La nuova caduta del numero di nati scesi, nel 2018, a 440.000 (esattamente la metà dei nati nel 1974), è una notizia che non ha smosso né l’opinione pubblica né il mondo politico. Marcantonio Caltabiano commenta alcuni aspetti di una tendenza che rischia di rendere insostenibile, in pochi anni, il precario equilibrio economico e sociale del Paese.
L’Istat ha recentemente diffuso i dati sulle nascite avvenute in Italia nel 2018 (Istat 2019). Le notizie non sono buone. Oltre all’attesa diminuzione del numero assoluto di nati, legata soprattutto alla numerosità decrescente delle potenziali madri (l’Istat stima il peso di questa componente a circa il 67% della diminuzione complessiva dei nati tra 2008 e 2018, come del resto fanno anche Letizia Mencarini e Daniele Vignoli, 2019) si è registrata una imprevista ulteriore frenata del numero medio di figli per donna, il cosiddetto tasso di fecondità totale, TFT.
A febbraio l’Istat aveva ipotizzato una sostanziale stabilità del TFT rispetto al 2017, e invece si è registrata una ulteriore flessione a 1.29 figli per donna, il minimo dal 2003. Dopo otto anni consecutivi di ribassi, siamo ritornati al periodo più buio della storia demografica italiana recente, il decennio 1993-2003, quando questo indicatore è rimasto stabilmente sotto 1.30 figli per donna, un livello che i demografi hanno chiamato lowest-low fertility, la più bassa tra le basse fecondità (Kohler, Billari e Ortega 2002).
Perché è importante il TFT? Perché misura (pur con qualche approssimazione) il ricambio tra le generazioni. Se questo valore è vicino a due (due genitori rimpiazzati da due figli), allora una popolazione resta all’incirca costante nel tempo. Se invece scende sotto questa soglia allora una popolazione declina numericamente, tanto più velocemente quanto più è lontano da due. E come è facile intuire, un valore sotto 1.30 non solo porta ad una veloce decrescita numerica, ma anche ad un rapido invecchiamento: le vecchie generazioni numerose si contrappongono alle sottili nuove coorti di nati.
Purtroppo questa non è l’unica cattiva notizia. Anche il numero medio di primogeniti per donna (misurato dal TFT 1) continua a diminuire, toccando 0.61, ad un soffio al minimo storico del 1995 (0.60). Se questa tendenza rimanesse invariata nel tempo si arriverebbe ad un 40% circa di donne che restano senza figli. Attualmente è già possibile stimare senza grossi margini di errore che, tra le nate nel 1980, il circa 25% non avrà figli con picchi del 30% in alcune regioni come la Sardegna. E se una parte di queste donne non ha figli per scelta o per infecondità, per molte altre si tratta di una dolorosa rinuncia dovuta anche a motivi economici.
Le cause di questo nuovo peggioramento sono più d’una. Intanto, come spiega l’Istat, il numero assoluto di nati da genitori di cittadinanza non italiana è in diminuzione da alcuni anni (così come il numero medio di figli delle madri non italiane) a causa dell’ininterrotto innalzamento dell’età media delle donne straniere (quelle in età 35-49 sono passate dal 43% del 2018 al 53% del 2019). Questo cambiamento è una conseguenza sia della graduale riduzione dei flussi migratori in ingresso avvenuta negli ultimi anni sia del fatto che molte di queste donne residenti in Italia ormai da parecchi anni hanno raggiunto il numero di figli desiderato.
L’altra causa importante è la perdurante incertezza economica che spinge soprattutto le giovani coppie a rimandare la formazione di una famiglia e la nascita di un figlio, mentre per le donne più mature il rinvio spesso si trasforma in rinuncia. La diffusa instabilità impedisce ai giovani di impegnarsi in progetti a lungo termine, come l’avere un figlio. A questo si deve il continuo aumento dell’età media alla nascita del primo figlio, passata da 30.1 nel 2008 a 31.2 nel 2018.
Usando misure più complesse che tengano conto non solo delle variazioni di intensità ma anche di cadenza della fecondità, come il TFT aggiustato proposto da Bongaarts e Feeney (1998), la riduzione del numero medio di figli per donna post crisi del 2008 resta importante, frutto non solo del posticipo delle nascite ma anche di una reale minor propensione ad avere figli nell’ultimo decennio.
Concludiamo questo breve commento accennando alla perdurante crisi demografica del Mezzogiorno. Qui il TFT ormai dal 2006 è più basso rispetto al resto d’Italia e nel 2018 ha toccato nuovi minimi, specialmente nelle aree più deboli e marginali, come il Molise, la Basilicata e la Sardegna, regioni in cui nel 2018 il numero medio di figli si è attestato poco sopra uno.
Riferimenti
Bongaarts J., Feeney G. (1998). On the quantum and tempo of fertility. Population and Development Review 24 (2): 271-291.
Istat (2019). Natalità e fecondità della popolazione residente. Anno 2018. Istat, Roma.
Kohler H.-P., Billari F.C., Ortega J.A. (2002). The emergence of lowest-low fertility in Europe during the 1990s. Population and Development Review, 28 ( 4): 641-681.
Mencarini L. Vignoli D. (2019) Perché in Italia negli anni della Grande Recessione il calo delle nascite è stato più forte che in altri paesi, Neodemos, 26 Novembre