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L’ultima corvée di Ignazio Visco

Lo scorso 31 maggio, nell’Assemblea della Banca d’Italia, Ignazio Visco ha letto le consuete “Considerazioni finali”, le dodicesime1 da quando, nel novembre del 2011, ha iniziato la sua funzione di Governatore. La consueta sintesi dell’andamento dell’economia del Paese e del Mondo è improntata, come si usa dire, a un “cauto ottimismo”, forse per la prima volta in dodici anni. All’inizio si legge che “nell’affrontare le conseguenze della guerra in Ucraina, così come nell’uscita dalla pandemia, l’economia italiana ha mostrato una confortante capacità di reazione.” L’accelerazione dell’accumulazione di capitale, il miglioramento della produttività dopo un lungo periodo di ristagno, il recupero della competitività internazionale sono segnali incoraggianti che vanno rafforzati, superando quei ritardi e quelle debolezze di fondo che ancora impediscono alla nostra economia di dispiegare appieno le proprie potenzialità.” Tra queste debolezze di fondo” il Governatore inserisce ancora una volta sia quella prodotta dalla crisi demografica del paese che quella connessa con l’insufficiente formazione delle risorse umane, tema al quale ha volto spesso la sua attenzione di studioso.  Riportiamo di seguito uno stralcio2 delle “Considerazioni”, sui temi della crisi demografica, della produttività, della qualità del capitale umano.

Sulla crisi demografica, le forze di lavoro, l’immigrazione, la produttività

L’aumento dei redditi e un deciso miglioramento delle opportunità di impiego richiedono un innalzamento della qualità e della capacità produttiva dell’intero sistema economico, oggi ancora più necessario alla luce dei cambiamenti demografici in corso. Nei prossimi decenni la dinamica della popolazione mondiale continuerà a essere fortemente sbilanciata: alla crescita sostenuta nei paesi in via di sviluppo si contrapporrà quella debole o negativa nei paesi avanzati; tra questi l’Italia si caratterizza per un processo di invecchiamento fra i più rapidi. In soli tre anni, dal 2019 il numero di persone convenzionalmente definite in età da lavoro (tra i 15 e i 64 anni) è diminuito di quasi 800.000 unità. Secondo le proiezioni demografiche dell’Istat, nello scenario centrale entro il 2040 la popolazione residente si dovrebbe ridurre di due milioni e mezzo di persone; quella tra i 15 e i 64 anni di oltre sei (Figura 1).

Il miglioramento delle condizioni di vita e di salute conseguito negli ultimi decenni potrà consentire a non poche persone di lavorare oltre il limite convenzionale dei 64 anni, in linea con le tendenze già in atto, sostenute anche dalle riforme pensionistiche. Sicuramente occorrerà accrescere la capacità di impiegare i giovani e le donne, i cui tassi di partecipazione in tutte le aree del Paese sono davvero modesti, e nel Mezzogiorno i più bassi d’Europa. Anche nell’ipotesi molto favorevole di un progressivo innalzamento dei tassi di attività dei giovani e delle donne fino ai valori medi dell’Unione europea, nei prossimi venti anni la crescita economica non potrà contare su un aumento endogeno delle forze di lavoro: gli effetti del calo della popolazione nelle età centrali potranno essere mitigati nel medio periodo, oltre che da un allungamento dell’età lavorativa, solo da un aumento del saldo migratorio (che pure nello scenario di base l’Istat prefigura pari a 135.000 persone all’anno, più del doppio degli ultimi dieci anni, dopo una media di oltre 300.000 nel precedente decennio). Per gestire i flussi migratori occorreranno politiche ben concepite di formazione e integrazione, indispensabili per l’inserimento dei migranti nel tessuto sociale e produttivo. Un recupero della natalità dai livelli particolarmente bassi del 2021, per quanto auspicabile, rafforzerebbe l’offerta di lavoro solo nel lunghissimo periodo.

Progressi della produttività, ma il cammino da fare è lungo

 Le prospettive di sviluppo dell’economia dipenderanno comunque in larga misura dalla capacità di tornare a ritmi di crescita della produttività del lavoro nettamente superiori a quelli degli ultimi venticinque anni e almeno pari a quelli medi osservati negli altri paesi dell’area dell’euro. Dal 2015 si sono fatti chiari progressi: nonostante il contributo nullo dell’accumulazione di capitale, il prodotto per ora lavorata nel settore privato è cresciuto a ritmi non lontani dalla media dell’area. Il proseguimento di questa tendenza richiede che le imprese confermino la ripresa recente degli investimenti e sostengano l’innovazione. Anche se le ristrutturazioni aziendali hanno favorito il rafforzamento dell’economia, alcuni tratti peculiari, di cui abbiamo più volte discusso in passato, continuano a condizionarne lo sviluppo. La distribuzione dimensionale delle imprese resta sbilanciata verso quelle piccole e piccolissime, a proprietà e gestione familiare. Il problema è accentuato nelle costruzioni e in alcuni rami dei servizi, come quelli professionali e il comparto alberghiero e dei pubblici esercizi, in cui dalla seconda metà degli anni Novanta si registrano tassi di crescita della produttività decisamente modesti, se non addirittura negativi. Modifiche normative di rilievo, come la riduzione delle barriere all’ingresso e la semplificazione dell’avvio delle attività, hanno stimolato la concorrenza e innalzato l’efficienza delle imprese. Questo conferma che è necessario perseverare nell’agenda delle riforme e superare gli ostacoli e i disincentivi alla crescita dimensionale ancora presenti, spesso impliciti nelle norme amministrative e tributarie. L’evasione fiscale e la diffusione del lavoro sommerso continuano ad alterare i meccanismi concorrenziali a danno delle imprese con maggiori potenzialità. 

Debolezza del capitale umano e la responsabilità delle imprese

Un’economia innovativa richiede una forza lavoro qualificata, con conoscenze adeguate e continuamente aggiornate. La quota di laureati tra le persone di età compresa tra i 25 e i 34 anni è ancora oggi inferiore al 30 per cento, contro una media europea superiore al 40 (Figura 2). Anche le competenze sono spesso insoddisfacenti, come mostrano le indagini prodotte dagli organismi internazionali. In Italia non mancano giovani con elevate qualità professionali e imprese dinamiche e di successo; ma è ancora troppo bassa la quota di quelle che puntano con decisione sulla valorizzazione del capitale umano e delle capacità manageriali, fondamentali per trarre beneficio dalle nuove tecnologie e accrescere la capacità competitiva dei prodotti e servizi offerti sui mercati nazionali e globali. Le aziende che hanno intrapreso questo percorso si distinguono dalle altre per quote di mercato crescenti, una maggiore intensità del capitale, una redditività più alta e migliori condizioni lavorative e retributive.

Il Governatore, economista e umanista, conclude la sua ultima corvée con le parole di Dante: “dice lo Filosofo che l’uomo naturalmente è compagnevole animale”, per conseguire la “vita felice … uno solo satisfare non può”. Problemi come la riduzione del debito pubblico o l’adozione di stili di vita coerenti con la difesa dell’ambiente richiedono che la società li comprenda e faccia propri, non perché “ce lo chiede l’Europa”, ma perché ci schermano dai rischi e dischiudono opportunità.

Note

1Banca d’Italia, Considerazioni finali del Governatore, Roma, 31 maggio 2023.

2Stralcio dalle pagine 20-22 delle “Considerazioni finali”. La divisione in paragrafi, con un titolo, è responsabilità della Redazione.

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