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Sindrome cinese

Il mondo delle patologie è sempre in movimento, perché i rapporti tra microbi e virus, vettori, ambiente e umani è in continua evoluzione. Gianpiero Dalla Zuanna riflette sul coronavirus apparso in Cina, sulla necessità di prendere pronte e vigorose misure per circoscrivere il contagio, e di condividere rapidamente tutte le informazioni epidemiologiche con la comunità scientifica internazionale.

Sono impressionanti i dati sulle misure messe in atto in Cina per contrastare la diffusione del coronavirus: città di milioni di abitanti messe in quarantena, mobilità limitata per decine di milioni di persone, migliaia di medici spostati a sostegno delle città al centro dell’epidemia. Fin dall’inizio, le autorità cinesi hanno collaborato strettamente con l’Organizzazione Mondiale della Sanità e con gli altri paesi del mondo per bloccare il contagio. Queste azioni affondano le loro radici nella storia, quando segnarono la nascita della medicina pubblica moderna.

La peste nera del 1347-49 arrivò dall’Oriente nel porto di Messina, dopo 500 anni in cui la peste aveva lasciato l’Europa. Trovò un continente in piena espansione commerciale, ma totalmente sguarnito di fronte al contagio: secoli di assenza del morbo avevano indebolito le resistenze immunitarie, mentre città e governi non avevano alcun sistema per contrastare una malattia di cui – peraltro – si ignoravano i meccanismi di contagio. Nel giro di tre anni, la peste arrivò fino in Scandinavia e in Russia, sterminando un terzo della popolazione europea.

Nei secoli successivi le città e i paesi europei impararono la lezione. Anche nel ‘700 nessuno aveva ancora compreso come faceva la peste a passare da a uomo a uomo, né c’erano medicine in grado di contrastarla. Tuttavia, quando nel 1743 la peste ritornò nel porto di Messina, il governo isolò subito la città con tre corone di fucilieri, che impedivano a tutti di entrare e di uscire. Per Messina la peste del 1743 fu un’apocalisse: in un anno la sua popolazione passò da 40 a 12 mila persone! Tuttavia il suo sacrificio non fu vano, perché il resto della Sicilia e l’Italia intera furono risparmiate dall’epidemia.

Anche la peste che colpì più volte i Balcani nel corso del ‘700 non riuscì ad arrivare in Italia, grazie all’efficace organizzazione di sanità della Repubblica di Venezia, che impose quarantene e blocchi navali e commerciali. Sono inoltre documentati gli intensi scambi di informazione fra le autorità sanitarie delle diverse città italiane ed europee, per isolare le zone contagiate e bloccare gli individui infetti. Così, dopo la peste del Manzoni del 1630 – che fece stragi simili a quelle del 1348 – il morbo abbandonò le città e le campagne dell’Italia del Nord.

Oggi la medicina moderna sa (quasi) tutto sulla peste, e grazie ai farmaci riesce a contrastare (quasi) tutte le malattie infettive. Tuttavia, gli strumenti di prevenzione, quarantena e isolamento dei malati non hanno affatto perso la loro utilità. Al giorno d’oggi queste misure – per essere veramente efficaci – esigono una organizzazione e un coordinamento planetario, data la rapidità degli spostamenti degli uomini e delle merci.

Esigono anche una politica di assoluta trasparenza da parte dello Stato dove un’epidemia inizia a diffondersi. Da questo punto di vista le autorità cinesi – che con la SARS del 2002 si erano mal comportate, cercando fino all’ultimo di negare la gravità dell’epidemia. per evitare contraccolpi di tipo commerciale – hanno fatto un’enorme passo avanti. Perché la globalizzazione degli uomini e delle merci esige una medicina pubblica anch’essa fortemente globalizzata.

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