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Italiani nel Regno Unito prima della Brexit

L’immigrazione italiana nel Regno Unito è notevolmente cresciuta nello scorso decennio, attratta da una domanda di lavoro espressa da settori caratterizzati da un’ampia flessibilità contrattuale, come la ristorazione, che offre  bassi salari, elevato turnover, scarsa formazione professionale e limitate opportunità di carriera. Stefania Marino e Giuseppe d’Onofrio osservano che l’indebolimento della legislazione e la minor forza dei sindacati, abbiano allargato le aree a forte flessibilità occupazionale  che continueranno ad esprimere una forte domanda di lavoro immigrato,  frustrando le promesse della Brexit di limitare l’immigrazione.  

La ripresa dell’emigrazione italiana verso il Regno Unito diventa un fenomeno degno di nota a partire dal  2007 e nel decennio successivo1 il Regno Unito diventa la principale destinazione degli immigrati italiani2. La letteratura accademica ha descritto il fenomeno migratorio italiano principalmente in termini di brain drain, cioè in termini di mobilità di giovani italiani altamente qualificati alla ricerca di migliori opportunità di crescita professionale. Meno attenzione è stata prestata all’analisi della crescente presenza di giovani immigrati italiani in settori e occupazioni a bassa qualifica, caratterizzati da inquadramenti contrattuali flessibili e bassa retribuzione.

Caratteristiche e composizione

Nell’ultimo decennio protagonisti dell’emigrazione italiana nel Regno Unito sono stati giovani dai 18 ai 39 anni, provenienti principalmente dalle regioni del Nord. Dai dati Istat però emerge un elemento di discontinuità rispetto al dibattito sulla giovane migrazione italiana: i flussi verso il Regno Unito tendono sempre più a caratterizzarsi per una massiccia presenza di emigranti con un titolo di studio pari e inferiore al diploma di scuola secondaria di secondo grado. La componente dei laureati quindi, per quanto crescente nel tempo, costituisce una componente minoritaria sul totale dei flussi migratori (vedi tabella 1).

L’elemento relativo ai livelli di scolarizzazione fornisce informazioni importanti sulla collocazione dei lavoratori italiani nel mercato del lavoro inglese e suggerisce l’emergere di un quadro più’ complesso del fenomeno migratorio italiano di “nuova generazione”. Tale complessità’ trova conferma in una nostra ricerca3 svolta nell’area metropolitana di Manchester e condotta tra i lavoratori italiani del settore della ristorazione.

I lavoratori italiani nella ristorazione

La ristorazione e l’ospitalità alberghiera rappresenta il settore con il più elevato livello di concentrazione di manodopera straniera, ed è quello che dal 2008 in poi ha registrato la maggiore crescita di lavoratori europei. È proprio in questo settore che lavorano molti dei nuovi emigranti italiani. Dai racconti dei lavoratori emerge una sostanziale convergenza delle loro esperienze di vita e di lavoro rispetto ad alcune dimensioni quali l’inserimento nel mercato del lavoro, le condizioni di lavoro e la mancata progressione occupazionale. Molti degli italiani intervistati sottolineano come la ristorazione rappresenti un facile accesso al mercato del lavoro inglese, soprattutto se non si dispone di un elevato livello di qualificazione. I lavoratori con livelli di scolarizzazione medio-alta spesso considerano queste occupazioni come strategia temporanea di inserimento, rimandendoci in qualche caso “intrappolati” al pari dei lavoratori con qualifiche e livelli di istruzione inferiori. 

‘Purtroppo chi arriva qui si ritrova a lavorare soprattutto nella ristorazione perché questo è il settore dove è più facile trovare lavoro e dove c’è più richiesta di personale. {…} È l’ancora di salvezza per la stragrande maggioranza delle persone che decidono di emigrare qui’ (Emilia).

Le esperienze di lavoro sono caratterizzate da una forte precarietà occupazionale e da un inquadramento contrattuale “a zero ore”, che rende il lavoratore disponibile ad essere chiamato senza che gli sia garantito un numero minimo di ore di lavoro. I ritmi e carichi di lavoro sono elevati:

‘Lavoro come cameriera in un fast-food. I miei colleghi sono soprattutto italiani, spagnoli, rumeni e polacchi. Guadagno otto sterline all’ora e ho un contratto a zero ore. Lavoro circa nove ore al giorno per cinque giorni a settimana. Dico circa perché se il manager ha bisogno di manodopera, io mi faccio le mie ore di lavoro stabilite. Se non c’è bisogno, loro sono liberi di mandarti a casa anche dopo due ore. {…} Il lavoro è molto stancante perché hai dolori ovunque. Specialmente durante la chiusura, a fine serata, si lavora come muli’ (Vanessa).

Mercato del lavoro e potere di attrazione

Se i fattori che nel paese di origine spingono i giovani italiani a migrare rimangono di fondamentale importanza, occorre anche sottolineare come l’elevata domanda di lavoro straniero espressa dal Regno Unito sia un fattore determinante del fenomeno migratorio italiano verso il paese e delle sue caratteristiche. Tale domanda proviene principalmente da settori caratterizzati da un’ampia flessibilità contrattuale, a bassa richiesta di qualifiche professionali, bassi salari, elevato turnover, scarsa formazione professionale e limitate opportunità di carriera. Dalla metà degli anni 2000 questa domanda inizia ad essere soddisfatta in maniera  crescente dall’ immigrazione intra-europea, percepita come preferibile a quella extra-europea, soprattutto  perché più’ snella da gestire da un punto di vista amministrativo. A partire dal 2008, la modifica in senso più restrittivo delle politiche migratorie inglesi indirizzate ai lavoratori extra-europei contribuisce ulterioremente ad una loro «sostituzione» con i lavoratori europei4. Emergono anche, sempre più’ chiaramente, preferenze datoriali per specifiche nazionalità, percepite come «più adeguate» a ricoprire determinate funzioni, contribuendo quindi alla loro concentrazione in determinati settori e occupazioni5. L’importanza di queste dinamiche nello spiegare l’immigrazione proveniente dai paesi dell’Europa orientale, di nuovo accesso all’ Unione Europea, si estende anche alla recente emigrazione dei lavoratori italiani6. Tali dinamiche infatti aiutano ad interpretare la mobilità dei giovani italiani con bassi livelli di scolarizzazione, ma in parte anche quella di giovani con livello di istruzione medio-alta, verso settori specifici di cui la ristorazione costituisce un importante esempio.

Conclusioni

L’immigrazione italiana «di ultima generazione» verso il Regno Unito va analizzata anche alla luce dell’ampia domanda di lavoro straniero e a “basso-costo” espressa dal paese. Le preferenze datoriali e le specifiche strategie di reclutamento della manodopera straniera sono state fortemente influenzate dall’operare congiunto di fattori istituzionali, politiche economiche e di welfare e dal contesto sociale. Lo smantellamento progressivo della legislazione a protezione dell’occupazione, il declino del ruolo e della posizione dei sindacati hanno contribuito fortemente ad allargare le aree di flessibilità’ occupazionale creando situazioni al limite dello sfruttamento e dannose per i lavoratori sia stranieri che inglesi. In considerazione dell’importanza del lavoro straniero per il funzionamento di settori chiave dell’economia inglese, che l’attuale pandemia ha ulteriormente confermato, rimane da capire come il Regno Unito affronterà la riduzione sostanziale del bacino di manodopera europea, fino ad oggi offerta dal framework di libera circolazione. E’ difficile credere nelle “promesse” del Brexit di limitare se non “fermare” l’immigrazione verso il paese in mancanza di radicali cambiamenti istituzionali relativi ad esempio al sistema della produzione e della formazione professionale.


1 Istat, Migrazioni internazionali e interne della popolazione residente (vari anni) «Statistiche Report».

2 Istat, Iscrizioni e cancellazioni anagrafiche della popolazione residente «Statistiche Report», Gennaio 2021.

3Marino S., D’Onofrio G. (2017) La Brexit e l’immigrazione italiana di nuova generazione nel Regno Unito, in S. Boffo, E. Pugliese (a cura di), La nuova emigrazione italiana. Innovazioni e Persistenze, La Rivista delle politiche sociali, n.4, pp. 53-76.

4Cfr. Menz G., 2009, Political Economy of Managed Migration, Oxford University Press, Oxford.

5 Cfr. MacKenzie R., Forde C. 2009, The rhetoric of the “good worker” versus the realities of employers’ use and the experiences of migrant workers, Work, Employment and Society, Vol. 23, Issue 1, pp. 142-159. Cfr McCollum D., Findlay A. 2015, Flexible workers for flexible jobs? The labour market function of A8 migrant labour in the UK, Work, Employment and Society, Vol. 29, No 3, pp. 427-443.

6Cfr. D’Angelo A. e Kofman E., 2017, UK: Large-Scale European Migration and the Challenge to EU Free Movement, in Lafleur J.M. e Stanek M. (a cura di), South-North Migration of EU Citizens in Times of Crisis, Springer Link, pp. 175-192;  Rienzo C., 2016, Migrants in UK Labour Market: An Overview, The Migration Observatory at the University of Oxford.

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