Con un acceso confronto il Senato della Repubblica sta discutendo in questi giorni la trasformazione in legge del Decreto approvato il 10 marzo scorso dal Consiglio dei Ministri nella seduta tenutasi nella cittadina calabrese dopo la tragedia avvenuta nella notte tra il 25 e il 26 febbraio.
Il Decreto Legge n. 20, recante disposizioni urgenti in materia di flussi di ingresso legale dei lavoratori stranieri e di prevenzione e contrasto all’immigrazione irregolare, è in fase di approvazione al Senato. Il provvedimento si compone di una decina di articoli che affrontano diversi aspetti del fenomeno: i flussi di ingresso legale e la permanenza dei lavoratori stranieri, la protezione speciale, la prevenzione e il contrasto all’immigrazione irregolare e il potenziamento dei centri di permanenza per i rimpatri. È la risposta che il Governo presieduto dall’Onorevole Meloni ha inteso dare alla tragedia che ha provocato quasi cento vittime a poche decine di metri dalle coste calabresi. In Commissione e in aula il confronto tra le forze politiche è stato teso, soprattutto sulla protezione speciale.
La portata di questa forma di protezione è stata ampliata dal Decreto Lamorgese del dicembre 2020. Nel 2021 è stata riconosciuta a 7.092 persone, pari al 14% dei richiedenti, e nel 2022 a 10.865, toccando il 21% delle domande esaminate1. Numeri tutto sommato modesti, specie se si considera come almeno nel 2021 la protezione speciale «è stata applicata prevalentemente nei confronti di immigrati di lunga permanenza in Italia, regolarizzando in questo modo il loro soggiorno (e potenzialmente il rapporto di lavoro). Il 36% di richiedenti asilo albanesi ha beneficiato di questa misura, come pure il 28% degli ucraini (prima della guerra in atto), il 26% dei peruviani, dei turchi e dei maliani, il 25% dei colombiani»2. Si tratta in definitiva, di uno di quei provvedimenti di buon senso, presenti in forma diversa nella gran parte dei paesi europei, che cercano di trovare soluzioni percorribili alla situazione di quelle decine di migliaia di richiedenti asilo a cui non viene riconosciuta nessuna protezione e che, per usare un eufemismo, è alquanto complicato rimpatriare.
È difficile credere che la prova di forza messa in atto dal Governo sulla protezione speciale contribuisca a ridurre significativamente la pressione sulle nostre frontiere, mentre è scontato ipotizzare che concorrerà a ingrossare le fila dell’irregolarità e dell’illegalità. Proprio quello che, almeno a parole, tutti vorrebbero evitare. Del resto, in questi mesi l’esecutivo Meloni non ha mancato di individuare una serie di obiettivi e di potenziali fattori attrattivi che, alla prova dei fatti, si sono dimostrati tutt’altro che decisivi. Le operazioni di soccorso delle navi delle organizzazioni umanitarie sono state il primo obiettivo, se ne è limitata l’azione e le si è dirottate sui porti più lontani, con una perfidia dannosa per i migranti e per l’immagine del paese. Eppure gli sbarchi non sono diminuiti. Dopo la tragedia di Cutro, sul banco degli imputati sono saliti gli scafisti e i trafficanti, la cui azione il Governo aveva intenzione di contrastare e perseguire nell’intero globo terracqueo. Proposito che pare non più al centro dell’attenzione, mentre sulla questione migranti è stato emanato uno stato d’emergenza che il Ministro Piantedosi si è affrettato a derubricare a mera questione tecnica. Ora una causa importante del fenomeno viene individuata nella protezione speciale che riguarda poche migliaia di persone. Fatto sta che nei primi tre mesi del 2023, secondo l’agenzia Frontex, gli sbarchi sulle nostre coste sono stati quasi 28.000, il triplo rispetto agli stessi mesi del 2022. Un confronto impietoso per l’attuale responsabile del Viminale rispetto alla Ministra Lamorgese, oggetto degli strali polemici di Fratelli d’Italia e Lega per il presunto lassismo buonista per tutta la durata del Governo Draghi.
Un risultato che dimostra nei fatti come la questione migratoria sia complessa, difficile da affrontare e da governare e che i toni muscolari e gli strumenti della propaganda sono comodi da usare dai banchi dell’opposizione, ma non garantiscono grandi risultati quando si è al governo. Anche perché il contesto internazionale si è fatto in questi ultimi anni ancora più incerto e le spinte all’emigrazione stanno aumentando in diverse aree del mondo. E se questo dovrebbe spingere a una più convinta azione europea in tema di migrazione, dovrebbe anche favorire un approccio meno divisivo a livello nazionale. Le difficoltà reali potrebbero diventare uno stimolo a ricercare un approccio più dialogante, per trovare alcuni obiettivi di interesse nazionale su cui concordare. Un compito che dovrebbe riguardare tutti in un paese in pieno declino demografico, ma che diventa obiettivamente difficile da raggiungere se si agita lo spettro della sostituzione etnica.
1Valori ripresi da C. Hein, I migranti forzati e l’accesso all’asilo in Italia, in Idos, Dossier Statistico Immigrazione 2022, Roma e I. Veronese, Il permesso per protezione speciale dopo il decreto-legge 20/2023, https://www.uil.it/immigrazione/NewsSX.asp?ID_News=15800.
2Hein, cit., p. 126.