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Politiche migratorie: per un pugno di mosche

Il primo anno di governo Meloni ha visto la crescita degli sbarchi e dell’immigrazione regolare, un risultato inatteso in un settore chiave dell’agenda politica dell’esecutivo. Una discrepanza tra obiettivi e risultati che può trovare una spiegazione in un quadro normativo non in grado di affrontare le caratteristiche attuali del fenomeno migratorio.

La dinamica migratoria

Il 4 ottobre, in base ai dati del Cruscotto del Ministero dell’Interno, i migranti sbarcati nel corso dell’anno sono stati 135.270, poco meno del doppio di quelli arrivati nel 2022 (72.411) e quasi il triplo dei 47.862 giunti nel 2021. Non si può quindi escludere che a fine anno il valore totale possa anche superare il massimo di 181 mila intercettazioni registrato nel 2016. In aumento, secondo il Ministro Piantedosi, anche gli arrivi lungo la rotta balcanica che hanno raggiunto nei primi otto mesi del 2023 le 13.700 unità.

A questo aumento dei flussi irregolari si è accompagnata una parallela crescita anche di quelli regolari. Sul fronte dell’assistenza umanitaria, l’Italia ha concesso la protezione temporanea a circa 160 mila ucraini, mentre il complesso dell’immigrazione regolare si è ormai riportato sui livelli prepandemici. Nel 2022, infatti, le iscrizioni dei cittadini stranieri dall’estero sono state 273 mila, 30 mila in più di quelle del 2021 e sostanzialmente in linea con i valori registrati nel biennio 2018-2019. Nonostante questo aumento, è però possibile che il volume dell’immigrazione netta sia ancora sottodimensionato rispetto ai fabbisogni del paese, visto che tenendo conto di tutte le cancellazioni il saldo positivo si riduce a 107 mila unità. Livello probabilmente insufficiente per un paese in cui la domanda di lavoro straniero appare tutt’altro che circoscritta, come è stato evidenziato in più occasioni e da più parti e come lo stesso governo ha preso atto emanando un decreto flussi per 450 mila ingressi regolari in tre anni.   

Un quadro normativo inadeguato

Nonostante la volontà politica dell’esecutivo si è quindi registrata una crescita sensibile dei flussi regolari e irregolari. Un andamento che, per altro, appare in linea con il tendenziale aumento delle migrazioni internazionali sulla scena mondiale per effetto del contemporaneo incremento dei fattori attrattivi e di quelli espulsivi. I primi sono particolarmente evidenti nei paesi con una demografia debole come l’Italia. Dove, non a caso, ai primi segnali di ripresa economica si sono manifestate carenze di lavoratori nel turismo, nella ristorazione, nella sanità, nelle attività balneari e nella logistica, che sono andate ad aggiungersi a quelle presenti da tempo in agricoltura, nell’assistenza alle persone, nell’edilizia e nello stesso settore manifatturiero. Sulla crescita dei fattori espulsivi hanno invece pesato l’incremento demografico che in questi anni si è registrato nella gran parte dei paesi d’origine, le difficoltà economiche causate dalla pandemia e dall’aumento dei prezzi e la crescente instabilità internazionale che ha portato il numero delle persone sotto protezione a superare alla fine del 2022 i 108 milioni. 

Una crescita di intensità del fenomeno che appare confermata dai dati disponibili. Le stime delle Nazioni Unite registrano infatti un aumento di 108 milioni nel numero dei migranti a livello mondiale tra il 2000 e il 2022, mentre il flusso di immigrati permanenti regolari verso i paesi OCSE è tornato a superare i 5 milioni e il numero di permessi annuali concesso dai paesi dell’UE e dell’EFTA a cittadini di stati terzi con 2,29 milioni di unità ha raggiunto nel 2022 il massimo dal 2008.  

Di fronte a questo scenario gli strumenti politici a disposizione dell’Italia e dell’UE appaiono del tutto inadeguati, strumenti di una stagione ormai superata e conclusa. La Bossi-Fini è infatti entrata in vigore nel 2002 e lo stesso Regolamento di Dublino è stato adottato dall’Italia nel 2003. Da allora il quadro migratorio è profondamente cambiato. All’inizio del secolo il principale problema che si poneva all’UE era quello di portare a compimento il processo di allargamento, trasferendo ai nuovi entrati il controllo delle frontiere esterne. Processo che può dirsi ora completamente realizzato, visto che alcuni di questi paesi sono diventati i più zelanti difensori dei confini europei. Vent’anni fa la situazione politica internazionale era più stabile dell’attuale, visto che le persone sotto protezione erano meno di 40 milioni mentre oggi sono diventate 2 volte e mezzo quella cifra. Nel Mediterraneo, in particolare, i regimi autoritari di Gheddafi in Libia e di Ben Alì in Tunisia assicuravano un controllo delle frontiere molto più efficace di quanto non avvenga oggi e forse erano anche interlocutori meno cinici di quelli attuali nel giocare la carta dell’immigrazione come arma di scambio e di ricatto. 

Non va poi sottovalutato il fattore demografico. Tra il 2000 e il 2020 la classe di età 20-40 anni, quella dove più intensa è la spinta a migrare, è aumentata in Africa di 167 milioni di unità, passando da 232 a 399 milioni, mentre in Europa è scesa da 211,5 milioni a 190, con un calo di 21,5 milioni (Fig. 1). Un andamento divergente, che da una situazione di sostanziale equilibrio ha portato in appena vent’anni gli africani ad essere il doppio degli europei in questa classe di età. Con questi sviluppi è quindi tutt’altro che sorprendente che il volume degli sbarchi fosse attorno alle 20 mila unità annue all’inizio del secolo, mentre ora siamo ben sopra le 100 mila.

Le prospettive politiche

In questo quadro, un paese con la situazione demografica dell’Italia dovrebbe puntare a utilizzare al meglio il contributo dell’immigrazione, per colmare i vuoti nel mercato del lavoro ma anche per rendere meno critici i problemi creati dalla bassa fecondità. Un approccio che trarrebbe grande beneficio da un accordo tra gli schieramenti sul ruolo di fondo da attribuire all’immigrazione all’interno della società italiana. Un’ipotesi che, al momento, non appare però all’ordine del giorno. Questa mancata definizione di un ruolo condiviso dell’immigrazione rischia di diventare una grossa penalizzazione per l’intero paese, specie se si considera che la quota di italiani nati in Italia tra i residenti è già scesa dal 95,8% del 2001 all’87,5% del 2020. E in quei 7,4 milioni di residenti, legati più o meno direttamente all’immigrazione, spiccano un milione e mezzo di naturalizzati dai tratti somatici più vari. 

Di fronte a questa crescita strutturale dell’immigrazione, le sortite estemporanee e la ricerca di capri espiatori, come si è visto, non producono grandi risultati. Anche perché l’Italia per la sua posizione geografica è inevitabilmente un nodo strategico dei flussi tra Africa ed Europa. La crescita del fenomeno riflette l’aumento di quelli che gli esperti chiamano i driver delle migrazioni, anche se quanto avviene lungo le linee di “confine”, come il Canale di Sicilia o la frontiera tra Messico e Stati Uniti, mostra come l’offerta d’emigrazione superi la domanda. Una domanda che, per altro, non sempre è chiaramente esplicitata e dichiarata. E qui probabilmente ritroviamo uno dei nodi problematici che rendono ancora più difficile trovare soluzioni efficaci a un problema indubbiamente complesso. Un tema che è stato affrontato direttamente nell’ultimo rapporto della World Bank, in cui si è cercato di delineare uno scenario in cui tutte le parti coinvolte nel processo migratorio possano ricavare un vantaggio diretto dal fenomeno. In quest’ottica, le migrazioni dovrebbero diventare uno strumento di crescita economica e sociale per i paesi di partenza e per quelli di arrivo. Questi ultimi dovrebbero soprattutto evitare che l’apporto positivo dei migranti non venga adeguatamente considerato quando invece il loro contributo economico è largamente positivo e permette di coprire molti dei vuoti che si aprono agli estremi della scala occupazionale.   

Note

1Interrogazione del 13 settembre 2023 alla Camera dei Deputati • Resoconto stenografico dell’Assemblea, Seduta n. 161

2 C. Bonifazi, “La Banca Mondiale e le migrazioni internazionali”, Neodemos, 23 maggio 2023.

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