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I sistemi educativi e i migranti: l’Europa si interroga su un rapporto con poche luci e molte ombre

Nel 2008, il Green paper  della Commissione europea  “Migration & mobility: challenges and opportunities for EU education systems” ha avuto il merito di sottoporre all’attenzione dei governi e della società civile un tema delicato: i sistemi di istruzione europei offrono pari opportunità agli immigrati e ai loro figli?
Considerando la resistenza da parte di alcuni paesi a trattare questo problema in maniera autonoma rispetto a quello più generale dell’efficienza e dell’equità della scuola, è significativo che l’iniziativa sia stata poi ripresa dal Consiglio dei ministri europei, che ha esplicitamente richiesto agli Stati membri di adottare un approccio politico integrato per garantire agli studenti con background migratorio le stesse opportunità formative offerte agli studenti nativi. Inoltre, la Commissione è stata incaricata di monitorare con regolarità le differenze tra i due gruppi in termini di successo scolastico.
I primi risultati di questo esercizio sono riportati nel rapporto “Progress towards the common European objectives in education and training – Indicators and benchmarks 2010/2011” che esamina ogni anno l’evoluzione dei sistemi educativi dei paesi UE[1].
Lo svantaggio dei migranti
Il rapporto fornisce una buona documentazione statistica sul fenomeno a livello europeo, includendo non solo gli Stati membri ma anche i paesi EFTA e quelli candidati all’ingresso nell’UE. Vediamo i risultati in tre aree particolarmente importanti per gli immigrati: le competenze linguistiche, gli abbandoni precoci dei percorsi formativi e la formazione degli adulti.
I giovani migranti hanno spesso insufficienti competenze nella comprensione dei testi scritti e nell’uso della lingua del paese di accoglienza, specialmente se in famiglia si parla la lingua nativa, e questo deficit ostacola fortemente il processo di integrazione e il rendimento scolastico.
Nella maggior parte dei paesi europei la scuola non è ancora in grado di affrontare efficacemente il problema. Risulta allora che, per i ragazzi con background migratorio, il livello di conoscenza linguistica (o literacy) è significativamente inferiore alla media già nei primi anni di scuola, come mostrano i risultati dell’indagine PIRLS sugli alunni di 9/10 anni (http://www.invalsi.it/invalsi/ric.php?page=pirls2011). Negli anni successivi, non sembra esserci un  recupero significativo; al contrario, tra gli studenti di 15 anni, età alla quale il test PISA offre una nuova valutazione delle competenze linguistiche, si riscontra ancora un netto svantaggio per i migranti, anche quelli di seconda generazione.
L’Italia non fa eccezione: nel nostro paese il punteggio medio degli alunni con background migratorio è più basso di quello dei loro coetanei con genitori italiani del 5% alle elementari e del 15% alle superiori. E’ vero che i sistemi di misura delle due rilevazioni sono diversi, e quindi non direttamente comparabili, ma l’indicazione che ne emerge rimane nondimeno negativa, e preoccupante.
Il rapporto analizza poi gli abbandoni precoci, con particolare attenzione alla situazione degli early leavers from education and training, e cioè quei giovani con basso livello di istruzione non inseriti in alcun percorso formativo per i quali è maggiore il rischio di esclusione sociale e di difficile inserimento nel mercato del lavoro. L’impegno a diminuirne drasticamente l’incidenza è uno dei punti chiave di “Europa 2020” – la nuova strategia per il rilancio economico dell’UE – per assicurare la “ crescita intelligente” dell’Unione nel prossimo decennio. Ma è un obiettivo di difficile realizzazione, specialmente per i migranti tra i quali l’incidenza di early leavers è attualmente circa il doppio di quella dei coetanei nazionali (media UE).
In Italia, lo svantaggio dei migranti è ancora più netto, con un tasso del 40% contro il 17% dei nazionali.
Infine, i migranti sono poco frequentemente coinvolti nelle attività di formazione per gli adulti: i loro bassi tassi di partecipazione sembrano indicare un difficile accesso a quegli strumenti che permetterebbero loro di aggiornare le proprie competenze e di adattarle al mercato del lavoro nazionale. Una soluzione inevitabile in tempi di crisi economica, quando le risorse scarseggiano e la formazione rischia di essere tra i primi settori colpiti? Non necessariamente, se è vero che in alcuni paesi avviene il contrario, ad esempio nei paesi scandinavi e anglosassoni, ma anche in Belgio e in Portogallo.
In Italia, dove il sistema di formazione permanente è in generale poco sviluppato, per i migranti si registra un tasso di partecipazione molto basso (3,4% contro 6,3% degli italiani “doc”).
La situazione italiana
In generale, il sistema di istruzione e formazione del nostro paese sembra presentare numerosi punti di debolezza, evidenziati chiaramente dal confronto europeo sugli indicatori. Gli obiettivi concordati per il 2020 a livello UE[2] sono lontani in quasi tutte le aree monitorate, e la tendenza degli anni passati non fa ipotizzare un agevole raggiungimento.
La situazione degli immigrati e dei loro figli, poi, è particolarmente difficile, specialmente per i numerosi early leavers e considerando le difficoltà di accesso degli adulti a corsi di formazione permanente, per cui è forte il rischio che i migranti siano e rimangano nella fascia di popolazione con più basso livello di istruzione.
La popolazione straniera si avvicina ormai all’8% dei residenti, al 10% se si considerano solo i minorenni: valorizzare le capacità e rafforzare le competenze di queste persone è un obiettivo importante sul piano economico e sociale. Tuttavia, gli sforzi in questa direzione sembrano ancora frammentati e poco incisivi. Il rapporto della Commissione europea indica numerosi punti di debolezza nel sistema di istruzione italiano, e il MIPEX (il Migrant Integration Policy Index prodotto dal British Council – http://www.mipex.eu/italy) valuta come piuttosto debole l’azione politica in favore dei migranti nella scuola: “Educating migrant pupils is area of weakness for Italy”.
L’introduzione di politiche integrate per ridurre il gap educativo dei migranti, come auspicato dalla UE, sarebbe un passo importante per ridurre quest’area di debolezza, sostenendo il processo di inclusione sociale di una parte non irrilevante e crescente di popolazione.

[1] http://ec.europa.eu/education/lifelong-learning-policy/doc2881_en.htm

 

[2]Council conclusions of 12 May 2009 on a strategic framework for European cooperation in education and training (‘ET 2020’).
(*) Le opinioni espresse sono quelle dell’autore e non riflettono necessariamente quelle dell’istituzione di appartenenza
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