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Mantenere le promesse

Dopo una lunga preparazione lo scorso novembre si è celebrato a Nairobi il 25mo anniversario della Conferenza Internazionale sulla popolazione e lo sviluppo svoltasi al Cairo nel 1994. Alessandra De Rose e Patrizia Farina membri della delegazione italiana richiamano in questo articolo i caratteri salienti del Cairo e le decisioni prese a Nairobi.

Il Programma del Cairo del 1994: l’atto di ingegneria sociale più importante della storia*

Dopo diversi decenni di discussione focalizzata sul controllo della popolazione la Conferenza del Cairo nel 1994 inaugurava una nuova strategia centrata sulla qualità della vita delle popolazioni, richiamando la riduzione della crescita demografica solo in quanto conseguenza dello sviluppo sociale ed economico di ciascun paese.

Il Programma di azione, documento adottato da 179 governi, è stato l’esito di un processo di negoziazione serrata essenzialmente fondata su principi morali molto diversi e non sempre riconducibili alla dicotomia laici-religiosi o paesi ricchi-paesi poveri.

La discussione si era manifestata fin dal linguaggio adottato nei documenti preparatori. Ad esempio, la bozza del documento fu contestata perché si riteneva che dietro alla dizione “safe matherhood” o “fertility regulation” si celasse un’opinione favorevole all’aborto o che l’uso delle frasi come “the family in all its forms” denigrasse la famiglia tradizionale o aprisse le porte a famiglie considerata eccentriche. La negoziazione fu su queste definizioni così come su prosmiscuity che avrebbero potuto aprire le porte alla sessualità extraconiugale e homosexuality, emblematiche delle difficoltà di conciliazione anche formali di allora.

Ancora più difficile fu la condivisione dei soggetti destinatari delle politiche in quanto portatori di diritti umani violati. In questo solco, la contrapposizione più rilevante si era manifestata nell’approccio alle politiche di empowerment femminile principalmente perché esso metteva al centro la singola persona quale destinataria di programmi di sviluppo a scapito, secondo gli oppositori, delle politiche familiari.

Questo scontro era anche il frutto di un contrasto ben più profondo su come avrebbe dovuto essere il pianeta. Un gruppo di paesi, principalmente quelli a sviluppo economico avanzato, salutavano positivamente il trasferimento dell’attenzione dal contenimento della crescita demografica alla qualità della vita enfatizzando la salute delle donne, la loro emancipazione e la riduzione della fecondità come scelta. A questo gruppo se ne contrapponeva un altro – di matrice più religiosa e più frequentemente del sud del mondo – pure favorevole all’abbandono dei target demografici, ma contrario alle parti del documento finale che celavano a loro avviso un tentativo di “esportare” coercitivamente nelle società tradizionali il modello materialista di altre.

Nonostante tutto e nonostante le tattiche messe in campo da ognuna delle parti il Programma d’azione fu stato infine sottoscritto e 15 principi guida enunciati. Dal punto di vista quantitativo esso prevedeva il raggiungimento di obiettivi attraverso precise azioni definite dal Programma. Fra questi la riduzione della mortalità infantile e materna, l’accesso universale all’istruzione e ai servizi di salute riproduttiva delle donne, incluso il controllo delle nascite. L’empowerment femminile, sotto traccia, univa gli obiettivi piuttosto che essere un obiettivo esso stesso.

Nel tempo le azioni per raggiungimento dei propositi del Cairo sono state inglobate nelle successive iniziative promosse dalle Nazioni Unite o dalle Agenzie sovranazionali. Li ritroviamo infatti in quattro degli Otto obiettivi del millennio e ancor più numerosi fra i 17 Sustainable Development Goals (SDG) dell’agenda 2030. L’aggancio a campagne o strategie come quelle appena richiamate sono servite a mantenere visibili i traguardi che, peraltro, si sono diversificati nel tempo. Ad esempio, il capitolo IV del Programma, dedicato all’equità di genere, poneva una speciale attenzione sulla condizione delle bambine. Negli anni a noi più vicini la protezione rientra in modo più specifico nelle azioni che contrastano le pratiche dannose come le mutilazioni genitali femminili e i matrimoni precoci o forzati.

Il cammino percorso e la nuova conferenza di Nairobi

Venticinque anni dopo il Cairo, su un pianeta nel frattempo cresciuto di altri due miliardi, più benestante e più diseguale, l’UNFPA[1] ha promosso a Nairobi una nuova Conferenza² con l’obiettivo di rinvigorire la coalizione che ha sostenuto il Programma del 1994 e generare un impegno politico e finanziario forte per concludere il progetto inserito fra l’altro nell’Agenda 2030.

E proprio la base dati delle Nazioni Unite predisposta per il monitoraggio dei SDG permette di documentare con dati statistici il progresso fatto dalla Conferenza del Cairo ad oggi nell’ambito, in particolare del Goal 3 dedicato alla salute e il risultato delle azioni di contenimento delle “harmful practicies”, che rientrano nel Goal 5 dedicato all’equità di genere ed empowerment femminile. Alcuni di questi indicatori sono riportati nella tavola 1 dove si propone, ove possibile, il confronto tra il 1990 e l’ultimo dato disponibile, nonché quello con il target previsto nell’Agenda 2030 e ribadito a Nairobi. Tutti gli indicatori già monitorati dalla Conferenza del Cairo mostrano un miglioramento, che però è del tutto insoddisfacente rispetto agli obiettivi. Gli altri indicatori mostrano un’apparente minore rilevanza statistica a livello globale (i dati riportati si riferiscono, infatti, al totale Mondo), ma nascondono invece una forte eterogeneità territoriale: per esempio, la quota di donne sposate prima dei 15 anni arriva al 12% in alcuni paesi africani (Africa Sub-Sahariana) e la percentuale sale molto se si considerano i matrimoni sotto i 18 anni; la proporzione di ragazze 15-19 che hanno subito la mutilazione genitale supera il 90% in alcuni paesi che la praticano, ma è inferiore al 30% in altri. Inoltre, le medie a livello globale, regionale e persino nazionale mascherano profonde disparità tra sottogruppi di popolazione, più o meno vulnerabili a seconda del loro livello di istruzione, luogo di residenza, stato economico o età. Non a caso, è proprio su questi indicatori e sulle disuguaglianze che ne sono all’origine, che più si è soffermata l’attenzione al Summit di Nairobi, 25 anni dopo la Conferenza del Cairo.

Le assenze che pesano e il clima intossicato dalle ideologie

All’appuntamento oltre 9000 persone e soprattutto le “giovani acceleratrici del cambiamento” si sono riconosciute nelle parole d’ordine “nessuno sia lasciato indietro” e “assicurare i diritti e le scelte riproduttive”.

Tuttavia, diversamente che al Cairo a Nairobi il dissidio ideologico, peraltro maturato già in altre sedi, non è stato ricomposto. La divisione si è manifestata nelle assenze di alcuni governi, il più rilevante dei quali è quello statunitense³ e di un contro convegno realizzato nella stessa città da organizzazioni avverse a cui hanno partecipato diverse rappresentanze nazionali. Stante questo insanabile conflitto, a Nairobi si è adottata la formula del consenso mediante il contributo finanziario invece della sottoscrizione di un programma. Enti, governi nazionali fra cui quello italiano, organizzazioni, fondazioni, e persino individui si sono pubblicamente impegnati a sostenere attività che ruotano attorno ai cosiddetti “tre zero”: zero bisogno non soddisfatto di family planning, servizi e informazioni; zero morti materne evitabili; zero violenza di genere e pratiche dannose (mutilazioni genitali femminili e matrimoni precoci). Obiettivi certo più facilmente raggiungibili se fossero sostenuti da un consenso più ampio, ma che UNFPA si è impegnata a conseguire dando un senso alle parole dei e delle giovani militanti, leader e avanguardie di comunità che hanno chiesto di non vanificare quanto finora realizzato, in definitiva di “mantenere le promesse” fatte al Cairo.

Per saperne di più

Davis J.E. (1995) Crossing Cultural Divides. Moral conflict and the Cairo Population Conference in Virginia Review of Sociology vol.2

Rosenfeld S. (1994) Cairo Mandate in Washington Post, 16 settembre 1994

UNFPA (2004) Programme of Action, UNFPA

Countering ICPD25: Pro-life Alternatives to Nairobi Summit Agenda, Expert Opinions

The Nairobi summit

UNFPA is the United Nations sexual and reproductive health agency

he Millennium Development Goals Report

Sustainable Development Goals

Fonte tabella 1:

Global SDG Indicators Database

Note

¹UNFPA acronimo di United Nations Fund for Population Activities è un’Agenzia delle Nazioni Unite che si occupa della salute sessuale e riproduttiva. Come recita l’incipit di presentazione la loro missione è quella di consegnare un mondo dove ogni gravidanza è desiderata, ogni parto è sicuro e il potenziale di ogni giovane è realizzato. https://www.unfpa.org/about-us.

² Alla Conferenza, cofinanziata dal governo danese e keniano, cui hanno partecipato quasi diecimila persone provenienti da tutti i settori della società politica, economica e civile.

³ Un’assenza attesa dato che l’amministrazione Trump ogni anno dal suo insediamento ha negato il finanziamento all’UNFPA.

*Questa definizione è stata coniata dal giornalista Rosenfeld in un articolo pubblicato Washington Post all’indomani della chiusura della Conferenza [letteralmente “The international embrace of the largest calculated act of social engineering in history”

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