Nonostante il perdurare di una crisi che costringe molti immigrati al rientro nel paese di origine (una stima per il 2010 di 20.000 partenze – peraltro non verificabili – è riportata su Mixa, il nuovo magazine dell’Italia multietnica, numero 3, 2010), il numero di bambini stranieri nelle scuole italiane è destinato a crescere. Motore della crescita non saranno tanto i nuovi arrivi quanto piuttosto le nascite in Italia da genitori stranieri. Due dati interessanti: gli iscritti in anagrafe per nascita dell’anno 2002 con entrambi i genitori stranieri erano 29.483 (fonte Istat). Sei anni dopo, all’apertura dell’anno scolastico 2008-09, erano 28.748 gli alunni stranieri nati in Italia iscritti alla prima elementare (fonte Miur). La modesta differenza tra i due numeri potrebbe dipendere da, oltreché dalla – fortunatamente bassa – mortalità nei primi anni di vita, da rientri in patria delle famiglie immigrate, da naturalizzazioni dei genitori intervenute prima del compimento dei sei anni dei figli, o semplicemente dalla mancata coincidenza tra anno solare e anno scolastico. In ogni caso, la loro prossimità legittima l’uso del primo per prevedere il secondo.
Tabella 1 – Nati in Italia e iscritti in anagrafe per nascita con entrambi i genitori stranieri, anni 2002-2009
Fonte: Istat.
Sui banchi di scuola, il sorpasso delle seconde generazioni
Le nascite in Italia da genitori stranieri hanno subito un’accelerazione in seguito alla “grande regolarizzazione” Bossi-Fini del 2002-03: la simultanea stabilizzazione (legale, lavorativa, previdenziale, abitativa, ecc) che ha interessato centinaia di migliaia di famiglie immigrate ha infatti provocato un’impennata di nascite, chiaramente osservabile a partire dal 2004 (si veda la tabella 1). Possiamo così prevedere che a partire dall’anno scolastico appena inaugurato inizieranno ad affacciarsi sulla soglia della scuola dell’obbligo i numerosi figli di quel baby boom. Il loro ingresso nell’età scolastica ha due implicazioni: l’aumento degli studenti stranieri sui banchi della scuola italiana e, all’interno di questa popolazione, il progressivo sorpasso delle seconde generazioni in senso stretto (G2, per l’appunto i nati in Italia da genitori stranieri, oggi maggioritarie solo alla scuola dell’infanzia e nel primo biennio delle primarie) nei confronti delle “generazioni 1,5”, composte da ragazzi nati all’estero e arrivati in Italia dopo aver iniziato la scuola al paese di origine.
Un cambiamento non solo quantitativo
Quali conseguenze prevedibili per la scuola italiana? Possiamo formulare tre congetture.
La prima è che il ritardo e l’insuccesso scolastico per i ragazzi stranieri saranno sempre meno tollerabili e tollerati, tanto a livello individuale quanto a livello collettivo. Oggi per un ragazzo straniero accumulare un certo ritardo nella scuola italiana è, purtroppo, abbastanza normale (si veda il grafico 1): già in seconda media la maggioranza degli studenti stranieri è in ritardo di almeno un anno, mentre alle superiori la quota di ritardatari oltrepassa il 70% (per gli studenti italiani le percentuali corrispondenti sono pari al 7% e al 22%). Se ne parla poco, troppo poco, forse perché si ritiene che questo ritardo sia fisiologico: un prezzo da pagare difficilmente evitabile da parte di chi ha cambiato sistema scolastico, lingua di riferimento, regole di comportamento, nonché insegnanti e compagni di scuola.
Per le seconde generazioni le cose si presentano in modo diverso. Non immigrate ma nate e socializzate in Italia, abituate sin da piccole a padroneggiare la lingua italiana, in genere desiderose di riscatto, non trovano sui loro percorsi scolastici ostacoli diversi da quelli derivanti da eventuali condizioni di svantaggio socio-economico. Avranno certamente bisogno di buoni insegnamenti di italiano, matematica, inglese. Non servirà loro una romantica “intercultura del couscous”, pur animata delle migliori intenzioni.
E qui veniamo alla seconda congettura, che riguarda i docenti. Protagonisti positivi dell’emergenza e della prima accoglienza, gli insegnanti saranno chiamati nei prossimi anni a cambiare registro, per evitare di proiettare sui giovani di seconda generazione i pregiudizi e gli stereotipi inevitabilmente consolidatisi alla presenza di tanti giovani immigrati. Si apre una sfida nella sfida: per molti insegnanti sarà necessario ricalibrare l’elasticità del metro di valutazione, così come ripensare la funzione di orientamento, oggi volta ad incanalare i giovani stranieri verso gli indirizzi professionalizzanti (rispetto a uno studente italiano, al termine delle medie uno straniero ha il doppio di probabilità di finire in un istituto professionale). Si tratterà di avviare un non facile processo di adattamento alle trasformazioni della popolazione scolastica di origine immigrata. Da questo punto di vista non conforta il giudizio espresso nel 2009 da circa 15.000 docenti neoassunti intervistati sull’adeguatezza della propria formazione iniziale rispetto ad alcune competenze della professione docente (vedi grafico 2): le maggiori carenze di formazione iniziale sono state denunciate proprio relativamente al “saper insegnare in classi diversificate e pluriculturali”. Quegli stessi insegnanti hanno invece giudicato del tutto adeguate le proprie competenze disciplinari.
La scuola e l’acquisizione della cittadinanza italiana
Terza congettura. Man mano che i giovani di seconda generazione cresceranno, diventeranno sempre più evidenti e potenzialmente pericolose le frizioni tra l’enfasi sulla cittadinanza (in senso pedagogico) – sempre più diffusa nelle scuole – e le difficoltà di rispondere alla crescente domanda di cittadinanza italiana (in senso giuridico).
La legge vigente (91 del 1992) prevede l’acquisizione automatica – dunque non discrezionale – della cittadinanza italiana per gli stranieri nati in Italia che a 18 anni ne facciano domanda. Il problema è che la domanda deve essere accompagnata dalla dimostrazione di una residenza legale ininterrotta sul territorio italiano, cosa che in molti casi risulta difficile, se non impossibile: si tratta infatti di una probatio diabolica per le centinaia di migliaia di famiglie immigrate che in passato hanno beneficiato di una delle tante operazioni di regolarizzazione. La conseguenza è che stiamo lasciando in sospeso numerosissimi adolescenti stranieri nati in Italia, senza offrire loro quella certezza dell’approdo alla cittadinanza italiana, così importante nell’età in cui si costruiscono le identità e i sensi di appartenenza.
Una soluzione ragionevole, che forse non richiede nemmeno una radicale modifica legislativa, consisterebbe nel poter esibire la certificazione scolastica (le pagelle) quale prova sufficiente a dimostrare quella partecipazione attiva e continuativa alla vita nel nostro paese posta dal legislatore come condizione necessaria per l’acquisto della cittadinanza. Per inciso, questa soluzione non comporta nessun costo aggiuntivo per il singolo e per la pubblica amministrazione, e si presta a facili verifiche presso le istituzioni scolastiche.
(*) Articolo presente anche su www.fga.it