio, che si riproduce (quasi esclusivamente) al suo interno, socialmente coesa, e per di più sorretta da un’istituzione statuale comune. Gli Ebrei del resto della diaspora sono, certamente, accomunati dalla religione, dalla cultura e dalla tradizione, ma sono per lo più integrati nella vita sociale e economica del paese in cui vivono, sono frequentemente in unioni miste, raramente sono insediati in comunità territorialmente compatte, sono erose dagli estraniamenti dall’identità ebraica. La grande maggioranza vive in aree urbane o in grandi metropoli: più di un terzo dei sei milioni di Ebrei che vivono negli Stati Uniti, risiedono nell’area metropolitana di New York-Newark-Jersey City; negli altri paesi dove il numero di ebrei è ancora elevato, la maggioranza vive nelle grandi capitali, Parigi, Londra, Buenos Aires.

Alla base della stagnazione degli Ebrei fuori d’Israele, sta la loro bassa o bassissima natalità, non dissimile da quella delle popolazioni di cui fanno parte, e l’estraniamento e la perdita dell’identità dei figli di coppie miste. Negli Stati Uniti, le previsioni indicano, per i prossimi due decenni, una stagnazione e poi un declino della popolazione ebraica, e questo nonostante l’alta fecondità della componente ortodossa, coesa e molto prolifica, e il cui peso crescerà rapidamente negli anni avvenire. 

La questione demografica Arabo-Israeliana

Una delle maggiori preoccupazioni degli Ebrei d’Israele è quella della più rapida crescita della popolazione araba, sia all’interno, sia fuori d’Israele. Intorno al 2000, la popolazione della Palestina (Stato Palestinese, e cioè Striscia di Gaza e Cisgiordania) cresceva al ritmo del 3% all’anno e aveva una riproduttività di 5,4 figli per donna; gli stessi valori, per Israele, erano rispettivamente pari al 2% e a 3 figli.  Nel 2021 le distanze si sono accorciate, anche se non annullate: per la crescita 2,2% la Palestina e 1,6% Israele; per la riproduttività 3,5 e ancora 3 per Israele. Le previsioni ci dicono (variante media delle previsioni delle Nazioni Unite)2 che nel 2050 Israele conserverà una netta prevalenza demografica sulla Palestina (12,8 conto 8,9 milioni di abitanti), mentre nemmeno venti anni fa le previsioni delle Nazioni Unite assegnavano ai due stati, alla stessa data, una popolazione un po’ superiore ai 10 milioni. Lo spettro di un sorpasso della popolazione araba su quella israeliana è meno incombente, grazie a una modernizzazione dei comportamenti riproduttivi arabi più veloce del previsto e alla ottima tenuta della natalità d’Israele. 

Anche all’interno di Israele c’è una questione demografica, anzi ce ne sono due, entrambe desumibili dalla Figura 3.3 La prima riguarda la minoranza araba (quasi totalmente musulmana), cresciuta rapidamente per un dinamismo demografico analogo a quello delle popolazioni della Palestina. Oggi questa minoranza conta circa 2 milioni di persone, pari al 21% della popolazione totale; la sua forte crescita è stata in passato motivo di gran preoccupazione, nel timore di un progressivo snaturamento del predominio politico e religioso della maggioranza ebrea. Queste preoccupazioni sono andate smussandosi negli ultimi anni per il forte rallentamento della crescita, analogamente a quanto è avvenuto per la popolazione di Palestina. Le recenti previsioni (formulate dallo Israel Central Bureau of Statistics, Figura 3) mostrano che la quota della popolazione araba dovrebbe mantenersi invariata nei prossimi trent’anni.

Dentro Israele: due questioni demografiche

È dall’interno della comunità ebraica che sorge la seconda questione, legata alla componente Haredi, o ortodossa (alcuni la definiscono ultraortodossa), fortemente conservatrice, che mantiene una riproduttività doppia di quella del resto degli Ebrei d’Israele, e il cui peso cresce in continuazione. Oggi i Haredim costituiscono il 13% della popolazione dello stato, ma nel 2050 la loro quota sarà quasi raddoppiata (25%). Da un lato il dinamismo dei Haredim sostiene la crescita dello stato, fatto giudicato positivo nel quadro geo-demografico della regione. Ma, dall’altro, inquieta la tendenza all’isolamento, il rifiuto di integrarsi nel dinamico contesto della società israeliana, la dipendenza dai sussidi pubblici, la stretta aderenza a normative religiose anche quando in contrasto con i fondamenti laici dello stato. Per molti, essi rappresentano un pericolo per la coesione interna, e per l’equilibrio democratico del paese. 

Note

 1Si veda per maggiori dettagli la consueta indagine annuale: Sergio DellaPergola, World Jewish Population, 2022, in A. Dashefsky and I.M. Sheskin (eds.) American Jewish Year Book 2022. Cham, Springer, 2023.

 2United Nations, World Population Prospects. The 2022 RevisionWorld Population Prospects – Population Division – United Nations

3Sul futuro della popolazione ebraica, si vede il saggio del maggiore studioso della demografia ebraica (israeliano di formazione italiana): Sergio DellaPergola, The Future of Jewish Demography,  in D.P. Bell and K. Fraiman (eds.) The Routledge Handbook of Judaism in the Twenty-First Century. Abingdon, Routledge, 2023, 47-67.

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