La fecondità in Europa sta mutando. In calo nell’area nord-occidentale, dove era, da anni, relativamente elevata, è invece in crescita in Germania e nell’Europa dell’Est. Non si tratta ancora di un sovvertimento della graduatoria, ma i segnali sono evidenti. L’interpretazione, invece, è meno netta: Marcantonio Caltabiano e Chiara Comolli suggeriscono che la causa prevalente sia l’incertezza economica sul futuro, contrastata però, in Germania e nell’Europa dell’est, da decise politiche pronataliste.
In Italia il declino delle nascite seguito alla Grande Recessione del 2008 prosegue ormai da un decennio (Caltabiano e Rosina 2019). Di questo trend negativo si discute parecchio, e non solo tra gli specialisti, anche grazie all’interessamento dei mass media e al dibattito tra le forze politiche su quale sia il modo migliore per sostenere le famiglie con figli.
Si parla poco invece in Italia di quello che succede nel resto d’Europa, nonostante la natalità sia in declino anche in numerosi altri paesi. Non ci riferiamo agli altri paesi dell’Europa meridionale, che seppur fortemente colpiti dalla recessione, dal 2013 in poi hanno visto coincidere, almeno parzialmente, la ripresa economica con quella delle nascite: i dati aggiornati al 2017, rilasciati poche settimane fa da Eurostat, mostrano che sono i paesi dell’Europa occidentale e del Nord a soffrire una crisi delle nascite simile a quella Italiana.
Infatti, il tasso di fecondità totale (TFT, ovvero il numero medio di figli che avrebbe una generazione ideale di donne se le nascite per età della madre restassero costanti nel tempo) negli ultimi anni ha iniziato a ridursi, in maniera più o meno inaspettata, anche in questi paesi.
La fecondità in Europa nord-occidentale
Il trend negativo del TFT nell’ultimo decennio è comune a numerosi paesi dell’Europa occidentale (Figura 1), ma presenta gradi d’intensità e tempi differenti. Se in Irlanda, Belgio e Paesi Bassi è iniziato subito dopo la crisi del 2008, ed è stato più intenso, nel Regno Unito la discesa è iniziata nel 2013 e in Francia nel 2015. Il calo del numero medio di figli per donna in questi paesi nell’ultimo decennio è simile a quello registrato in Italia, anche se il TFT si mantiene comunque al di sopra di 1.6 figli per donna, e in alcuni vicino a 1.8, mentre in Italia siamo ben al di sotto, ad una media di 1.32 figli per donna.
Il calo diventa invece sorprendentemente più significativo spostandosi verso Nord. Nei paesi Nordici il declino della fecondità è iniziato con un paio d’anni di ritardo rispetto alla data di inizio della Grande Recessione del 2008 (Figura 2) che, di portata minore rispetto al Sud Europa, inizialmente non aveva inciso sulla dinamica demografica di questi paesi. I paesi più colpiti sono la Finlandia e la Norvegia (dove il TFT del 2017 è stato il più basso dall’inizio degli anni ’60) insieme all’Islanda, uno dei paesi più coinvolti nella crisi. In Svezia, la riduzione del TFT è stata meno drammatica ma comunque significativa, mentre in Danimarca il trend negativo è meno intenso e vede dopo il 2013 un andamento più altalenante. La persistenza e soprattutto la misura di questo declino delle nascite quindi non solo assomiglia ma è persino più rilevante di quello Italiano.
I paesi del Nord Europa sono tradizionalmente riconosciuti come all’avanguardia nel campo delle politiche a sostegno alle famiglie e alla riconciliazione lavoro-famiglia, fondamentali strumenti di sostegno alla natalità. Inoltre, la Grande Recessione ha colpito i paesi Nordici in misura minore che in altre zone d’Europa (ad eccezione dell’Islanda). È difficile quindi attribuire il calo della fecondità in paesi come la Norvegia o la Svezia alla crisi economica o all’inadeguatezza delle politiche a sostegno alle famiglie. Inoltre, da uno studio più approfondito (Comolli et al. 2019) emerge che, rispetto ai decenni precedenti, il comportamento demografico post-2008 nei cinque paesi Nordici è diventato più simile. Ciò è vero non solo mettendo i cinque paesi in comparazione tra di essi, ma anche all’interno di ciascun paese, tra gruppi di donne con diversi livelli d’istruzione.
L’omogeneità del comportamento demografico in paesi e gruppi diversi suggerisce che il declino delle nascite non sia legato solamente al peggioramento effettivo delle condizioni economiche delle famiglie, ma anche alla percezione di incertezza economica e sociale, che dunque influenza trasversalmente il comportamento anche in presenza di condizioni materiali diverse. Sappiamo infatti che la recente crisi economica ha avuto un impatto negativo sui tassi di fecondità non solo attraverso l’aumento della disoccupazione, la precarietà dei contratti e l’abbassamento dei redditi, ma anche attraverso il crescere della sfiducia dei consumatori e dell’incertezza economica. Possiamo quindi immaginare che la portata della crisi del 2008 sia stata tale da generare conseguenze di medio-lungo periodo non solo in campo economico ma anche in campo politico e sociale che, nonostante la fine della recessione, probabilmente continuano ad influenzare negativamente le scelte delle famiglie Europee.
La fecondità in Germania e nell’Europa dell’Est
Le (seppur minime) restrizioni al welfare applicate nei paesi Nordici in risposta alla crisi, sommate alla percezione di incertezza economica proveniente da altri paesi Europei, i cui destini sono sempre più legati tra loro, hanno generato insicurezza anche in paesi dove la crisi ha avuto effetti concreti marginali. Laddove i governi non hanno attivamente contrastato l’incertezza sul futuro attraverso nuovi incentivi, concreti e di lungo periodo, destinati a sostenere l’investimento delle famiglie nel loro futuro, questo investimento è oggi visto come troppo rischioso.
Contrastano infatti con il trend negativo appena visto le tendenze registrate in Germania – dove efficaci politiche familiari a sostegno della riconciliazione lavoro e famiglia sono state adottate a cavallo della crisi economica – e i paesi del cosiddetto Gruppo di Visegrad con le loro politiche pronataliste (Figura 3). Qui la fecondità è in ripresa, con punto di svolta più o meno ritardato, raggiungendo i massimi degli ultimi 20 anni (e nel caso della Germania sin dal 1973).
Alla luce di queste ipotesi – e a differenza degli effetti temporanei delle recessioni – rischiamo che la percezione di incertezza sociale, economica e politica che contraddistingue l’Europa di oggi, abbia conseguenze di lungo periodo sulle scelte familiari. In mancanza di politiche attive di contrasto all’incertezza, il futuro demografico dell’Europa potrebbe essere quello di un lento declino.
Per saperne di più
Comolli et al. (2019). Beyond the economic gaze: Childbearing during and after the recessions in the Nordic countries. Stockholm Research Reports in Demography n. 16.
Caltabiano, A. Rosina (2019). Il declino delle nascite si può fermare. Neodemos.