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Migrazioni zero?

Per riportare la demografia del paese in equilibrio, l’immigrazione, pur necessaria, non basta senza una vigorosa ripresa della natalità. Ma questa, argomenta Marcantonio Caltabiano, non avverrà senza vigorose politiche sociali.

Nelle ultime settimane il dibattito politico si è focalizzato sull’intensità dei flussi migratori in ingresso in Italia, con una serie di riflessioni, spesso contrapposte, sulle conseguenze di maggiori o minori arrivi di cittadini stranieri sul sistema pensionistico, su quello produttivo e sull’economia italiana in generale nei prossimi decenni.

Un orizzonte e migrazioni zero

Ma cosa succederebbe realmente alla popolazione italiana se per ipotesi le frontiere restassero chiuse nei prossimi anni? A questa domanda risponde uno degli scenari di previsione della popolazione futura elaborati ogni due anni in maniera indipendente dalla Population Division delle Nazioni Unite per tutti i paesi del mondo: lo scenario zero-migration (migrazioni zero).

Tenendo presente che questo scenario prevede non solo zero ingressi ma anche zero uscite di italiani verso altri paesi, le due figure che seguono confrontano lo scenario zero-migration con quello che prevede, per i prossimi decenni, saldi migratori positivi, sia pure inferiori rispetto a quelli degli ultimi due decenni. Con lo scenario zero-migration la popolazione italiana al 2100 sarebbe inferiore di dieci milioni di individui (47,8 contro 37,3 milioni; Figura 1) mentre l’indice di dipendenza degli anziani (ovvero il rapporto tra popolazione di 65 e più anni e quella tra 15 e 64 anni) crescerebbe da 63 a 69 anziani ogni cento attivi (Figura 2).

Più nascite e meno invecchiamento

Per frenare l’invecchiamento della popolazione nei prossimi decenni l’unica vera alternativa ai flussi migratori in ingresso è un deciso aumento della fecondità totale che, dopo aver raggiunto il valore di 1,46 figli per donna nel 2010, il massimo dal 1984, negli anni seguenti è nuovamente diminuito, anche come conseguenza della crisi economica, e senza mostrare finora segni di ripresa. Il livello attuale di 1,34, molto lontano da quello di rimpiazzo di due figli per donna, se mantenuto nel tempo, implicherebbe una notevole riduzione della popolazione italiana nei prossimi decenni e un suo forte invecchiamento (più di quel che mostrano le figure 1 e 2, costruite sull’ipotesi che la fecondità recuperi lentamente, fino a raggiungere il valore di 1,79 figli per donna a fine secolo).

Non solo, stime recenti (Caltabiano et al. 2017) prevedono che tra le donne italiane nate nel 1980 circa una su quattro resterà senza figli, con picchi di una su tre in alcune regioni meridionali come Molise, Basilicata e Sardegna. Ora se per alcune, probabilmente una minoranza, quella di restare senza figli è una scelta, per la maggior parte delle donne è invece conseguenza di vincoli reddituali e lavorativi e di rinvii della maternità che alla fine si trasformano in rinunce, oltre che delle inadeguate politiche di sostegno alla natalità che si sono succedute negli ultimi trent’anni.

Tuttavia, intervenire non è per nulla facile, come mostrano le vicende russe (Potosì, 2013): tra tutti i comportamenti demografici, la fecondità è il più difficile da influenzare, e gli incentivi spesso hanno un effetto di boom iniziale che rapidamente si attenua, man mano che i nuovi stimoli diventano consuetudine.

Inoltre l’uscita dall’età riproduttiva delle ancora numericamente consistenti generazioni di donne nate a fine anni settanta e la loro sostituzione con le poche donne nate a metà anni novanta implica che, anche in caso di rialzo del numero medio di figli per donna, il numero assoluto di nascite diminuirà inevitabilmente nei prossimi anni, per cui è inutile sperare che tra cinque anni in Italia ci saranno più nati rispetto ad oggi, specialmente senza il contributo delle madri straniere (che tra l’altro dal 2009 ad oggi è rimasto pressoché costante tra il 17% e il 20% del totale dei nati).

Piuttosto per rallentare (e magari arrestare) il declino delle nascite in Italia occorre ragionare su politiche differenti per donne con vite differenti: lavoratrici dipendenti, autonome, imprenditrici, precarie, casalinghe. Per alcune sono più utili contributi in denaro, per altre un congedo pagato non ristretto a pochi mesi dopo la nascita di un figlio o un part time incentivato e flessibile, per altre ancora un nido vicino al posto di lavoro.

Riferimenti

Caltabiano, M., Comolli, C.L. e Rosina, A. (2017) “The effect of the Great Recession on permanent childlessness in Italy”, Demographic Research 37(20): 635-668.

Potosì (2013) Putin all’attacco della bassa natalità. La politica del “capitale materno”, Neodemos, 27 novembre

UN (2017) United Nations, Department of Economic and Social Affairs, Population Division,   World Population Prospects: The 2017 Revision, Methodology of the United Nations Population Estimates and Projections, Working Paper No. ESA/P/WP.250. New York: United Nations.

 

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