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A nord del 38° parallelo: fame e povertà

Il 38° parallelo divide la Corea del Nord, isolata dal regime tirannico che la governa dal 1948, dalla Corea del Sud, attivo motore della globalizzazione. Come ricorda Massimo Livi Bacci, il rigoroso regime autarchico del Nord, la scarsità di terre coltivabili, alcune catastrofi naturali, hanno provocato negli anni ’90 una terribile carestia, tradottasi in una elevatissima mortalità. La penuria di cibo è però continuata fino a oggi, e le Nazioni Unite stimano che 11 dei 26 milioni di abitanti siano in stato di denutrizione.

Corre lungo il 38° parallelo la stretta fascia demilitarizzata che dal 1953 divide artificiosamente la penisola Coreana in due metà: a nord, la Repubblica Popolare Democratica Coreana (Corea del Nord), al sud la Repubblica di Corea (Corea del Sud). Si tratta della linea del cessate il fuoco e dell’armistizio, che mise fine alla guerra iniziata nel 1950 tra i due paesi con i rispettivi alleati, la Cina con la Corea del Nord e gli Stati Uniti con quella del Sud.

Della Corea del Sud, bene integrata nel mondo, uno dei motori della globalizzazione, 50 milioni di abitanti e un Pil pro-capite come quello dell’Italia, si sa tutto. Della Corea del Nord, un po’ più grande di quella del sud, ma con la metà degli abitanti, gelosamente chiusa verso l’esterno, si sa pochissimo. Certamente è molto povera, a giudicare dallo stato di permanente indigenza alimentare che la caratterizza, anche se la segretezza mantenuta sulle statistiche economiche e sociali non consente misure precise e confronti con altri paesi. Qualche spiraglio esiste, quali le risultanze dei censimenti del 1993 e del 2008, e di qualche altra inchiesta finanziata dalla comunità internazionale.

Nord e Sud a confronto

Nonostante le profonde differenze istituzionali ed economiche, nei quasi tre quarti di secolo trascorsi dall’inizio della guerra le popolazioni dei due paesi sono cresciute di circa due volte e mezzo (da 11,1 a 26,2 milioni a nord, da 20,1 a 51,8 a sud), ma con percorsi diversi. Il Nord, dopo aver perso 700mila abitanti per migrazione negli anni della guerra e della postguerra, è rimasto praticamente chiuso agli scambi migratori. Il Sud ha ricevuto rifugiati dal Nord negli anni del conflitto, e ha registrato una forte emigrazione – in risposta alle vicende politiche e economiche del paese – negli anni 1962-65, nei tardi anni ’70 e nel decennio dei ’90. Nel decennio anteriore al Covid, il saldo è stato fortemente positivo (1,8 milioni dal 2011 al 2019) in risposta al vigoroso sviluppo economico e al contrarsi della popolazione in età attiva. Sempre secondo le valutazioni delle Nazioni Unite, nonostante l’immigrazione, il paese ha iniziato a perdere popolazione dal 2020; questa inversione dovrebbe avvenire, a nord del 38° parallelo, tra 10-15 anni.

Assai interessante è il confronto del percorso della fecondità delle due Coree, ricordando che si tratta di popolazioni di identica etnia e lingua, e con tradizioni culturali comuni – per quanto sia possibile conservarle in due regimi istituzionali diametralmente opposti. Fino allo scoppio della guerra nel 1950, i livelli di riproduttività erano praticamente gli stessi, comuni a quelli prevalenti nella stessa regione asiatica, e non contenuti dal controllo delle nascite. La Figura 2 riporta l’andamento del numero medio di figli per donna (TFT) a partire dal 1950. A sud, la curva resta alta per tutti gli anni ’50,  né appare perturbata dalla guerra (oltre 6 figli per donna); scende con grande rapidità fino al livello di rimpiazzo nei primi anni ’80; prosegue poi il declino, a ritmo più lento ma inesorabile, scendendo addirittura sotto 1 negli ultimi anni. Oggi la Corea del Sud è il paese con la più bassa fecondità del mondo.

A Nord, la situazione è diversa: la grande mobilitazione militare e le forti perdite umane della guerra – assai maggiori che a Sud – deprimono la natalità, così come la lunga ferma militare, e il numero medio di figli per donna rimane nettamente inferiore a quello del Sud fino alla fine degli anni ’70, quando le due curve si incrociano. Il declino della riproduttività continua lentamente, e da più di un decennio rimane stabilmente sotto il livello di rimpiazzo di 2.

La figura 3 mette a confronto la speranza di vita dei due paesi. Le due curve si sovrappongono fino all’inizio degli anni ’90, quando inizia a prodursi una divergenza – acuita dalla carestia degli anni ’90, di cui si dirà – imputabile al grave stato di povertà e indigenza che perdura fino a oggi. Oggi, infatti, chi abita a sud del 38° parallelo vive oltre 10 anni in più di chi vive a nord di esso.

Gli anni ’90, carestia e fame

La Corea del Nord non è stata mai autosufficiente in termini di produzione di alimenti, per quanto spartano sia sempre stato il regime alimentare, non solo per la scarsità delle terre coltivabili, quanto per l’arretratezza delle tecniche, per il regime fondiario cristallizzato, per la rigidità della pianificazione. All’inizio degli anni ’90, col crollo dell’Unione Sovietica, venne meno l’aiuto “fraterno” della Russia, che includeva energia, parti di ricambio meccaniche indispensabili per l’industria pesante, e fertilizzanti, mettendo i crisi sia la produzione industriale che quella agricola. Anche la Cina riduce gli aiuti. “Impossibilitata a importare cibo ai prezzi del mercato globale, appesantita dai debiti contratti fin dagli anni ’70, confrontata con una serie di disastri naturali dovuti alle anomalie del Niño del 1995, il paese soffrì una diffusa fame nel decennio successivo alla fine della Guerra Fredda”.1 Le gravissime alluvioni del 1995 distrussero le riserve di cereali; la mancanza di carbone significò mancanza di elettricità; la produzione di riso e di mais – base dell’alimentazione – si ridussero drammaticamente. Secondo le stime delle Nazioni Unite, nel quinquennio 1989-93 la produzione di riso era di circa 3,5 milioni di tonnellate all’anno, e scese a una media di 1,4 milioni nel 1994-97; quella di mais, negli stessi periodi, scende da una media di 4 milioni di tonnellate a una di 1,7 milioni.2 Di fronte alla gravissima crisi, si mobilitano aiuti internazionali poi ridotti per il rifiuto del governo di ammettere il controllo dei donatori sui criteri di distribuzione degli aiuti stessi. Le Nazioni Unite stimano che nel quadriennio 1995-1998 la speranza di vita sia discesa a circa 60 anni, dagli oltre 70 raggiunti negli anni pre-crisi; i livelli pre-crisi vengono raggiunti lentamente solo nell’ultimo trascorso decennio.

Molti studiosi, armati di tecniche di calcolo raffinate, di ipotesi ben fondate e confrontando i due censimenti (di qualità relativamente buona) del 1993 e del 2008, hanno tentato di stimare l’eccesso di mortalità causato dalla fame nel quadriennio 1995-97, e dalla grave penuria successiva. Sfatando le impressionistiche cifre milionarie spesso citate, nel quindicennio 1993-2008 si sarebbero verificati tra i 600mila e gli 850mila decessi in più rispetto a un “normale” (per il paese) corso degli eventi, in parti non  troppo diverse attribuibili alla carestia e alla penuria dell’intero periodo  successivo.3 Un eccesso di mortalità di 600-850mila decessi, attorno al 2,7/4,4% della popolazione dell’epoca, implica una catastrofe dello stesso ordine di grandezza di quella che colpì l’Urss negli anni tragici della carestia del 1932-33, o di quella che colpì la Cina del grande balzo in avanti, negli anni 1959-62.4

La storia non cambia

Negli anni più recenti, la situazione di penuria e di precarietà non è mutata, anzi si è aggravata per gli effetti della pandemia di Covid, per la chiusura delle frontiere, le forti restrizioni alla mobilità interna, il fermo delle attività di istituzioni pubbliche, quali quelle dedicate all’infanzia. Secondo il Programma Alimentare Mondiale, collegato alla Fao, la Corea del Nord “continua a subire un ampio ventaglio di minacce alla sicurezza alimentare, che si aggiungono ad altre protratte emergenze umanitarie del paese. Anno dopo anno, l’agricoltura non riesce a soddisfare i bisogni alimentari, per la mancanza di terre coltivabili, mancanza delle moderne attrezzature e di fertilizzanti, e per i ricorrenti disastri naturali…. Siccità, inondazioni, tifoni e ondate di calore causano l’impoverimento dei suoli, erosioni, frane, e danni ai raccolti e alle infrastrutture. In conseguenza, anche disastri di minor conto possono ridurre significativamente la produzione agricola e la disponibilità di cibo, mettendo a dura prova le limitate capacità di reazione delle comunità locali”.5 La Fao stima che 11 dei 26 milioni abitanti del paese siano sottonutriti. Un paese che ha la bomba atomica, ma è incapace di assicurare una ciotola di riso a quattro coreani su dieci, e dove è proibito utilizzare le parole come “carestia” e  “fame”, né più né meno di quanto avvenne in Urss e in Cina durante simili tragici periodi.

Note

1 Thomas Spoorenberg and Daniel Schwedendiek, Demographic Changes in North Korea: 1993–2008, “Population and Development Review”, March 2012.

2 Secondo UNDP, citato in North Korean famine – Wikiped

3 Spoorenberg and Schwedendiek, Demographic Changes, cit

4 Nell’Urss, nell’intero periodo 1927-36, l’eccesso di decessi dovuti alla carestia, all’espulsione dei Kulaki, e altre traversie, è stato calcolato intorno ai 9 milioni, pari al 5,8% della popolazione. Analogamente, in Cina, la carestia durante il Grande Balzo in Avanti avrebbe causto un eccesso di morti nel 195962 di 30 milioni, pari al 5,1% della popolazione. Si veda Massimo Livi Bacci,  On the Human Costs of Collectivization in the Soviet Union, “Population and Development Review”, Vol. 19, No. 4, 1993.

5 Democratic People’s Republic of Korea | World Food Programme (wfp.org)

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