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Clima estremo e demografia estrema: rischi e sfide

Le manifestazioni più estreme dei cambiamenti climatici in atto possono avere conseguenze particolarmente gravi in popolazioni con elevate percentuali di anziani e vanno affrontate con strategie di intervento complessive. Un tema che la straordinaria ondata di calore di questa estate pone nuovamente al centro dell’attenzione e che in questo articolo è analizzato da Vittorio Filippi

Come nel 2003?

Anche se l’estate non è terminata, sembra che gli eccessi delle temperature di giugno e luglio siano destinati a ripetere quelli – già eccezionali – dell’estate del 2003. Se non addirittura ad accentuarne gli aspetti negativi estremi1. Infatti l’estate di quell’anno è stata considerata la più rovente nella storia climatica dell’Europa e dell’Italia per intensità e durata del caldo. Segnò anche il passaggio dalle piacevoli estati mediterranee dominate dall’anticiclone delle Azzorre alle estati insopportabilmente bollenti a causa della sempre maggiore e persistente intrusività dell’anticiclone africano.

Venne anche calcolata la mortalità dell’intero periodo estivo del 2003 per coglierne le differenze rispetto all’analogo periodo dell’anno prima2. I risultati epidemiologici rilevarono un incremento della mortalità del 15,2%, in particolare tra le donne, nel nordovest del paese e soprattutto nelle fasce anziane (in particolare sopra i 75 anni, con un aumento del 21,3%). Secondo la letteratura scientifica internazionale il profilo del deceduto per eccesso di calore presenta sette caratteristiche: è molto anziano; ha una o più preesistenti patologie; vive da solo; ha una casa piccola; abita ai piani alti; ha un basso livello socioeconomico; non ha il condizionamento d’aria.

Di queste sette caratteristiche negli ultimi anni sicuramente una, la climatizzazione delle case, è decisamente migliorata, dato che – secondo i dati Istat sui consumi energetici – oggi una famiglia su due in Italia possiede un impianto o apparecchio singolo di condizionamento (ma è il 20% nelle case di chi ha basso reddito). Tuttavia dal punto di vista sociodemografico si sono ampliate problematicamente almeno tre delle caratteristiche suelencate: gli anziani sono aumentati (in quantità e in longevità) e con loro le conseguenti situazioni di comorbilità; inoltre, a causa delle mutanti architetture familiari, sempre più anziani vivono soli: sono il 40% degli ultrasettantaquattrenni, pari a 2,5 milioni di persone (che diverranno 3,6 milioni nel 2045)3.

I dati – pure provvisori – sulla mortalità degli anziani legata alle alte temperature si ripetono nel 2022: secondo il Ministero della Salute in giugno i decessi osservati rispetto a quelli attesi sono superiori del 9% mentre nella prima metà di luglio l’aumento è del 21% (con il picco del 48% a Catanzaro)4.

Invecchiamento e fragilità

La crescita della popolazione anziana – oggi pari al 24% dell’intera popolazione del paese – si accompagna inevitabilmente alla presenza di molteplici malattie croniche, indicata come multimorbilità, e all’aumentata vulnerabilità agli eventi esterni (tra cui quelli climatici) dovuta alla perdita di riserva fisiologica in numerosi organi e sistemi, chiamata fragilità.  Entrambi sono due importanti indicatori di quella complessità che caratterizza la salute degli anziani e le relative cure (giustamente la geriatria è oggi definita come la “medicina della complessità”). 

Secondo una ricerca empirica di Italia Longeva5, che ha creato un indice di fragilità basandosi su 25 problemi di salute più comuni tra gli anziani (detto Primary Care Frailty Index), la popolazione compresa dalla ricerca (ultrasessantenni) è affetta mediamente da otto malattie croniche. Solo il 2,5% dei partecipanti non è affetto da nessuna patologia, mentre quasi il 75% della popolazione di studio ha almeno cinque patologie croniche. Quest’ultima proporzione è maggiore nelle donne e aumenta all’aumentare dell’età, passando dal 57,5% nella fascia di età compresa tra i 60 e i 65 anni all’ 88,2% tra gli over-80. Tra i più anziani, meno del 3% è affetto da una o nessuna malattia cronica. Di conseguenza il 6,5% della popolazione over-60 è affetto da fragilità grave, mentre il 14,1% è affetto da fragilità moderata e il 35,5% da fragilità lieve. La proporzione di individui affetti da fragilità grave cresce comprensibilmente all’aumentare dell’età, passando dallo 0,8% nella fascia 60-65 al 17,3% nella fascia degli 80 e più. 

A ciò si aggiunga – nota la ricerca – una relazione negativa tra il reddito e la prevalenza di fragilità, una relazione che porta il discorso sul ruolo delle disuguaglianze rispetto ai rischi della salute. La fragilità non ha solo caratteristiche biomediche o di reddito, ma rimanda all’intero contesto ambientale di vita, come ha dimostrato la tragedia di Chicago del 1995, in cui il ricercatore statunitense Eric Klinenberg si chiese come sia stato possibile che 739 persone siano morte per il caldo in una grande città del paese più ricco del mondo tra il 14 luglio e il 20 luglio 19956. È stata la conseguenza della segregazione e delle disuguaglianze, ma non solo: otto dei dieci quartieri con il più alto tasso di mortalità erano popolati quasi esclusivamente da afroamericani. Queste aree erano anche caratterizzate da una grave povertà e da un’alta concentrazione di criminalità e molti abitanti erano completamente isolati. 

Klinenberg confronta la difficile situazione dei residenti di due quartieri nel West Side di Chicago: North Lawndale e South Lawndale. Il primo ha avuto 33 decessi ogni centomila abitanti e il secondo solo tre ogni centomila. Perché questa differenza? Nelle aree urbane in cui ci sono stati meno morti le strade erano vivaci, c’erano molti negozi sempre aperti, strutture pubbliche come parchi e biblioteche e la vita comunitaria era attiva. Al contrario, i quartieri più colpiti erano caratterizzati da un alto grado di abbandono: negozi chiusi, fabbriche in rovina, terreni abbandonati usati per il traffico di droga, residenti in fuga. Nel primo caso, si poteva raggiungere a piedi un ristorante o il negozio di alimentari. La gente conosceva i vicini, si sapeva chi viveva da solo o chi era malato. L’esistenza di un ambiente urbano inclusivo incoraggiava le persone sole a uscire in strada e ad incontrarne delle altre. Nel secondo caso, gli anziani rimanevano chiusi nelle loro case; isolati dalle loro famiglie, erano anche privati ​​della possibilità di fare amicizia. Le vittime del caldo erano ancora una volta anziani: il 73 per cento aveva più di 65 anni. Inoltre, in proporzione, il tasso di mortalità per gli afroamericani è stato il più alto tra tutti i gruppi di popolazione.

Nel 2004, l’anno seguente all’eccezionale estate 2003, in tre quartieri di Roma venne avviato un programma di supporto chiamato LLE (Long Live the Elderly) i cui tre obiettivi principali erano: contattare tutti gli over 75 al fine di offrire una valutazione periodica dei loro bisogni sociali e sanitari, coinvolgerli nelle campagne di promozione della salute (ad esempio con una serie di consigli pratici per il caldo), assisterli nella gestione delle questioni burocratiche o nella ricerca di cure formali o informali e fornire i riferimenti dell’ufficio dedicato, attivo dalle 8:00 alle 17:00, dal lunedì al venerdì, da contattare se necessario; rafforzare la rete comunitaria intorno a persone malate e/o socialmente isolate, coinvolgendo le persone che vivono o lavorano vicino a loro nelle azioni di volontariato; infine aumentare la consapevolezza della comunità sui bisogni dei più anziani7. Il risultato dell’intervento è stato che la mitigazione della mortalità durante la canicola del 2015 – comparata alle estati prive di ondate di calore – sia il risultato dell’aumento di resilienza derivante proprio dall’attuazione del programma LLE durante tutto l’anno e soprattutto durante le crisi climatiche. Investimenti nei servizi sociali legati alle valutazioni della fragilità al fine di redigere piani di cura individuali potrebbe essere – suggerisce l’esperienza romana –  una buona strategia per migliorare salute e qualità della vita, almeno durante le ondate termiche. 

Cambiamento climatico e demografia

Nessun dubbio che il surriscaldamento e gli eventi climatici estremi abbiano ricadute evidenti sulla demografia, ad esempio in termini di migrazioni climatiche, per cui – secondo una stima – entro il 2050 tra i 31 e i 72 milioni di persone si sposteranno nei paesi dell’Africa sub-sahariana, dell’Asia meridionale e dell’America Latina a causa della scarsità d’acqua, dell’innalzamento del livello del mare e delle carestie, anche nel caso di una forte riduzione delle emissioni di gas serra, ragione principale del cambiamento climatico8.

Ma va anche evidenziato il perverso convergere della rapida estremizzazione del clima, soprattutto nell’area mediterranea (in Italia la temperatura cresce più del doppio della media mondiale), con la parallela estremizzazione sociodemografica data dall’invecchiamento della popolazione con gli inevitabili correlati in termini di fragilità e vulnerabilità. Per cui le prospettive climatiche in cui si troveranno irreversibilmente a vivere numeri crescenti di anziani sono quelle di uno stravolgimento dei ritmi stagionali, con estati lunghe sei mesi e soprattutto assai più intense, per cui si prevede che tra trent’anni il clima di Milano sarà come quello attuale di Austin (Texas) e quello di Roma sarà simile a quello attuale di Smirne (Turchia)9

È evidente che le ricadute sulla salute e sulla qualità della vita degli anziani e dei grandi anziani non sono solo strettamente biomediche, dato che – per dirla con le parole dell’antropologo Marcel Mauss – le ondate di caldo sono “un fatto sociale totale”, vale a dire eventi che mettono in gioco le istituzioni sociali e, di conseguenza, mettono a nudo una parte della realtà che solitamente è difficile da percepire. Di tale realtà sociale nascosta o misconosciuta fanno (e faranno) parte segmenti sempre più ampi di anziani spesso disabili, polipatologici e isolati relazionalmente. Ecco l’importanza, nella migliore mitigazione possibile delle sofferenze e dei rischi climatici prossimi, di interventi a tutto tondo (sociali, sanitari, assistenziali) che il più possibile agiscano però in una logica reticolare di comunità.

Note

1 Come nell’82 e peggio del 2003: l’estate infuocata è la nuova normalità in Italia?, “la Repubblica”, 21 luglio 2022;

2 Istituto Superiore di Sanità, Indagine epidemiologica sulla mortalità estiva – metodi e risultati finali, 2003;

3 In Age, La solitudine dei numeri ultimi, 2019;

4 Ministero della Salute, Risultati dei Sistemi di allarme (HHWWS), del Sistema Sorveglianza della Mortalità Giornaliera (SISMG) e degli accessi in Pronto Soccorso (PS). Rapporto 16 maggio-15 luglio 2022;

5 Italia Longeva, La mappa della fragilità in Italia. Gradiente geografico e determinanti sociodemografici, 2022, cap. 3°:

6 E. Klinenberg, Heat Wawe. A Social Autopsy of a Disaster in Chicago, The University of Chicago Press, 2002;

7 Aa. Vv., Social Interventions to Prevent Heat-Related Mortality in the Older Adult in Rome, Italy: A Quasi-Experimental Study, Int. S. Environ. Res. Public Health, 2018, 15(4), 715;

8 U. Irfan, Why we still don’t yet know how bad climate migration will get, “Vox”, Mar. 16 2022;9 Aa. Vv.,

9 Changing Lenghts of the Four Seasons by Global Warming, Geophisical Research Letters, Volume 48, Issue 6, 28 March 2021; CMCC, Analisi del rischio. I cambiamenti climatici in Italia, 2020.