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Prime anticipazioni sul bilancio demografico del 2020*

Nel bilancio demografico di questo 2020, due sembrano essere i confini simbolici destinati ad infrangersi sotto i colpi del Covid-19: il margine superiore dei 700 mila morti e il limite inferiore dei 400 mila nati. Due sconfinamenti, osserva Gian Carlo Blangiardo, che spingono il valore negativo del saldo naturale oltre le 300 mila unità: uno scenario che si era visto unicamente nel 1918, quando la “spagnola” contribuì a determinare circa metà degli 1,3 milioni dei decessi registrati in quel catastrofico anno.

Nel bilancio demografico di questo 2020, due sembrano essere i confini simbolici destinati ad infrangersi sotto i colpi del Covid-19: il margine superiore dei 700 mila morti e il limite inferiore dei 400 mila nati. Due sconfinamenti che spingerebbero il valore negativo del saldo naturale oltre le 300 mila unità, proponendo uno scenario che, nella storia del nostro Paese, si era visto unicamente nel 1918, allorché l’epidemia di “spagnola” contribuì a determinare circa metà degli 1,3 milioni dei decessi registrati in quel catastrofico anno.

Dalla brusca impennata dei decessi…

Il passaggio oltre i 700 mila morti annui appare pressoché certo ed è la risultante di un conteggio che aggiunge ai 665 mila decessi stimati a tutto novembre 2020 altri 62 mila casi attribuibili al mese di dicembre. Un valore, quest’ultimo, ottenuto incrementando la media dei morti di dicembre nel quinquennio 2015-2019 (54.448 unità) sulla base della variazione accertata, tra il 2020 e la media 2015-2019, per l’insieme dei primi undici mesi dell’anno. Nel 2020 si prospettano così 726 mila decessi, che corrispondono a una media giornaliera di 1990 casi: 223 unità in più rispetto al quinquennio precedente. Un aumento che è marcatamente concentrato al Nord e si allinea al dato ufficiale delle circa 200 persone mediamente decedute ogni giorno in corso d’anno per Covid-19, valore che sale a 250 casi se si restringe l’intervallo al periodo 20 febbraio-31 dicembre 2020.

… Ai nuovi confini della natalità…

Così come sembra oggettivamente argomentabile la prospettiva di passaggio oltre i 700 mila morti annui, lo stesso vale per quanto riguarda l’ipotetico raggiungimento, nel bilancio demografico del 2020, della soglia minima dei 400 mila nati.

Di fatto, già le risultanze del periodo gennaio-agosto 2020, ossia gli esiti dei concepimenti orientativamente avvenuti – senza alcuna influenza di Covid-19 – nel periodo che va da aprile a novembre del 2019, testimoniano un calo di nati del 2,3%. Tale andamento, se mantenuto per il successivo bimestre settembre-ottobre, ancora legato a concepimenti del tutto covid-free, porterebbe il totale dei nati nei primi dieci mesi del 2020 a 343 mila unità. L’incognita per la redazione del bilancio annuo è dunque rappresentata dai nati di novembre e dicembre, due mesi che nel precedente quinquennio hanno registrato mediamente 36.665 e 38.594 nati, rispettivamente, ma con una tendenza regressiva che li ha portati a 34.084 e a 34.769 casi nel 2019. Se solo sommassimo questi due ultimi valori alle 343 mila unità di cui si è detto si arriverebbe a 412 mila nati, senza però tener conto realisticamente dei primi effetti di Covid-19 sul livello di fecondità della popolazione. Non va infatti dimenticato che dicembre 2020 si colloca a distanza di nove mesi dalla drammatica comparsa della pandemia, ed è verosimile immaginare che, così come accadde per la caduta delle nascite al tempo della grande paura per la nube tossica di Chernobyl (il significativo calo di nati a febbraio 1987 in relazione ai concepimenti di maggio 1986), anche in questa circostanza ci siano stati frequenti rinvii nelle scelte riproduttive. In ultima analisi, nel 2020 è legittimo aspettarsi un sensibile calo di nascite nel mese di dicembre, con qualche primo debole segnale già a novembre, per via dei concepimenti nella seconda metà di febbraio e/o degli eventuali parti pretermine.

Non a caso, un valido indizio in tal senso viene fornito da un resoconto provvisorio su un insieme di quindici grandi città per le quali si ha la disponibilità di un dato anagrafico completo e attendibile per l’intero anno 2020. Nell’ambito di tale insieme, che aggrega circa 6 milioni di residenti e ha dato luogo nel 2019 al 10,6% dei nati in Italia, la frequenza di eventi nel corso del 2020 è diminuita mediamente del 5,21%. Un valore che è tuttavia la risultante di dinamiche ben distinte in corso d’anno: si ha infatti un calo medio del 3,25% nel complesso dei primi dieci mesi, che poi sale all’8,21% in corrispondenza del mese di novembre e raggiunge il 21,63% in quello di dicembre.

In conclusione, se dunque dovessimo riprodurre tale comportamento su base nazionale arriveremmo a conteggiare da un minimo di 398 mila nati – applicando il -5,21% al dato annuo del 2019 – a un massimo di 402 unità mila, limitandoci ad estrapolare unicamente l’effetto osservato nel bimestre novembre-dicembre.

Saremmo per l’appunto – seppur poco al di sotto sotto o poco al di sopra – a un passo dalla inviolata soglia dei 400 mila nati annui.

… sino all’effetto di Covid-19 nel migrare e fare famiglia

Ma i riscontri statistici dell’effetto di Covid-19 sulla demografia italiana non si limitano all’azione direttamente osservabile sulla componente naturale. I dati più recenti evidenziano altri due ambiti che riflettono, in modo rilevante, nuovi orientamenti nelle scelte e nei comportamenti della popolazione: i percorsi di mobilità territoriale e i processi di formazione delle unità familiari.

Riguardo al primo ambito, il recente report Istat sulle iscrizioni e cancellazioni anagrafiche non manca di sottolineare come nei primi otto mesi del 2020 – secondo le prime anticipazioni disponibili – le migrazioni nel nostro Paese abbiano subito una drastica riduzione (-17,4%). In particolare, rispetto al confronto con gli stessi otto mesi del quinquennio 2015-2019 si è registrata una flessione del 6% per i movimenti interni, tra comuni, e del 42% e 12%, rispettivamente, per quelli da e per l’estero. Su quest’ultimo punto l’unico dato in controtendenza riguarda i flussi verso il Regno Unito (+62,8%), ma si tratta esclusivamente di un effetto dovuto alle regolarizzazioni indotte dalla brexit e relative a soggetti trasferitisi già da tempo al di fuori dei confini nazionali.

In merito ai processi di formazione familiare, i primi dati sulla nuzialità, disponibili in via provvisoria per il periodo gennaio-ottobre, segnalano per il 2020 circa 85 mila matrimoni, a fronte dei 170 mila nei primi dieci mesi del 2019 e dei 182 mila nello stesso intervallo del 2018. La variazione negativa del numero di matrimoni è stata nel complesso del 50,3% – rispetto al 2019 e a parità di periodo – ma il calo raggiunge la punta del 69,6% se ci si limita a quelli religiosi. Questi ultimi rappresentavano il 49,5% del totale delle unioni nei primi dieci mesi del 2019 (erano il 51,8% nello stesso periodo del 2018) e sono scesi al 30,3% nel 2020. A livello territoriale la caduta più consistente ha riguardato il Mezzogiorno, dove ha agito in modo significativo il forte ridimensionamento delle unioni religiose, il corrispondente tasso di nuzialità si è ridotto sino a mantenere nel Sud circa un quarto del valore che aveva nel 2019 e nelle Isole circa un terzo.

Il calo della nuzialità appare, oltre che intenso, anche assai generalizzato così che, stante la persistente diffusione delle nascite provenienti da coppie coniugate (pari a 2/3 del totale secondo i dati del 2019), sembra legittimo aspettarsi, pressoché ovunque, un fattore aggiuntivo negli scenari di ulteriore caduta della natalità che potrebbero caratterizzare l’immediato futuro. D’altra parte, se è vero che la nascita di un primogenito, che ha riguardato il 47,8% degli eventi registrati nel 2019, ha come presupposto – non esclusivo ma certamente qualificante – una scelta di genitorialità maturata entro un rapporto di coppia stabile, viene naturale chiedersi come si potrà diluire/recuperare nel tempo questo brusco punto di rottura introdotto da Covid-19 nell’avvicendamento delle coorti matrimoniali.

Se oltre a ciò mettiamo in conto il prosieguo degli effetti del rinvio dei concepimenti, qui valutati sui nati di dicembre (e in parte di novembre) ma verosimilmente destinati a protrarsi nel corso del 2021 (almeno nei primi mesi), si forma la piena convinzione che, a meno di inaspettati e improbabili fattori a supporto della fecondità, difficilmente si ci potrà sollevare in tempi brevi dalla soglia dei 400 mila nati toccata nel 2020. In realtà, il timore è che il confine possa ancor più discostarsi, sempre al ribasso, nel bilancio finale del 2021.

*contributo ripreso da: #IstatperilPaese, www.istat.it

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