La popolazione di origine straniera in Italia è in evoluzione, come documentano i dati Istat, commentati per noi da Enrico Di Pasquale e Chiara Tronchin. Si osserva una tendenza alla a stabilizzazione, accompagnata spesso da acquisizione della cittadinanza, e quindi all’invecchiamento. Gli ingressi proseguono, ma non tanto per lavoro quanto per ricongiungimenti familiari e asilo.
Il bilancio demografico, appena pubblicato dall’ISTAT con i dati relativi al 2023, fotografa i movimenti demografici In Italia degli ultimi anni. L’analisi degli ultimi cinque anni, in particolare, consente di fare un confronto con il periodo pre-Covid e trarre alcuni interessanti elementi legati alla presenza degli immigrati.
Acquisizioni di cittadinanza
Uno degli elementi più significativi nel bilancio demografico della popolazione straniera degli ultimi anni è rappresentato dalle acquisizioni di cittadinanza: nel 2023, sono 214 mila gli stranieri “naturalizzati” italiani, lo stesso valore del 2022. Sommando le acquisizioni di cittadinanza degli ultimi anni, si contano 800 mila naturalizzazioni negli ultimi cinque anni e 1,5 milioni negli ultimi dieci (Fig. 1).
Va ricordato che la normativa italiana sulla cittadinanza (L. 91/1992) prevede la possibilità di richiedere la naturalizzazione dopo dieci anni di residenza, oppure al compimento della maggiore età per i nati in Italia da genitori stranieri. La crescita dei numeri degli ultimi anni indica che il primo caso (residenza) sia molto più frequente rispetto al secondo (ius soli), anche perché la naturalizzazione dei genitori porta con sé quella dei figli. Questo fenomeno rappresenta dunque un forte segnale di integrazione, dato che si tratta di famiglie che scelgono l’Italia come luogo di residenza a lungo termine.
Tuttavia, a livello statistico, questo comporta la “fuoriuscita” di parte della popolazione dal bilancio demografico degli stranieri. Pertanto, quando si analizzano le dinamiche della popolazione, va tenuto conto che parte della popolazione immigrata non è più considerata come straniera.
La popolazione straniera in Italia
Alla fine del 2023 la popolazione straniera residente in Italia ammonta a 5,25 milioni, in aumento rispetto all’anno precedente (+2,2%) e rispetto al 2019 (+4,2%).
Considerando che, come appena ricordato, 214 mila stranieri sono “usciti” dalle statistiche, tale aumento è ancora più significativo. Pur ipotizzando che parte dei naturalizzati degli ultimi dieci anni abbia lasciato l’Italia (figurando quindi tra gli “emigrati italiani”), è molto probabile che la maggior parte di essi sia ancora residente in Italia. Se quindi volessimo considerare tutti gli “immigrati” in Italia, dovremmo aggiungere almeno un milione di residenti ai 5,25 milioni di “stranieri”.
Le dinamiche della popolazione
I movimenti demografici che determinano la variazione della popolazione residente sono nascite e decessi (saldo naturale) e immigrazione ed emigrazione (saldo migratorio).
Negli ultimi anni la componente straniera ha dato un contributo determinante per arginare il calo demografico italiano: la componente autoctona, infatti, negli ultimi cinque anni presenta valori negativi sia nel saldo naturale (più morti che nati) che nel saldo migratorio (più partenze che arrivi).
Al contrario, gli immigrati presentano valori positivi in entrambi i casi.
Tuttavia, anche il contributo demografico della popolazione straniera è in calo. Diminuiscono i nati stranieri (sia in termini assoluti che rispetto alla popolazione), principalmente per due ragioni. Da un lato per un adattamento degli stili di vita al paese di residenza, per cui le famiglie immigrate fanno più figli rispetto a quelle italiane ma meno di quanti ne farebbero in patria. Ma c’è un altro fattore che incide sulla natalità ed è, ancora una volta, rappresentato dalle naturalizzazioni, che “riducono” (da un punto di vista statistico) la platea dei genitori “stranieri” e, di conseguenza, il numero dei nati stranieri.
Inoltre, gli stranieri in Italia stanno progressivamente invecchiando, anche se la loro età media è ancora molto più bassa di quella degli italiani, e ciò fa aumentare – sia pur lentamente – il loro tasso di mortalità.
Permessi di soggiorno
Un altro elemento utile a comprendere i mutamenti dell’immigrazione è dato dai nuovi ingressi. In questo caso vengono considerati i permessi di soggiorno, ovvero i cittadini non comunitari entrati per la prima volta in Italia.
Nel 2023, la prima voce si conferma quella dei ricongiungimenti familiari (39,0%), seguita da protezione internazionale e asilo (32,1%). I permessi per lavoro, invece, sono meno di 40 mila (11,8% del totale), nonostante quote molto più alte previste dal Decreto Flussi.
Considerando il dato aggregato degli ultimi dieci anni (2014-2023), i permessi di soggiorno per lavoro sono meno del 12% del totale, mentre le voci più consistenti sono famiglia (43,1%) e asilo (29,3%).
Dal 2015 gli ingressi per lavoro sono scesi sotto il 10% del totale (Tab. 2). Nel 2021 sono cresciuti al 21,1%, ma più per effetto della procedura di emersione (DL 34/2020) che del Decreto Flussi, pur rivitalizzato. Tra il 2018 e il 2021 più della metà dei nuovi ingressi è stato per ricongiungimento familiare. Dal 2022 sono tornati a crescere invece i “motivi umanitari” in senso ampio, trainati dai permessi per protezione temporanea per i profughi provenienti dall’Ucraina.
Vi sono poi altri movimenti che non rientrano nei dati sui permessi di soggiorno, a cominciare dai flussi di cittadini comunitari. Ad esempio, la Romania è il primo paese di origine degli immigrati in Italia, con oltre un milione di presenze (20,4%). Sebbene la maggior parte di essi sia arrivata in Italia dopo l’ingresso della Romania nell’Ue (2007), è verosimile che i movimenti in entrata e in uscita siano proseguiti anche negli ultimi anni.
Inoltre, nell’aumento della popolazione straniera incidono fortemente i nuovi nati, che naturalmente fanno parte di famiglie straniere già residenti. Ciò significa che gli ingressi programmati (per lavoro) incidono in una misura molto piccola sulla variazione annuale della popolazione straniera.
Tali variazioni, invece, dipendono di più da movimenti spontanei o, ancor di più, da dinamiche legate alle migrazioni per lavoro di quindici o venti anni fa (ricongiungimenti familiari, acquisizioni di cittadinanza e nuovi nati). A questo punto, anche le politiche migratorie dovrebbero concentrarsi non solo sui nuovi ingressi per lavoro, pur fondamentali, ma anche sul governo delle altre dinamiche, numericamente più rilevanti.