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Consiglio Europeo: avanti piano, quasi indietro

Nel Settembre del 2020, la Commissione aveva prodotto il documento programmatico Patto europeo su migrazione e asilo, caduto, per ora, nel dimenticatoio. Come spiega Massimo Livi Bacci, il Consiglio Europeo del 21-22 ottobre ha detto poco o nulla sull’argomento né Draghi, impegnato in partite difficili, ha spinto più di tanto. La Germania non ha ancora un governo, e la Francia va alle elezioni la prossima primavera, le migrazioni possono attendere.

Il Consiglio Europeo del 21-22 Ottobre aveva una fitta agenda di lavoro, dalla questione energetica al caso della Polonia, dalle migrazioni alla gestione della pandemia, ma le conclusioni formulate con equilibrismo diplomatico, sono state generiche, rinviando al futuro passi più concreti1. Il tema delle migrazioni è stato appena sfiorato, nonostante l’impegno di Draghi a riportare il tema al centro del dibattito.

Migrazioni, argomento divisive

In tema di migrazioni, le divisioni tra i 27 paesi sono talmente profonde da rendere impossibile ogni costruttiva conclusione. La questione identitaria viene considerate una potente causa dell’atteggiamento ostile all’immigrazione dei paesi vissuti per decenni nell’orbita sovietica, che ne aveva cancellato l’autonomia. Si aggiungono poi circostanze specifiche per ciascun paese: la pressione dei migranti provenienti dalla Bielorussia sulla Lituania; i timori della Polonia verso le infiltrazioni dall’Ucraina; i difficili o conflittuali rapporti con la Turchia di Bulgaria, Grecia e Cipro; i timori per l’accresciuta pressione dei profughi provenienti dall’Afghanistan. Così Bruxelles si trova di fronte la richiesta di 12 paesi (i tre paesi Baltici, i quattro di Visegrad, Danimarca, Austria, Bulgaria, Grecia e Cipro) di finanziare la costruzione di muri e barriere in “difesa” del territorio nazionale insidiato dai migranti (per fortuna Ursula Von der Leyen ha dichiarato  che “non ci sarà alcuno stanziamento di fondi Ue per filo spinato e muri”). Così il Consiglio dei giorni scorsi ha preferito affrontare la “dimensione esterna” (cioè la difesa delle frontiere) della questione migratoria, rinviando ad altra stagione discussione e determinazioni relative al Patto europeo su migrazione e asilo,  che è il documento programmatico con il quale la Commissione europea ha esposto le linee guida che orienteranno il suo lavoro in tema di migrazione nel prossimo quinquennio. Reso pubblico più di un anno fa, è caduto, per ora, nel dimenticatoio.

La dimensione esterna, conclusioni generiche

Sulle complesse questioni “esterne”, l’arte del rinvio, la vaghezza del linguaggio, gli impegni generici hanno permesso di non approfondire la spaccature esistenti. Così le conclusioni affermano che la “UE rimane determinata ad assicurare il controllo efficace delle sue frontiere esterne”, ed afferma “la necessità di garantire rimpatri efficaci e la piena attuazione degli accordi e delle intese in materia di riammissione, utilizzando le leve necessarie.” Insomma rafforzare l’azione di FRONTEX con finanziamenti adeguati (ma senza costruire muri), e “utilizzare le leve necessarie” per garantire la riammissione degli irregolari. Tutti d’accordo, in linea di principio, anche se le “leve necessarie” vengono manovrate in maniera molto difforme dai vari paesi.

La dimensione “interna”: la solidarietà è una chimera.

Il disaccordo si è riacceso quando il premier olandese Rutte ha chiesto un maggior controllo dei cosiddetti “movimenti secondari”, cioè delle migrazioni – prevalentemente provenienti da Grecia, Italia e Spagna – di irregolari che secondo gli accordi di Dublino dovrebbero essere trattenuti e “gestiti” dai paesi di arrivo, e che invece migrano verso i paesi del centro-nord europeo (Olanda, Germania e altri), passando loro la patata bollente di giudicare del loro destino (concedere l’asilo o procedere all’espulsione). E’ questo un altro argomento divisivo: il controllo dei movimenti migratori secondari chiama in causa la necessaria, profonda, revisione del Trattato di Dublino: la conclusione del Consiglio si limita a dire “È opportuno proseguire gli sforzi volti a ridurre i movimenti secondari, e garantire un giusto equilibrio tra responsabilità e solidarietà fra gli Stati membri”. Dire e non dire: “responsabilità” si riferisce al fatto che il paese di arrivo deve farsi carico del migrante (in altre parole, accoglierlo dando asilo o protezione, o rimandarlo a casa). Ma questa responsabilità non è assoluta perché il migrante arriva sì, in un paese, ma al contempo arriva in Europa e anch’essa ha ovviamente delle responsabilità, oggi sproporzionatamente in capo ai paesi di primo approdo. E quindi “solidarietà” vuol dire trovare il modo di ripartire l’onere, facendo sì che ogni paese accolga una quota di irregolari, in base alle capacità di spesa e di accoglienza, e tenendo conto anche delle preferenze del migrante (che vuole andare nel paese x, e non restare nel paese y, perché nel primo ha amici e parenti, e occasioni di lavoro). Un bel problema, che occorrerà affrontare di petto perché l’Europa continuerà ad essere un paese di immigrazione. La demografia aiuta a capirlo: tra il 2020 e il 2040, se venissero tenute chiuse le porte all’immigrazione, la popolazione tra i 20 e i 65 anni diminuirebbe del 22% in Italia, del 19% in Germania e Spagna, del 14% nell’intera Europa, e in questa fascia d’età gli adulti più anziani prevarrebbero nettamente su quelli più giovani. Il potenziale produttivo  diventerebbe ovunque assai più piccolo e assai più anziano.

È giusto e del tutto legittimo che la UE controlli le proprie frontiere, nel rispetto dei fondamentali diritti umani e delle convenzioni sottoscritte. È simbolicamente deprimente che lo faccia erigendo muri, a suggello di una drammatizzazione delle migrazioni, che saranno invece un importante sostegno per lo sviluppo nei prossimi decenni. È infine colpevole che si crei allarmismo per un fenomeno che non è certo travolgente. Dopo il picco del 2015, quando varcarono le frontiere europee più di un milione di irregolari (in gran parte legittimati a richiedere asilo politico), prevalentemente Siriani, il fenomeno è ritornato su numeri gestibili (tra 100 e 200 mila ingressi all’anno) nell’ultimo quinquennio. Gestibile per una società ricca, di quasi mezzo miliardo di persone, e per di più bisognoso dell’apporto di migranti.


1 Riunione del Consiglio europeo (21 e 22 ottobre 2021) – Conclusioni, 01315986.pdf (senato.it)

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