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Il punto sulle migrazioni interne

In questo primo quarto di secolo le migrazioni interne in Italia sono aumentate di intensità e hanno registrato cambiamenti importanti. Corrado Bonifazi analizza le principali tendenze di un fenomeno che nelle realtà locali spesso rappresenta il più importante fattore di cambiamento delle dimensioni e della struttura della popolazione.

La crescita del fenomeno

L’aumento delle migrazioni tra i comuni italiani registrato tra gli anni novanta ed oggi appare con chiarezza considerando i dati dell’Istat sulle iscrizioni e cancellazioni anagrafiche (Fig. 1). Fin quasi la fine dell’ultimo decennio del secolo scorso il volume dei trasferimenti si è infatti attestato al di sotto degli 1,2 milioni, ma dal 2004 ha superato gli 1,3 milioni. Nel 2012 l’introduzione di criteri più rapidi per la registrazione dei trasferimenti ha determinando un incremento significativo dei valori, arrivati oltre il milione e mezzo di unità. Dopo il calo del triennio successivo, il numero di movimenti è tornato a crescere arrivando negli ultimi anni, con la sola eccezione del 2020, sopra gli 1,4 milioni. Nel complesso, l’aumento tra l’inizio e la fine del periodo considerato è stato quindi di circa il 30%, con una crescita dei tassi di mobilità interna dal 20,1‰ del 1990 al 24,9‰ del 2022. 

Considerando il tipo di spostamento si ha la possibilità di individuare i diversi andamenti delle varie forme di migrazioni interne. In queste sede, oltre ai flussi intraregionali si è fatto riferimento a due categorie di spostamento interregionale, quelli che avvengono tra regioni del Sud e del Centro-Nord (Sud-Cn-Sud) e quelli che invece avvengono all’interno delle due grandi ripartizioni del paese (Altri interregionali). L’aumento registrato in questi anni ha riguardato soprattutto le migrazioni intraregionali, il cui volume è passato dai 700-800 mila trasferimenti dei primi anni novanta a valori quasi stabilmente superiori al milione, e gli “Altri interregionali”, arrivati nello stesso periodo a cifre tra le 170-180 mila unità dalle 120-130 mila iniziali. Sostanzialmente stabile, invece, è rimasto l’insieme dell’interscambio tra Mezzogiorno e Centro-Nord: complessivamente i flussi nelle due direzioni continuano infatti a interessare 170-190 mila spostamenti di residenza come avveniva nei primi anni novanta. Il risultato è una perdita di peso dei flussi su quella che dal secondo dopoguerra è la direttrice principale delle migrazioni interregionali italiane, scesi dal 16,5% del totale del 1990 al 12,9% del 2022. In aumento, invece, la quota degli spostamenti intraregionali, cresciuti negli stessi anni dal 71,7% al 74,9%, e degli altri spostamenti interregionali, passati dall’11,8 al 12,1% del totale.

Le migrazioni tra Mezzogiorno e Centro-Nord

Nel complesso si è quindi registrata una crescita della mobilità interna, che ha soprattutto riguardato gli spostamenti di più breve distanza, mentre quelli tra Mezzogiorno e Centro-Nord sono rimasti stabili. In effetti, se consideriamo i flussi tra queste due grandi ripartizioni (Fig. 2), si può notare come l’emigrazione interna meridionale dopo essere cresciuta tra 1994 e 2000 sino quasi a toccare le 150 mila unità, un livello che non si toccava dal 1975, sia diminuita di intensità negli anni seguenti. Il calo è diventato più netto con le crisi economiche del 2008 e del 2011, anche se l’aumento per ragioni amministrative del 2012 altera l’andamento della serie. È però evidente che la difficile congiuntura economica delle regioni centro-settentrionali ne ha in quel momento ridotto la capacità attrattiva verso i flussi provenienti dal Mezzogiorno. La ripresa della seconda metà dello scorso decennio, interrottasi con la pandemia, ha portato a un picco nel 2019 che rappresenta con le sue 134 mila unità uno dei valori più elevati registrati nel periodo considerato. 

Più stabile nel tempo appare l’andamento dei flussi dal Centro-Nord al Sud, con valori che oscillano tra un minimo di 55 mila unità e un massimo di 70 mila. Il risultato di questi due andamenti è una bilancia migratoria sempre negativa, con perdite che nel nuovo secolo si mantengono tra le quasi 83 mila unità del 2000 e le 41 mila del 2014. Ciò significa che in questi 23 anni le regioni meridionali hanno perso nell’interscambio migratorio interno 1,27 milioni di persone, che vanno ad aggiungersi al deficit determinato dal movimento naturale, aggravando così un declino demografico che appare sempre più difficile contrastare.

Il ruolo degli stranieri 

Il fattore che ha determinato l’aumento dei livelli di mobilità interna è rappresentato dalla popolazione straniera, la cui straordinaria crescita degli ultimi vent’anni ha causato anche l’incremento dei trasferimenti di residenza intercomunali. Basti pensare che se nel 1990 gli stranieri che si erano spostati in un altro comune sono stati 19 mila, nel 2000 erano diventati 88 mila e dal 2006 hanno superato le 200 mila unità, raggiungendo il massimo nel 2019 con 284 mila spostamenti. Cifre che sono il frutto di una propensione alla mobilità interna ben più elevata di quella degli italiani (Fig. 3). Se per questi ultimi il tasso di mobilità interna appare infatti oscillare attorno al 20‰, per i primi i valori sembrano essersi stabilizzati negli anni più recenti vicino al 50‰. 

Di fatto, l’intensità della mobilità appare attestarsi tra gli stranieri su valori più che doppi di quelli registrati tra gli italiani. Il risultato è una quota di mobilità attribuibile agli stranieri che dal 2008 al 2022 ha rappresentato una percentuale compresa tra il 15,3 e il 19,1% di tutti gli spostamenti, un valore ben più alto del peso di questa componente sulla popolazione totale. Non c’è dubbio che per le migrazioni interne italiane gli stranieri hanno rappresentato in questi anni un elemento di flessibilità in una realtà che, se si escludono i flussi dal Mezzogiorno, appare poco dinamica. Del resto la popolazione straniera ha in molti casi meno margini di scelta, maggiore disponibilità ad accettare le condizioni proposte, minori legami sul territorio e si trova spesso ad essere più vicina ai luoghi dove si presentano le opportunità lavorative.  

In definitiva

Il ruolo subordinato del Mezzogiorno caratterizza ancora le migrazioni interne italiane per effetto del persistente differenziale economico che continua a determinare saldi negativi con il resto del Paese, contribuendo a quel declino demografico che rischia di affossare definitivamente la possibilità di un riequilibrio complessivo del paese1. La crescita della mobilità interna degli stranieri, dal 2005 maggiore dei flussi tra Sud e Centro-Nord, è diventata da anni una caratteristica importante del fenomeno. Le migrazioni interripartizionali dal Mezzogiorno hanno cessato di rappresentare il motore principale della mobilità interna per lavoro, superate in termini numerici dai movimenti degli stranieri che hanno anche determinato una crescita della mobilità di breve raggio. Nel complesso, la popolazione straniera appare più competitiva dell’emigrazione meridionale, anche se i differenziali di reddito tra le due aree del paese, i bassi livelli di attività nel Sud e gli alti tassi di disoccupazione continuano ad alimentare i flussi. Nel lungo termine, però, la demografia tenderà a ridurre sempre più il bacino potenziale delle migrazioni interne in partenza dal Mezzogiorno. Si apre quindi la possibilità, non certo esaltante, di arrivare finalmente a un riequilibrio delle bilance migratorie interne delle regioni del Sud, non già per il raggiungimento degli stessi standard economici e sociali del resto del paese quanto, piuttosto, per carenza di meridionali!

Note

1M. Livi Bacci, “Mezzogiorno esangue”, Neodemos, 19 Gennaio 2024,

Riferimenti

C. Bonifazi, Heins, F., Licari, F., Tucci, E. (2020), “The regional dynamics of internal migration intensities in Italy”, in Population, Space and Place.

C. Bonifazi, F. Heins, Internal migration patterns in Italy: continuity and change before and during the great recession, in Rivista Italiana di Economia Demografia e Statistica, Volume LXXI – N. 2 Aprile-Giugno 2017.

C. Bonifazi, Heins, F., Tucci, E. (2017), “Italy: internal migration in a low-mobility country”, In Internal Migration in the Developed World, Champion, T., Cooke, T., & Shuttleworth, I. (eds), Routledge.

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