Le intenzioni di fecondità a breve termine delle donne nate in Italia sono legate alle loro caratteristiche demografiche e alle condizioni socio-economiche. Eleonora Mussino, Giuseppe Gabrielli, Livia Elisa Ortensi e Salvatore Strozza mostrano come questo sia meno vero per le donne immigrate le cui intenzioni sono più legate alla fecondità espressa e alla storia migratoria.
L’intenzione di una donna di voler (o non voler) far nascere un figlio in un prossimo futuro (cioè entro un periodo di tre anni) è strettamente legata alle condizioni di vita familiari, alle prospettive che ciascuna donna ha (o intravede) nel proprio avvenire, alle restrizioni oggettive (ad esempio economiche o lavorative) e/o soggettive (ad esempio opinioni o argomentazioni) reali e/o ipotetiche per poter realizzare tali aspettative. Per tale motivo, le cosiddette “intenzioni a breve termine” ci forniscono informazioni utili sui meccanismi decisionali in merito alla fecondità attesa da una donna nel prossimo futuro, non considerando (come nel caso della fecondità realizzata) le gravidanze indesiderate, da un lato, o, dall’altro, l’infertilità. Inoltre, a differenza delle intenzioni a medio-lungo termine, quelle a breve termine sono poco condizionate da ideali o speranze che ciascuna donna ha per il proprio futuro, ma più da circostanze e/o situazioni presenti o dell’immediato futuro.
Utilizzando i dati delle due indagini ISTAT multiscopo sulla condizione sociale e l’integrazione dei cittadini stranieri (SCIF) e su famiglie e soggetti sociali (FSS), realizzate rispettivamente nel 2011–2012 e nel 2009, si possono considerare le intenzioni di fecondità a breve termine delle donne nate rispettivamente all’estero o in Italia. Le due indagini pongono infatti alle intervistate la stessa domanda “Intendi avere un figlio nei prossimi tre anni?”.
Le analisi proposte in una recente pubblicazione (Mussino et al. 2021) mostrano come la maggior parte delle donne, sia nate all’estero (immigrate) che in Italia, è “assolutamente” certa di non volere un figlio nei tre anni successivi all’indagine (Figura 1). Tuttavia, si evidenzia anche una maggiore propensione alla fecondità delle immigrate. Infatti, tra queste ultime c’è una quota più alta, rispetto a quelle nate in Italia, di coloro che sono “indecise” ovvero “probabilmente” o “assolutamente” certe di volere un figlio in un prossimo futuro.
È necessario tener conto dei vincoli esterni …
Con analisi multivariate è possibile concentrare l’attenzione sulle probabilità che una donna abbia le due posizioni estreme di “non volere” o di “volere” assolutamente un figlio.
Le evidenze empiriche mostrano come, tra le donne nate in Italia, le intenzioni di fecondità siano condizionate da vincoli “esterni” del momento, non strettamente legati, cioè, alla fecondità espressa o alle capacità riproduttive. La giovane età, la necessità di raggiungere determinati obiettivi formativi e professionali e persino il titolo di proprietà della casa di abitazione possono fortemente condizionare le intenzioni future di fecondità per le italiane. Lo stesso non avviene tra le migranti le cui intenzioni sono, invece, maggiormente determinate dalla fecondità già espressa, ossia dal numero di figli avuti. Infatti, le migranti hanno una probabilità significativamente più alta di volere un figlio nei tre anni successivi se non hanno figli, che non se ne hanno già avuti.
Tenendo sotto controllo potenziali effetti strutturali legati all’area di residenza, all’età, al livello di istruzione, allo stato civile, alla parità e al titolo di proprietà della casa, il ruolo giocato dalla diversa condizione lavorativa è più evidente tra le donne nate in Italia (Figura 2). Queste ultime, infatti, hanno probabilità di non volere assolutamente un figlio più alte se sono studentesse (65%) o disoccupate e in cerca di un lavoro (41%). Coerentemente, queste due categorie di italiane appena citate hanno anche le più basse probabilità di volere un bambino (1% e 6%, rispettivamente). Lo stesso non si verifica tra le migranti che in generale mostrano meno differenze significative nelle intenzioni negative o positive di fecondità in base alla condizione lavorativa.
… Ma anche delle origini e della storia migratoria
Anche il contesto in cui le donne migranti trascorrono la propria infanzia appare importante nel definire le scelte riproduttive. In Figura 3, le intenzioni delle migranti arrivate in Italia a meno di 15 anni sono più simili a quelle delle native (ovvero con una più elevata probabilità di non volere figli), mentre le donne arrivate almeno in età adolescenziale hanno, con maggiore probabilità, intenzione di avere figli entro i prossimi 3 anni. Inoltre, le intenzioni positive sono più probabili nel periodo immediatamente successivo alla migrazione, mentre quelle negative tendono a rendersi più evidenti con il trascorrere del tempo di permanenza in Italia.
Ma c’è di più: le intenzioni riproduttive sono differenti a seconda del paese d’origine, espressione dell’insieme dei valori, norme e abitudini insite nei comportamenti di ciascun individuo. Le probabilità predette di non volere un figlio tra i migranti provenienti dall’Africa (in particolare le marocchine) sono significativamente inferiori rispetto a quelle stimate tra le migranti provenienti dall’Est-Europa (in particolare romene e albanesi). Allo stesso tempo, le africane hanno una più alta probabilità di volere un figlio entro tre anni rispetto alle donne provenienti dall’Europa dell’Est.
Conclusioni: una convergenza non realizzata almeno nelle intenzioni
I segnali di convergenza nei modelli riproduttivi delle native e delle migranti in Italia che sono stati osservati in precedenti ricerche empiriche (Impicciatore et al. 2020; Giannantoni et al. 2018), potrebbero essere il risultato della difficoltà che hanno le donne migranti nel realizzare pienamente le proprie intenzioni, piuttosto che un cambiamento delle loro norme e/o preferenze.
D’altro canto, sebbene la fecondità realizzata dalle donne migranti sia fortemente legata alla condizione socio-economica, come già evidenziato in precedenti ricerche (Andersson e Scott 2007), ciò non influisce necessariamente sulle loro intenzioni a volere o meno un figlio.
Le differenze nelle intenzioni tra native e migranti sono più evidenti nella diversa sensibilità ai vincoli “esterni” (come l’instabilità lavorativa, economica o abitativa) che condizionano maggiormente le italiane, in negativo, rispetto alle migranti.
Sarebbe interessante capire se, riducendo o eliminando le costrizioni economiche e lavorative esistenti per le donne migranti in Italia, queste riescano a realizzare compiutamente le loro intenzioni riproduttive.
Riferimenti bibliografici
Andersson, G., & Scott K. (2007). Childbearing dynamics of couples in a universalistic welfare state: The role of labor-market status, country of origin, and gender. Demographic Research, 17: 897-938.
Impicciatore, R., Gabrielli G., & Paterno A. (2020). Migrants’ fertility in Italy: a comparison between origin and destination, N-IUSSP, May 18.
Mussino E., Gabrielli G., Ortensi L., & Strozza S. (2021). Fertility intentions within a three-year time frame: a comparison between migrant and native Italian women, Journal of International Migration and Integration.
Mussino, E., & Ortensi L. (2018). Same fertility ideals of the country of origin norm? A study of the personal ideal family size among immigrant women in Italy. Comparative Population Studies, 43: 243-274.
Giannantoni P., Ortensi L., Gabrielli G., Strozza S. (2018). La fecondità degli stranieri: misure e determinanti, in Perez M. (a cura), Vita e percorsi di integrazione degli immigrati in Italia (101-122), Serie Temi, Statistiche e Letture, Istituto Nazionale di Statistica, Roma.