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La migrazione irregolare in Europa

Quanti sono i migranti irregolari in Europa, dove vivono e da dove provengono? Ne dà conto un’indagine del Pew Center, commentata, con qualche considerazione in più, da Massimo Livi Bacci, con qualche prospettiva per il 2020.

 Quanti sono i migranti irregolari in Europa? Impossibile rispondere con precisione, e difficile è anche farlo con accettabile approssimazione. Le difficoltà cominciano con la definizione di irregolarità – ce ne sono svariate, per la verità – che   la IOM (International Organization for Migration) definisce “come quei movimenti [di persone] che avvengono fuori delle normative dei paesi di origine, transito o destinazione”. Definizione alquanto ambigua, per la verità, che include in questa categoria quelle persone che entrano in un paese senza documenti, o con documenti non validi o falsi e comunque senza passare attraverso un punto di frontiera. Tra gli irregolari rientra chi dimora in un paese senza essere autorizzato, o che pur arrivato regolarmente si è trattenuto oltre i limiti concessi dal visto. In questa categoria viene incluso anche chi ha perduto il diritto di risiedere regolarmente perché, per esempio, ha perduto il lavoro cui era legato il permesso di residenza. Infine viene definito irregolare anche chi pur essendo arrivato e risiedendo regolarmente è vittima di un cambio della normativa del paese che lo ospita. E’ da sperare che questo non accada per i tanti europei che vivono e lavorano nel Regno Unito, ora che la Brexit è fatto compiuto.

Stranieri, migranti, irregolari

Il discorso sull’irregolarità è reso ancor più difficile dal fatto che è sfuggente anche la definizione di migrante. In genere si fa riferimento al numero degli stranieri, definendo come “straniero” chiunque sia nato all’estero: potrebbe dunque risultare straniero un cittadino Croato nato nella confinante Slovenia (che al momento della nascita era parte della Iugoslavia come la Croazia). Potrebbe risultare straniero anche un adulto, arrivato nel paese nell’infanzia e che ne ha preso la cittadinanza e la cultura, dimenticando le sue origini. Con tutti questi limiti, nell’Europa comunitaria (EU-28, prima della Brexit), c’erano, nel 2018, circa 38 milioni di persone nate fuori dell’EU-28, ma viventi in uno stato europeo; altri 22 milioni erano nati in un paese della EU-28 diverso da quello di residenza. Se invece del luogo di nascita si considera la nazionalità di appartenenza (quale risulta da un passaporto o altro documento), alla stessa data c’erano oltre 22 milioni di persone con nazionalità di un paese fuori dell’EU-28, e quasi 18 milioni con passaporto di uno stato EU-28 diverso da quello di residenza (cioè un migrante comunitario, o un migrante “interno” della comunità)¹.

Le due definizioni, per quanto riguarda i migranti extra UE, danno valori assai diversi: 38 e 22 milioni rispettivamente: la differenza è data (oltre che dai diversi criteri di raccolta dei dati) da coloro che, pur nati fuori d’Europa, hanno nel tempo preso la cittadinanza di un paese europeo. Considerando il criterio più ristretto, quanti sono gli irregolari tra questi 22 milioni, o in aggiunta a questi 22 milioni (gran parte degli irregolari sfuggono, ovviamente, alle rilevazioni)?

Una seria indagine condotta più di dieci anni fa, sulla base di una pluralità di fonti informative, stimava che il numero degli irregolari si collocasse, nel 2007, tra 1,9 e 3,8 milioni (l’ampiezza della forchetta dà un’idea dell’ incertezza informativa), cioè tra 4 e 8 decimi di punto percentuale del mezzo miliardo di europei e una percentuale relativamente modesta dell’intero stock migratorio. Eppure 2, 3 o 4 milioni di irregolari sono tanti; quasi ovunque sono una minoranza vulnerabile; hanno risorse magre e precarie; spesso sono sprovvisti di sostegni familiari; sono esclusi e emarginati dalla normale vita sociale. E quanti sono adesso? Dal 2007, ne è passato di tempo. C’è stata la grande crisi economica, le primavere arabe, la guerra civile in Siria, l’instabilità dell’Afghanistan e di vasta zone dell’Africa sub-sahariana. Nel frattempo l’Europa ha messo in campo politiche migratorie sempre più restrittive, le frontiere sono diventate meno permeabili, le opinioni pubbliche più inquiete nei confronti dei flussi migratori.

Gli irregolari hanno smesso di crescere?

Una recente ricerca dell’autorevole Pew Research Center² confermata da altri indizi, sembra indicare che il numero degli irregolari, in Europa, abbia smesso di crescere. L’indagine, che usa una pluralità di fonti nazionali, riguarda i quattro anni dal 2014 al 2017, e stima il numero degli irregolari (“unauthorized”) nei paesi della UE-28 e in 4 paesi dell’EFTA ( Islanda, Norvegia, Svizzera e Liechtenstein). Essenzialmente la stima riguarda coloro che sono entrati nel paese illegalmente, o che sono entrati legalmente ma non sono ripartiti allo scadere del visto (overstayers), coloro che pur vivendo regolarmente nel paese, hanno perso il diritto di risiedervi (perdita del lavoro, reati commessi). Nella categoria degli irregolari sono inclusi anche i richiedenti asilo, in attesa di un eventuale riconoscimento dello status di rifugiato o di una protezione internazionale, l’unica componente per la quale si ha contezza esatta del numero³. La ricerca utilizza dati di natura amministrativa, non finalizzati alla ricerca, con tutte le limitazioni che questi presentano, incluse la difformità dei criteri di rilevazione nei vari paesi. Per ogni paese, viene presentata una stima di minimo ed una di massimo.

Il numero degli irregolari, stimato in 3,0/3,7 milioni nel 2014, è salito rapidamente a 3,3/4,9 nel 2015 e a 4,1/5,3 nel 2016, per poi scendere a 3,9/4,8 milioni nel 2017. L’ascesa del 2015 e del 2016 è ovviamente dovuta all’ondata di profughi siriani, in parte poi regolarizzati dalla Germania. Anche assumendo il valore massimo della stima, si tratterebbe di meno dell’1% della popolazione di riferimento. Escludendo il milione circa di richiedenti asilo dal novero degli irregolari, questi risulterebbero appena lo 0,7% della popolazione dei 31 paesi considerati. Queste percentuali sono piccole se si tiene conto che lo stesso Pew Center stima che gli irregolari negli Stati Uniti superino il 3% (10/11 milioni). Oltre due terzi degli irregolari, a fine 2017, vivevano in Germania (0,8/1,2 milioni), Gran Bretagna (0,8/1,0), Italia (0,5/0,7) e Francia (0,3/0,4), paesi che peraltro contengono poco più della metà della popolazione considerata (Figura 1). Sempre dalla stessa indagine risulta una prevalenza di maschi (54%) sulle femmine; una durata della dimora in Europa relativamente breve –meno di 5 anni – per il 56%; una provenienza dall’Asia per il 30%, dagli altri paesi europei per il 23%, dal Nord Africa e Medio Oriente per il 21%, dall’Africa Sub-sahariana per il 17% e dall’America per l’8% (Figura 2).

Tendenze recenti

Diversi indicatori mostrano che l’irregolarità potrebbe essersi attenuata anche dopo il 2017. Un primo elemento è costituito dalla diminuzione dal numero di migranti irregolari intercettati alle frontiere della UE-28 (Tabella 1), un indicatore, seppure rozzo, della pressione migratoria esterna. Le intercettazioni (si tenga conto che una quota non trascurabile corrisponde a migranti che hanno tentato l’entrata più di una volta) furono poco più di 100.000 all’anno nel quadriennio 2009-2012, erano più che raddoppiate nel 2013 e 2014, esplose poi a 1,8 milioni nel 2015, l’anno del grande esodo dalla Siria, e a 0,5 milioni nel 2016, scendendo poi fino a 142.000 nel 2019. E’ da attendersi che la cifra del 2020 sia ancora minore, in conseguenza della frenata alla mobilità imposta dalla pandemia del coronavirus. Anche il numero di richieste di asilo, che nel triennio 2017-19 si sono aggirate attorno alle 600.000 all’anno, sono in forte declino rispetto al picco più che doppio del 2015-16. Un’altra interessante serie di numeri circa gli interventi atti per assicurare il rispetto della legislazione europea sull’immigrazione: si tratta dell’individuazione degli irregolari sui territori nazionali dei 28 paesi; dei migranti cui è stato ordinato il rientro nel paese di origine; delle espulsioni; dei dinieghi di ingresso. Si tratta di un insieme eterogeneo di interventi tra loro interconnessi, fortemente dipendenti dal grado di controllo esercitato dai vari paesi, instabili in conseguenza dei mutamenti delle legislazioni nazionali. L’andamento di questi indicatori rivela nel tempo – ed escludendo i picchi consueti degli anni 2015 e 2016 – una certa stabilità, compatibile con una stabilità, o un declino[4], dell’irregolarità.

Canali legali e migranti irregolari

Cosa possa avvenire nel prosieguo dell’anno è assai difficile dire. Molto dipenderà dalla ripartenza delle attività economiche, dal perdurare delle chiusure,

o dalla riapertura, dei movimenti internazionali di merci e persone. E’ possibile ritenere che la politica, e l’opinione pubblica che la motiva, si orienti verso un controllo ancora più stretto dei flussi, anche per ragioni di sanità pubblica. Ed è anche possibile che un’ulteriore chiusura ai flussi legali determini nuovi stimoli alla immigrazione irregolare. Ma ci sono anche spinte che vanno verso direzioni opposte: in Italia mancano braccia nelle campagne e forse sarebbe il caso di pensare ad una sanatoria delle posizioni di tanti lavoratori stranieri irregolari. E l’Italia non è l’unico caso in Europa.

¹Eurostat, Migration and migrant population statistics.

² Pew Research Center, Europe’s Unauthorized immigrant population peaks in 2016, than levels off, Novembre 2019

³ In realtà, solo il 60% dei richiedenti asilo possono considerarsi “irregolari”, perché tale è la quota, in Europa, cui non viene riconosciuto lo status di rifugiato.

[4] Il numero rimane relativamente costante nonostante che tutti i paesi, nel periodo, abbiano rafforzato i controlli

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