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L’inevitabile strategia della sanatoria per regolarizzare gli immigrati

Nelle ultime settimane si è tornati a parlare di una nuova possibile regolarizzazione di massa dei migranti irregolari anche alla luce di una presenza crescente di immigrati irregolari sul territorio italiano. Asher Colombo, Roberto Impicciatore e Rocco Molinari ci mostrano come le sanatorie, che hanno lungamente caratterizzato le politiche migratorie italiane, abbiano segnato il percorso di molti stranieri arrivati in Italia.

Era da un po’ che non se ne parlava.

La regolarizzazione dei migranti irregolari è entrata nell’agenda dell’attuale governo con la sua inevitabile coda di polemiche. È una storia che si ripete. Come la stessa ministra Lamorgese ha ricordato, le sanatorie per gli immigrati, cioè quelle operazioni in cui si offre la possibilità di una regolarizzazione di massa per gli immigrati che non sono in possesso dei documenti necessari per soggiornare legalmente sul territorio italiano, sono state realizzate già varie volte nel nostro paese. La pratica delle sanatorie, sebbene presente anche in altri paesi europei, ha in un certo senso caratterizzato le politiche migratorie italiane sostituendosi a una gestione programmata delle migrazioni. Ora veniamo da una lunga fase, durata più di otto anni, in cui provvedimenti di questo tipo non sono stati più adottati. Le stime più credibili ci dicono che oggi, in Italia, si sarebbero ormai accumulate oltre mezzo milione di posizioni irregolari (stime Ismu).

Le sanatorie sono state molto più che provvedimenti straordinari di regolarizzazione di pochi, o molti, “clandestini”. Al contrario esse hanno segnato il percorso di molti stranieri arrivati in Italia. Dal 1980 ad oggi sono stati oltre 1 milione e 800 mila gli immigrati regolarizzati nel nostro paese, ma poco si sa sui percorsi di coloro che hanno usufruito delle sanatorie e sulla durata nello status di irregolarità prima di giungere a una regolarizzazione.

Quanto hanno contato le sanatorie nei percorsi di regolarizzazione?

L’ultima indagine svolta dall’Istat su un campione rappresentativo della popolazione immigrata in Italia, intitolata “Condizioni e Integrazione Sociale dei Cittadini Stranieri (CISCS)”, ha permesso di rilevare numerose informazioni tra le quali i canali e i tempi di ingresso e le modalità di acquisizione del permesso di soggiorno. Focalizzandoci solo sui cittadini stranieri (non naturalizzati) nati al di fuori dell’Unione Europea, arrivati in Italia tra il 1989 e il 2012 tra i 18 e i 60 anni d’età, e incrociando le informazioni a disposizione, è possibile individuare chi è stato sempre regolare e chi, invece, ha sperimentato un periodo più o meno lungo di irregolarità.

Da questi dati si desume che circa il 37% degli immigrati (TAB 1) non-UE regolarmente residenti in Italia ha ottenuto il primo permesso di soggiorno attraverso una sanatoria. Questa via di accesso al permesso di soggiorno risulta di gran lunga la più utilizzata, sia rispetto ai ricongiungimenti familiari (25%), sia ad altri canali di accesso a un permesso per lavoro. Il decreto flussi, in particolare, appare una modalità fortemente sottoutilizzata (4%).

In base a queste informazioni, è plausibile pensare che almeno uno straniero su tre oggi presenti in Italia abbia usufruito di una sanatoria.

L’irregolarità come tappa quasi obbligatoria

Le nostre elaborazioni mostrano che ben il 70% della quota di stranieri regolarmente presenti in Italia all’intervista ha sperimentato periodi, più o meno lunghi, di irregolarità prima di poter ottenere un permesso di soggiorno. Tuttavia, sperimentare un periodo di irregolarità dopo l’ingresso in Italia non è una condizione che pertiene esclusivamente agli immigrati che si sono regolarizzati con una sanatoria.

Se incrociamo le varie informazioni disponibili nella survey, vediamo che ha vissuto da irregolare il 34% di chi ha ottenuto un permesso per ricongiungimento familiare, il 54% di chi ha ottenuto un permesso di lavoro (senza sanatoria) e il 63% di chi ha ottenuto un altro tipo di permesso.

I tempi di accesso al primo permesso di soggiorno dopo l’ingresso in Italia, poi, sono in gran parte superiori ai 2 anni. Questo indica che la permanenza nell’illegalità può avere una durata tutt’altro che trascurabile (FIG 1). È anche significativo il fatto che oltre la metà dei regolarizzati ̶ che per definizione trascorrono tutti un primo periodo di irregolarità dopo l’ingresso ̶ abbia impiegato ben oltre due anni per accedere a un primo permesso di soggiorno.

Cosa servirebbe ancora sapere

È meno noto, più controverso e analiticamente più complesso esplorare i percorsi di vita degli immigrati regolarizzati, successivi alla sanatoria. È l’accesso al permesso di soggiorno per costoro una condizione definitiva, o implica continue ricadute nell’illegalità? Quali percorsi di integrazione seguono i sanati, rispetto a immigrati nelle stesse condizioni, ma che non hanno potuto usufruire di una sanatoria?

Studi realizzati sulle sanatorie avvenute tra la metà degli anni ’80 e la fine degli anni ’90 (Carfagna) hanno messo in luce che difficilmente fra i regolarizzati ad una certa sanatoria vi siano persone che già in precedenza abbiano usufruito dello stesso canale di regolarizzazione. Questo suggerisce che, almeno per il passato, i sanati tendono a conservare lo status di “regolare”, come un approdo definitivo. Poco si sa, tuttavia, sugli esiti dei percorsi di regolarizzazione successivi alla sanatoria del 2002 (legge Bossi-Fini) e ai successivi.

Altrettanto poco noti sono i percorsi di integrazione degli immigrati sanati in Italia. Tuttavia, delle nostre analisi esplorative suggeriscono che aver trascorso periodi (anche brevi) di irregolarità prima dell’accesso al permesso di soggiorno possa avere effetti penalizzanti nel lungo periodo. Ad esempio, incrementando il rischio di intrappolamento in certi segmenti del mercato del lavoro, caratterizzati da bassa qualità, salari inferiori e maggior rischio di sottoutilizzo delle proprie competenze.

L’inevitabile soluzione della sanatoria

Se è possibile individuare una caratteristica strutturale della gestione italiana dell’immigrazione, questa va riconosciuta nel ricorso sistematico alla sanatoria (chiamata di volta in volta “regolarizzazione”, “emersione”, “pacchetto anticrisi”, “ravvedimento operoso”, allo scopo di nascondere maldestramente la totale omogeneità di tali provvedimenti e farli apparire come inediti) come equivalente funzionale di una esplicita politica attiva degli ingressi. Nonostante l’evidenza del ruolo rilevante della domanda di lavoro (si veda, Colombo-Dalla Zuanna 2019) e delle dinamiche demografiche sull’andamento delle migrazioni in Italia, la continuità delle politiche migratorie italiane ha coinciso con un sistematico rifiuto di approntare canali di ingresso legali. Insomma, tutta la ormai cinquantennale politica migratoria italiana è stata, e continua a essere, centrata su programmi di regolarizzazione, e sulla costante e pervicace astensione da tentativi di intervenire sulle condizioni necessarie al riprodursi, a scadenza regolare, della necessità di tali provvedimenti. Le regolarizzazioni prosciugano l’irregolarità, ma in assenza di un indirizzo strategico e politico chiaro ed esplicito – di qualunque segno – la presenza irregolare non può che crescere. E la sanatoria diventa inevitabile, come sembra accadere oggi di fronte alla presenza di circa mezzo milione stimato di irregolari.

Riferimenti bibliografici

Carfagna M. 2002 “I sommersi e i sanati. Le regolarizzazioni degli immigrati in Italia”, in A. Colombo e G. Sciortino (eds), Stranieri in Italia. Assimilati ed esclusi, Bologna: Il Mulino, pp. 53-87.

Colombo A. e Dalla-Zuanna G. 2019 “Immigration Italian Style, 1977–2018”, in Population and Development Review, 45(3): 585-615.

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