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Il “Long COVID” della distribuzione dei redditi

La recessione causata dall’epidemia di COVID-19 ha modificato alcuni meccanismi di funzionamento dell’economia e della società che possono avere notevoli ripercussioni nel lungo periodo. Andrea Brandolini* ci spiega che tre aspetti meritano di essere ricordati, ancorché brevemente, per la capacità che possono avere nell’influenzare la distribuzione delle risorse tra le persone negli anni a venire.

Il lavoro a distanza

Il lavoro da casa si è rivelato essenziale per attenuare gli effetti negativi della pandemia, sia quando sono state imposte le restrizioni più severe alla mobilità sia successivamente quando l’obiettivo è divenuto quello di contenere le nuove ondate del virus. Questa esperienza cambierà in modo permanente l’organizzazione del lavoro, anche se è difficile prevedere quanta parte di lavoro sarà effettivamente svolto a distanza nei prossimi anni. Secondo uno studio recente di Aksoy e coautori, mediamente in Italia le persone vorrebbero lavorare da casa 1,7 giorni alla settimana, anche se i loro datori di lavoro ne starebbero programmando solo 0,5. Queste stime si basano su un sondaggio realizzato on-line su un campione piccolo e distorto verso gli individui più istruiti, ma non si discostano dall’informazione raccolta nell’assai più ampia e rappresentativa indagine Inapp-Plus. In quest’ultima, il 46% di chi ha lavorato a distanza ha dichiarato che vorrebbe continuare a farlo per uno o più giorni alla settimana, mentre il restante 54% preferirebbe evitarlo, con differenze minime tra uomini e donne (Fig. 1); in media, sarebbero 1,6 i giorni desiderati di lavoro da casa, ovvero tra un quinto e un terzo del tempo di lavoro totale, a seconda della lunghezza della settimana lavorativa che si prende a riferimento. Ovviamente, queste stime riguardano solo chi ha un’occupazione che consente il lavoro a distanza.

Vi sono pochi dubbi che la quota di lavoro svolta da casa varierà considerevolmente tra settori, occupazioni e categorie di lavoratori. Solo una parte minoritaria dei lavoratori, con livelli di istruzione e di reddito relativamente più alti, potrà beneficiarne. Lo si è visto nel primo anno di pandemia, quando secondo le stime dell’Istat ha lavorato da casa il 24% degli occupati nelle famiglie del quinto di reddito equivalente più elevato rispetto al 7% nei due quinti più poveri (Fig. 2). Pertanto, i vantaggi non pecuniari derivanti dal risparmio del tempo per raggiungere il luogo di lavoro e da una migliore conciliazione tra occupazione e vita privata sono destinati ad acuire le differenze esistenti nelle retribuzioni, a meno che siano introdotti meccanismi compensativi. In effetti, gli intervistati nel citato sondaggio on-line hanno dichiarato di essere disposti ad accettare un taglio medio dello stipendio del 5,4% in cambio della possibilità di lavorare da casa due o tre giorni alla settimana.

La valutazione delle conseguenze distributive del lavoro a distanza dovrà però andare oltre la retribuzione per considerare l’intero pacchetto di lavoro, adottando misure più ampie che tengano conto dei guadagni monetari, dei benefici non pecuniari e delle condizioni ambientali. La sua adozione costituirà un potente fattore di polarizzazione tra chi può lavorare da casa e chi no, potenzialmente divenendo una causa di tensione, nella società e all’interno delle imprese.

La didattica a distanza

Come per il lavoro, anche per l’istruzione l’adozione di forme di interazione a distanza è stata cruciale durante l’epidemia. Fin dall’inizio è tuttavia emersa la preoccupazione per le sue potenziali conseguenze negative, in particolare per i bambini e gli adolescenti costretti dalle circostanze a seguire le lezioni da casa con strumenti digitali inadeguati, in ambienti inadatti o potendo contare poco sull’aiuto dei genitori.

Le indagini dell’INVALSI consentono una prima valutazione degli effetti immediati sull’apprendimento. Rispetto al 2019, nel 2021 e nel 2022 nella scuola primaria non si sono osservate variazioni sostanziali negli esiti, ma nella scuola secondaria di primo e di secondo grado vi è stato un peggioramento diffuso in italiano e matematica (seppur non in inglese), più forte per gli allievi provenienti da contesti socio-economici più sfavorevoli. L’analisi di Bazoli e colleghi sugli stessi dati conferma l’evidenza di un diffuso peggioramento, ma non che le perdite educative siano state maggiori per gli studenti più svantaggiati. In ogni caso, il peggioramento dell’apprendimento scolastico degli studenti durante la pandemia avrà plausibilmente implicazioni negli anni futuri. È ormai un risultato acquisito che shock, anche relativamente modesti, sofferti da bambini possano avere ripercussioni negative sostanziali sulla capacità di generare reddito e più in generale sulle condizioni di vita da adulti, per quanto l’entità di questi effetti sia influenzata da molte specifiche caratteristiche familiari.

La didattica a distanza ha supplito all’impossibilità delle lezioni in presenza, ma ha generato perdite educative che probabilmente peseranno sulle prospettive da adulti degli studenti che l’hanno sperimentata, in particolare di quelli provenienti da contesti svantaggiati.

Il debito pubblico

Durante la pandemia, i governi delle economie avanzate hanno enormemente accresciuto gli stanziamenti per i sistemi sanitari e il sostegno di famiglie e imprese. Gli interventi pubblici hanno di gran lunga superato quelli attuati in passato, inclusi quelli decisi nel 2009 per contrastare la crisi finanziaria globale; in gran parte dei paesi sono stati realizzati in disavanzo. In Italia, nella media del biennio 2020-21, l’indebitamento netto delle amministrazioni pubbliche ha raggiunto l’8,4% del prodotto interno lordo (PIL), dall’1,5% nel 2019. Il debito pubblico è così aumentato dal 134,1% del PIL nel 2019 al 154,9% nel 2020, per poi scendere, grazie alla forte ripresa economica, al 150,3% nel 2021. In termini pro capite, nel biennio il debito pubblico è cresciuto di 5.000 euro a 45.300 euro; l’aumento è stato simile in Germania e più marcato in Francia, partendo tuttavia da valori per abitante assai più bassi (Fig. 3). Un debito pubblico elevato implica lo spostamento dell’onere dell’aggiustamento fiscale sulle generazioni future. Il necessario sostegno alle persone e all’economia durante la pandemia ha accentuato, in Italia, un già grave problema di equità intergenerazionale, oltre ad accrescere i rischi macroeconomici.

Conclusione

La pandemia di COVID-19 ha rappresentato uno shock inatteso ed eccezionale. Un intervento pubblico imponente ne ha contenuto gli effetti sui redditi familiari e sulla loro distribuzione nel breve periodo, ma altri importanti effetti distributivi potranno manifestarsi nel più lungo periodo. È il caso delle conseguenze che le perdite educative sofferte dai giovani per la chiusura delle scuole e il ricorso alla didattica a distanza in condizioni non sempre adeguate avranno sulla loro vita da adulti. È il caso del lavoro da casa, che cambierà l’organizzazione del lavoro in misura ancora difficile da prevedere, ma non per tutti in pari modo. È infine il caso dell’aumento del debito pubblico che, partendo da livelli già molto elevati nel confronto internazionale, condizionerà le politiche economiche per molti anni a venire.

* Le opinioni qui espresse sono personali e non riflettono necessariamente quelle della Banca d’Italia.

Per saperne di più

Aksoy, C.G., J.M. Barrero, N. Bloom, S.J. Davis, M. Dolls, P. Zarate (2022), “Working From Home Around the World”, Brookings Papers on Economic Activity, Fall.

Bazoli, N., S. Marzadro, A. Schizzerotto, L. Vergolini (2022), “Learning Loss and Students’ Social Origins During the Covid-19 Pandemic in Italy”, FBK-IRVAPP Working Paper, n. 2022-03, maggio.

Bergamante, F., T. Canal, E. Mandrone, R. Zucaro (2022), “Il lavoro da remoto: le modalità attuative, gli strumenti e il punto di vista dei lavoratori”, INAPP Policy Brief, n. 26, gennaio.

Bovini, G., M. De Philippis (2021), “Alcune evidenze sulla modalità di svolgimento della didattica a distanza e sugli effetti per le famiglie italiane”, Banca d’Italia, Note Covid-19, 21 maggio.

Brandolini, A. (2022), “La pandemia di COVID-19 e la disuguaglianza economica in Italia”, Politiche sociali/Social Policies, vol. 9, n. 2.

Brandolini, A. (2022), “Pandemia, recessione e distribuzione dei redditi”, Il Mulino, n. 4.

Brandolini, A. (2022), “Com’è cambiata la distribuzione dei redditi in Italia durante l’anno del COVID-19?”, neodemos.info.

Invalsi (2021), “Rilevazioni nazionali degli apprendimenti 2020-21. I risultati in breve delle prove INVALSI 2021”, 14 luglio.

Invalsi (2022), “Rilevazioni nazionali degli apprendimenti 2021-22. I risultati in breve delle prove INVALSI 2022”, 6 luglio.

Istat (2022), “Mercato del lavoro, redditi e misure di sostegno: una stima statistica integrata. Anno 2020”, Statistiche Focus, 17 gennaio.

OECD (2020), “Combatting COVID-19’s effect on children”, 4 maggio (aggiornato 11 agosto).

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