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Migrazioni e popolazioni immigrate in Italia

Il dibattito sugli arrivi e sulla presenza di stranieri in Italia si accende e si spegne spesso, quasi all’improvviso, raramente con cognizione di causa. Manuela Stranges, Cinzia Conti, Livia Elisa Ortensi, Salvatore Strozza, e Francesca Tosi fanno un utile punto della situazione e ci ricordano che quello di cui si tratta è un fenomeno di lungo periodo, che richiederebbe un profondo cambiamento di politiche e, prima ancora, di visione. 

Tra il 2002 e il 2023, l’Italia ha vissuto importanti flussi migratori internazionali, con oltre 7,8 milioni di arrivi e 2,37 milioni di partenze (Fig. 1). Il saldo netto positivo di 5,5 milioni è stato dovuto quasi interamente ai cittadini stranieri (+6,2 milioni), mentre gli italiani hanno registrato una emigrazione netta di circa 700.000 persone. Il periodo di massimo afflusso è stato il 2007–2011, trainato dalle regolarizzazioni e dall’allargamento dell’UE. I flussi sono proseguiti anche durante la crisi mediterranea, ma hanno subito un rallentamento con il COVID-19. Se nelle prime fasi prevalevano gli immigrati dall’Europa orientale, oggi i nuovi arrivi provengono sempre più dall’Asia meridionale. Parallelamente, è aumentata l’emigrazione degli italiani, soprattutto dopo il 2012.

L’immigrazione ha inciso profondamente sulle dinamiche demografiche italiane. Tra il 2002 e il 2023, la popolazione complessiva è cresciuta di 2 milioni di unità — interamente grazie ai residenti stranieri, aumentati di quasi 4 milioni. Nello stesso periodo, la popolazione italiana è diminuita di 2 milioni, nonostante 2,1 milioni di naturalizzazioni. Gli stranieri hanno contribuito sia attraverso la migrazione netta (+55‰) sia con un saldo naturale positivo (+14‰). Il saldo migratorio positivo degli stranieri controbilancia abbondantemente l’emigrazione netta degli italiani e consente di contenere l’impatto sulla dinamica demografica di un saldo naturale dei nazionali ampiamente e sempre più negativo.

Il contributo degli stranieri alla demografia italiana

Si tratta di un’immigrazione (netta) che si concentra nelle età lavorative più giovani (nel periodo 2007-2011 l’afflusso netto di stranieri maggiorenni under 40 è stato di quasi 250 mila unità in media all’anno, pari al 60% del totale) e che comprende anche un numero significativo di minorenni (tra i 30 mila e i 60 mila in media all’anno, corrispondenti a una quota compresa tra il 15 e il 20% del totale), conseguenza principalmente dei ricongiungimenti familiari (Fig. 2).

Gli stranieri, dunque, migliorano la struttura per età del Paese: la loro età media è di 35,9 anni, contro i 47,1 degli italiani. Tra il 2002 e il 2024, la popolazione attiva si è ridotta di 752.000 unità, per una perdita di 3,6 milioni di italiani parzialmente compensata da un’aggiunta di 2,85 milioni di stranieri. Senza l’immigrazione, tra il 2002 e il 2024, la quota di over-65 sarebbe salita dal 19,1% al 26,2%; invece si è fermata al 24,3%. Anche il calo della popolazione in età lavorativa è stato più lento grazie agli stranieri (Fig. 3). 

Occorre, infine, considerare anche il contributo fornito dalle donne immigrate alla natalità. Tra il 2002 e il 2023, le nascite con almeno un genitore straniero sono passate da 48.000 a 81.000, con un picco di oltre 108.000 nel 2012. Nel 2023, il 21,3% delle nascite ha coinvolto almeno un genitore straniero. Pur se in calo (da 2,83 del 2002 a 1,79 del 2023), la fecondità delle donne straniere, misurata attraverso il TFT (tasso di fecondità totale), resta superiore a quella delle italiane (TFT=1,14). Parallelamente, è aumentata l’età media al parto delle madri straniere, riducendo il divario con le italiane.

Il contributo economico degli stranieri

Sul piano economico, gli immigrati ricoprono ruoli fondamentali nei settori a media e bassa qualifica, compensando la carenza di manodopera legata al calo delle nascite e all’aumento dei livelli di istruzione tra i giovani. Tra il 2016 e il 2020, i permessi di lavoro sono scesi sotto le 15.000 unità annue, favorendo il lavoro irregolare e portando alla regolarizzazione del 2020. Successivamente, però, è tornato il riconoscimento politico della migrazione economica, con 452.000 ingressi programmati entro il 2025. Gli stranieri rappresentano il 10% della forza lavoro e contribuiscono per il 9% al PIL (164 miliardi di euro), con incidenze maggiori in agricoltura, edilizia e ristorazione. Cresce anche l’imprenditoria straniera, con oltre 775.000 imprenditori immigrati. Il contributo fiscale è rilevante: nel 2023, 4,4 milioni di immigrati hanno presentato la dichiarazione dei redditi, di cui l’87,2% occupati. Hanno versato oltre 10,1 miliardi di euro di IRPEF, generando un saldo fiscale netto positivo di 1,2 miliardi.

Nonostante ciò, persistono disuguaglianze nel mercato del lavoro. Gli immigrati — in particolare extra-UE e donne — sono più esposti al rischio di povertà e percepiscono salari inferiori, anche a parità di istruzione. Le difficoltà includono il mancato riconoscimento dei titoli di studio esteri e un mercato del lavoro fortemente segmentato. 

Conclusioni

Sebbene gli immigrati contribuiscano ad attenuare le sfide demografiche ed economiche del nostro paese, servono maggiori interventi per favorire integrazione, cittadinanza e mobilità sociale. Urgono politiche di integrazione più solide e inclusive che permettano di cogliere appieno i benefici delle migrazioni.

Per saperne di più

Stranges, M., Conti, C., Ortensi, L.E., Strozza, S., Tosi, F. (2025). Migrazioni e popolazioni immigrate. In Vignoli, D., Paterno, A. (a cura di). Rapporto sulla popolazione. Verso una demografia positiva. Bologna: Il Mulino, pp. 107-138.

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