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L’immigrazione peggiora la salute dei cittadini europei?

Negli ultimi decenni sono aumentati i timori che l’immigrazione possa danneggiare le condizioni di vita dei cittadini europei in diversi aspetti. In un recente studio, Bazzoli, Madia, Nicodemo e Podestà mostrano che l’immigrazione riduce le limitazioni legate a problemi di salute della popolazione autoctona e migliora la salute auto-percepita dai nativi dei paesi europei con basso capitale umano.

Alcuni dati di contesto

Analizzando i dati forniti dalla European Union Statistics on Income and Living Conditions (EU-SILC) e dalla European Union Labour Force Survey (EU-LFS) per 16 paesi europei nel periodo 2006-2018, si può osservare come la percentuale di migranti è stata in constante aumento (Fig.1). I paesi con la percentuale maggiore di migranti (sopra il 9%) sono Belgio e Francia (10%), Svezia (11%) e Svizzera (14%).

Per quanto riguarda la situazione relativa alla salute osserviamo due trend, da un lato la percentuale di persone che ritengono di essere in cattiva salute sembra essere in lieve decrescita, da quasi un 10% nel 2006 all’8% nel 2018, dall’altro la percentuale di persone che ritengono di avere delle limitazioni nelle attività quotidiane è invece in crescita da circa un 24% a un 28% (Fig.2)

Perché l’immigrazione può condizionare la salute dei nativi europei

Diversi sono i canali attraverso i quali l’immigrazione può influenzare la salute della popolazione autoctona. Uno di questi canali riguarda la cura delle persone anziane. Queste ultime possono infatti migliorare le loro condizioni di salute fisica e mentale proprio perché una maggiore presenza di persone straniere contribuisce a aumentare l’offerta e a ridurre i costi dei servizi personali e domestici necessari per la loro cura (Escarce e Rocco, 2021). Il mercato del lavoro è certamente un altro canale attraverso il quale l’immigrazione può condizionare la salute dei nativi. Ad esempio, I lavoratori autoctoni con una medio-bassa qualifica tendono a riallocarsi verso occupazioni con un minore carico fisico e quindi con minori rischi d’infortunio in risposta all’assorbimento di nuovi immigrati in comparti occupazionali a bassa qualifica (Giuntella et al., 2018). 

Non cambia la salute auto percepita ma diminuiscono le limitazioni quotidiane per chi ha problemi di salute

Lo studio sopracitato mostra che crescenti livelli di immigrazione non alterano la salute auto-percepita dei nativi europei. Sebbene si registri un effetto positivo, questo non risulta statisticamente significativo. Questo avviene esaminando sia l’intera popolazione dei nativi sia suddividendola per genere ed età. Crescenti livelli di immigrazione comportano, d’altro canto, un miglioramento delle condizioni dei nativi europei che sperimentano limitazioni nelle attività quotidiane a causa di problemi di salute. Tali benefici si registrano sia per i nativi in età lavorativa sia per i nativi in età avanzata anche se questi ultimi sembrano trarre maggiori vantaggi. Una maggiore riduzione delle limitazioni nelle attività quotidiane si evidenzia poi fra le donne. 

Il ruolo del capitale umano

L’impatto dell’immigrazione sulla salute auto-percepita risulta mediato dal livello di capitale umano di ciascun paese. Ciò si evidenzia suddividendo i 16 paesi presi in esame in ragione del loro livello di capitale umano in due cluster, quello dei paesi a basso livello e quello dei paesi a alto livello. Nel primo gruppo si ritrovano i paesi mediterranei, il Belgio e l’Islanda, mentre nel secondo sono ricompresi l’Austria, i Paesi Bassi, la Germania, la Svizzera, il Regno Unito e i paesi scandinavi. 

L’effetto dell’immigrazione sulla salute auto-percepita dei nativi europei è più elevato nei paesi con livelli di capitale umano più bassi. In questi paesi si registrano peraltro effetti positivi sia per le persone in età lavorativa sia per quelle in età avanzata. Questi effetti sono comunque maggiori per gli anziani. D’altro canto, la salute auto-percepita dai nativi dei paesi ad elevato capitale umano (sia in età lavorativa che in età anziana) non sembra risentire dalla variazione dei livelli di immigrazione. 

Le analisi condotte nello studio qui presentato non consentono di fornire una chiara spiegazione del perché i due gruppi di paesi evidenziano tali differenze. Nello studio viene tuttavia supposto che ciò derivi dal fatto che nei paesi a basso capitale umano molti immigrati lavorano nel settore dell’assistenza e dei servizi alla persona contribuendo al miglioramento della salute della popolazione autoctona in età avanzata. Inoltre, nei paesi a basso capitale umano gli immigrati, accettando lavori più rischiosi, spingerebbero i lavoratori autoctoni verso posizioni occupazionali meno pericolose. 

Lo studio mostra infine che le limitazioni delle attività quotidiane causate da una scarsa salute sembrano ridursi per effetto dell’immigrazione senza però mostrare rilevanti differenze fra i due gruppi di paesi.

Implicazioni di policy

I risultati di questo studio dimostrano che le preoccupazioni relative al deterioramento della salute della popolazione autoctona europea a causa dell’immigrazione non sono supportate dall’evidenza empirica. In realtà, gli immigrati sembrano essere un fattore importante per il miglioramento della salute di un’ampia fascia della popolazione e soprattutto di quella anziana. Politiche di sostegno all’integrazione delle persone straniere possono pertanto favorire questi processi. 

Per saperne di più: 

Bazzoli, M., Madia, J. E., Nicodemo, C., & Podestà, F. (2024). Immigration and health outcomes: A study on native health perception and limitations in Europe. Economic Modelling131, 106627. https://doi.org/10.1016/j.econmod.2023.106627

Escarce, J. J., & Rocco, L. (2021). Effect of immigration on depression among older natives in Western Europe. The Journal of the Economics of Ageing20, 100341.

Giuntella, O., Mazzonna, F., Nicodemo, C., & Vargas-Silva, C. (2019). Immigration and the reallocation of work health risks. Journal of Population Economics32, 1009-1042.

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